
Mimmo Ferraro
000 Roberto De Simone, Marialba Russo, Cesinali 1973
La presente raccolta riunisce materiali registrati dal musicista-musicologo Roberto De Simone e dall’etnofotografa Marialba Russo il 6 marzo del 1973 a Cesinali, in provincia di Avellino, in occasione del Martedì Grasso. Questi stessi materiali furono analizzati nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, frutto di un lavoro di ricerca collettivo che durò per ben quattro anni (dal 1972 al 1976) e che vide coinvolti, oltre ai due ricercatori sopra citati, l’antropologa Annabella Rossi e un gruppo di suoi allievi salernitani guidati da Paolo Apolito. Grande rilievo nella celebrazione carnevalesca di Cesinali assume la famosa rappresentazione della canzone di Zeza (per una più ampia descrizione della quale, si rinvia alla raccolta San Potito 1973) che presenta degli elementi di differenziazione rispetto ad altre esecuzioni campane: nomi diversi per alcuni personaggi (Don Zenobio invece che Don Nicola, e Porziella invece di Vicenzella) e un "nuovo" personaggio (il Marinaio). La Zeza di Cesinali è inoltre eseguita con un accompagnamento musicale di tipo bandistico, composto esclusivamente da ottoni (tromba, clarino, trombone, ecc.), quindi potremmo definirla anche fanfara, a differenza di altre rappresentazioni della Zeza cantate invece "a distesa" (si vedano le raccolte San Potito, sopra linkata, e Celsi), spesso però più per l’impossibilità economica di ingaggiare una banda piuttosto che per una scelta stilistica o il rispetto di una tradizione. Dell’utilizzo di bande musicali per accompagnare la canzone di Zeza, composte prevalentemente da fiati e percussioni, si hanno comunque testimonianze storiche già a partire dagli inizi del '900: Edoardo Boutet nel 1901 (si veda Sua eccellenza San Carlino) parlava per l’accompagnamento della Zeza di un’orchestra che si componeva "di un trombone, un clarino ed un tamburo". Altra peculiarità della Zeza cesinalese è che, dopo la rappresentazione cantata, viene eseguita dalla banda una quadriglia (brano 10), ballo assai popolare e diffuso in ambito urbano nell’area napoletana, in particolare nell''800, ma che secondo Curt Sachs (si veda Storia della danza), ha come modello originario "i riti magici della fecondità dei popoli primitivi". Nelle registrazioni qui presentate appare centrale la figura di Carmine Fernando Venezia, poeta e saggista locale (morto nel 2006, all’età di ottanta anni), protagonista di gran parte delle (purtroppo spesso frammentarie) interviste effettuate, che legge e commenta il testo della canzone di Zeza (da lui già raccolto e dattiloscritto diversi anni prima, nel 1961) durante la stessa esecuzione (brano 08). Emerge nelle interviste anche il suo ruolo come organizzatore della rappresentazione carnevalesca di Cesinali. Della raccolta, oltre alla già citata quadriglia (brano 10), anch’essa commentata da Venezia, fanno poi parte anche un lungo pezzo eseguito dalla banda (brano 03), più altri brevi momenti di intervista ad alcuni dei protagonisti, accompagnati da momenti che restituiscono il paesaggio sonoro del carnevale cesinalese dell’epoca (brani 02 e 07).
(116)
000 Roberto De Simone, Marialba Russo, Celzi (frazione di Forino) 1973
Nella raccolta in oggetto sono riuniti materiali registrati nel 1973 dal musicista-musicologo Roberto De Simone e dall’etnofotografa Marialba Russo a Celzi, una delle tre frazioni del comune di Forino (le altre due sono Castello e Petruro) nella provincia di Avellino, in occasione del carnevale locale. Anche questo lavoro di ricerca confluì nel vasto progetto d’indagine sui repertori carnevaleschi campani che portò alla pubblicazione nel 1977 del volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato dallo stesso De Simone e dall’antropologa Annabella Rossi. La rappresentazione carnevalesca della piccola cittadina avellinese sembra caratterizzata da quattro momenti tra loro connessi e introdotti da una sorta di voce narrante che funge quasi da presentatore: c’è prima la presentazione delle varie maschere dei Mestieri (brano 04) divise in Maestranze (‘o castagnaio, ‘o ricuttaro, ‘o ramaro, ‘o fravecatore, ‘o scarparo e ‘o pisciaiuolo) e Professioni (il Notaio, l’Avvocato, il Dottore e l’Arcivescovo); c’è poi la canzone di Zeza (brano 05), qui cantata senza alcun accompagnamento strumentale e incentrata sui quattro personaggi tipici (Pulcinella, sua moglie Zeza, la loro figlia Vicenzella e il pretendente Don Nicola); infine il balletto, detto ’o ntreccio (brano 06), eseguito su una musica registrata (una tarantella) con accompagnamento di tamburi e percussioni suonate invece dal vivo per festeggiare il matrimonio appena celebrato dall’Arcivescovo tra Zeza e Don Nicola; per ultima la morte di Carnevale (brano 07) il quale, dopo i vani tentativi operati dal dottore, muore per un’indigestione dovuta alla troppa carne mangiata. La raccolta si apre con frammenti d’intervista e alcune registrazioni del paesaggio sonoro dei momenti immediatamente precedenti alla rappresentazione carnevalesca (brani 01-03).
(117)
000 Roberto De Simone, Marialba Russo, Bellizzi 1973
Nella raccolta in oggetto sono riunite le registrazioni del musicista-musicologo Roberto De Simone e dell’etnofotografa Marialba Russo effettuate a Bellizzi Irpino, frazione del comune di Avellino, nel marzo del 1973, durante le festività del carnevale, nell’ambito di un vasto progetto di ricerca sul campo che culminato con la pubblicazione nel 1977 del volume Carnevale si chiamava Vincenzo. Tra i repertori carnevaleschi maggiormente indagati vi furono alcune rappresentazioni popolari cantate e recitate all’aperto (nei vari casi in maschera o meno, accompagnate dalla musica oppure "a distesa") quali ad esempio la Rappresentazione dei Dodici Mesi (si veda raccolta Olevano sul Tusciano 1973) e in modo particolare la famosa Canzone di Zeza (per i caratteri generali si veda invece San Potito 1973). Proprio di quest’ultima abbiamo un'eccellente testimonianza a Bellizzi, dove viene eseguita una Canzone di Zeza che presenta molti elementi di interesse e peculiarità rispetto ad altre Zeze conosciute e anche molto vicine geograficamente e culturalmente (quelle di Celzi di Forino, di Cesinali, della stessa San Potito ecc.). I personaggi del "ridicoloso" contrasto matrimoniale rappresentato a Bellizzi sono sempre quattro (anche qui tutti maschi che interpretano anche i ruoli femminili): marito e moglie sono i soliti Pulcinella e Zeza, mentre figlia e pretendente sono qui Porzia (in dialetto Purzia) e non Vicenzella, e Don Zinobio (Don Zinobale) e non Don Nicola, praticamente gli stessi nomi dei personaggi della Zeza di Cesinali dove però compare un ulteriore personaggio, il marinaio. Il testo cantato, e tramandato oralmente, non ha alcuna somiglianza con le versioni (almeno quelle finora conosciute) diffuse nell’800 nella tradizione scritta (come accade invece per la Zeza di San Potito). La rappresentazione, dal punto di vista musicale, prevede l’accompagnamento di una piccola banda (qui solo fiati: principalmente tromba, trombone e clarino) e sembra così strutturata: coro iniziale con un incipit specifico proprio di Bellizzi (Azzeccatevi cacciatori/ mo’ che è l’ora dello magnàdiverso sia dal Sei giorni di lavoro/ la domenica a passeggiar di Cesinali, sia dal tipico incipit, cantato, ad esempio, non dal coro ma da Pulcinella, E sentite signori miei /verite a me ca me succede di San Potito); seguono poi tre parti musicali (alle quali corrispondono tre diverse strutture testuali) caratterizzate da diverse formule melodiche di cui solo quelle della prima parte somigliano a quelle conosciute e diffuse anche attraverso le fonti scritte (si veda la trascrizione della Zeza di G. Cottrau pubblicata nei Passatempi Musicali nel 1829), le altre due parti sono invece di probabile ascendenza colta (da motivi operistici o militari); chiude un coro finale (E scusateci cari signori/ca voi c’avete state a sentire…) sui motivi melodici della seconda parte. Dopo la Zeza, di cui abbiamo nella raccolta due registrazioni, una quasi integrale (brano 01) e l’altra invece che comincia dalla seconda parte (brano 05), segue la Quadriglia (brani 06 e 07) di cui compaiono due versioni (non sappiamo però se si tratta invece di un’unica esecuzione con uno stacco nella registarzione), di cui la seconda con un finale in cui si accenna alla famosa Tarantella di Luigi Ricci tratta dall’opera Piedigrotta (1852). Completano la raccolta alcuni momenti di intervista nei quali si presentano gli interpreti della rappresentazione (brani 02 e 04), che non sono sempre gli stessi ma cambiano nelle varie recite per l’impossibilità, per una stessa persona, di cantare più volte una parte che richiede un enorme sforzo fisico nell'esecuzione; oppure vengono indicati i giorni di uscita e i paesi visitati (brano 03); si parla poi dei vari personaggi e delle differenze con altre Zeze, ad esempio quella di Cesinali (brano 09), ed infine si può ascoltare il paesaggio sonoro costituito dalle voci del pubblico e dai rumori che accompagnano la rappresentazione carnevalesca bellizziana (brano 06).
(118-119)
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi, Somma Vesuviana, Napoli, Avellino 1976
Documenti sonori raccolti da Roberto De Simone e Annabella Rossi nel 1976 tra Somma Vesuviana, Napoli ed Avellino, molto probabilmente tra la domenica precedente e il martedì grasso, ovvero tra il 28 febbraio e il 2 marzo di quell'anno.
Parte preponderante della raccolta è imperniata sul personaggio della Grande Imperatrice. I due ricercatori in un lunga e preziosa conversazione registrata in viaggio verso Somma Vesuviana, nel ripercorrere con la memoria le maschere osservate nei carnevali irpini (Pulcinella con cappelli a tre punte, Pulcinella sopra un altro Pulcinella, una Zeza nera ecc. ecc.) si soffermano a lungo sulla figura della Grande Imperatrice, rivelando la forte emozione provata al cospetto di questa (tale da "far seccare loro la gola"), cercando di interpretare le qualità di un personaggio "aristocratico", vestito con un abito di paglia intrecciata e conchiglie, con al seguito diverse guardie vestite sempre di abiti di paglia, con un tamburo in mano, estraneo alle maschere carnevalesche comuni (come la Zeza), forse personificazione della Grande Madre; decidono che la Grande imperatrice sarebbe diventata l'immagine di copertina del volume in cui dovevano confluire le ricerche sul campo e si ripromettono di trovare chi ne vestiva i panni così che, solo un paio di giorni dopo, ad Avellino riescono ad incontrarlo: è Giuseppe De Martis, contadino di settantasei anni, che racconta in quell’occasione ai ricercatori di fabbricare da sé i vestiti di paglia (ma, oltre ai vestiti, con la paglia costruisce anche altre cose, ad esempio un crocifisso), di prepararli durante l'estate ma che soltanto per il carnevale, con i suoi nipoti, esce mascherato. De Martis racconta anche la lunga trama di un'opera, Fior d'Oliva, rappresentata anni addietro ma di cui si parlava ancora, in cui era la Grande Imperatrice, madre dell'imperatore e nonna di Fior d'Oliva, principessa contesa in amore da due cugini: Ponte Marco e Ponte Argenio (talvolta chiamati Conte Marco e Conte Augenio). La vicenda narrata rimanda ad una storia tradizionale oggetto di una nota canzone epico-lirica, Verde Oliva e Conte Maggio (Bronzini), assai diffusa in Italia meridionale, in particolare in Basilicata (dove viene utilizzata anche per canti a cupa a cupa, all'altalena ecc., con l'incipit Fronni d'alia), ma con varianti diffuse anche in Italia centrale fino in Istria. Altre due tracce documentano (soltanto nel sonoro, ma probabilmente è stato girato anche un video) De Martis e i nipoti mentre si vestono, ciascuno con il proprio abito "regale" in paglia, e si apprestano ad uscire per le strade: "Appaiono corazze ed elmi di grano intrecciato, e, nel misero spazio, l'uomo veste, in un rituale difficilmente narrabile, le sue Grandi Guardie, il suo Grande Imperatore, e infine se stesso, la Grande Imperatrice. Così con due Grandi Guardie che gli sollevano la gonna, circondato da altri ragazzi che impugnano lunghe lance, si allontana dalla casa e si avventura per le strade della città con una regalità da antica divinità mediterranea" (in Carnevale si chiamava Vincenzo, p. 19). La raccolta è completata da una registrazione (traccia 02) raccolta a Napoli (difficile dire se in città o in zone limitrofe) che contiene una serie di lamentazioni in morte di Carnevale eseguite durante un corteo funebre mascherato rappresentato e inscenato per le strade mentre sullo sfondo imperversa il paesaggio sonoro festivo.
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi, Somma Vesuviana 1976
Rilevazioni realizzate a Somma Vesuviana nel 1976 da Roberto De Simone e Annabella Rossi (brani 01-12) e dalla sola ricercatrice (brani 13-16) in occasione della Festa della Madonna di Castello che si tiene dal sabato in albis al 3 maggio. Tuttavia la presenza nella raccolta di diversi brani del repertorio carnevalesco rendono probabile la realizzazione dell'indagine in quel periodo festivo.
Secondo la tradizione il culto della Madonna di Castello trae origine dal rinvenimento di una testa bruciata di una statua dopo un'eruzione. Questa testa sarebbe stata ritrovata da uno scultore di santi che aveva una figlia paralitica, la quale, dopo aver avuto in sogno l'apparizione della statua, sarebbe miracolosamente guarita. Il padre, ricordandosi della testa bruciata, avrebbe ricostruito il corpo della statua con sembianze fisiche tipicamente contadine, da qui il nome dato dai fedeli di Mamma Pacchiana ovvero Madonna contadina. Il 3 maggio si assiste alla preparazione della pertica o perticella: rami dell'albero di castagno spogliati dalle fronde, lasciando una piccola sporgenza ('a curnecchia), e addobbati con fiori e rami di ginestra, collane di nocciole ('a ntrita) o castagne ('a nserta) con l'immagine della Madonna di Castello ('a fiurella) alla sommità. La perticella viene poi donata alla propria donna: in questa pratica è possibile individuare una simbologia fallica legata ad antichi culti propiziatori. Nel periodo della festa sono continui e partecipati i pellegrinaggi dei singoli fedeli e delle diverse paranze al santuario, preparando e consumando lauti banchetti con gustose libagioni, accendendo falò, cantando e ballando. Il repertorio eseguito è composto principalmente da fronne, canti a figliola e canti sul tamburo.
I brani presenti nella raccolta contengono esecuzioni di balli e canti sul tamburo, fronne e canti a figliola a diverse voci maschili, lamentazioni per la morte di Carnevale, canti a vvoce 'e Napule e un frammento della canzone di Zeza. Il brano 13, invece, documenta il passaggio della banda musicale, l'esplosione di fuochi d'artificio e le litanie.
(271-271a-271b 108830,108831,108834)
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi, Puccianiello, fraz. di Caserta, 1976
La raccolta documenta una rappresentazione della farsa carnevalesca La Brunetta registrata a Puccianiello nel 1976. L’esecuzione scenica è divisa in due parti: nella prima parte si introducono la vicenda e i personaggi, con predominanza di testi recitati in vernacolo; nella seconda parte si svolge la trama, per lo più in forma musicale con testi italianizzati. Le scene e le danze mirano a suscitare l’ilarità del pubblico sia per il tono ironico buffonesco degli attori, sia per l’esclusiva presenza di uomini sul palco che interpretano anche ruoli femminili. La Brunetta si colloca, con la Zeza e i Mesi, nel repertorio di rappresentazioni popolari carnevalesche della tradizione campana, in particolar modo di area casertana. La protagonista del racconto è una donna che vive alcune disavventure generate da equivoci, in un alternarsi di burle e galanterie ad opera di cavalieri e pastori spasimanti. Ad accompagnare le parte introduttiva e quella finale della rappresentazione ci sono gli interventi di una banda locale che esegue alcune marce militaresche.
(268-9, 108827-8)
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi, Olevano sul Tusciano 1974
La raccolta contiene documenti sonori registrati da Roberto De Simone e Annabella Rossi (accompagnati da assistenti non identificati) a Olevano sul Tusciano il 26 febbraio del 1974, in occasione del Martedì Grasso. Le registrazioni riguardano, in particolare, la Rappresentazione dei Dodici Mesi (per la cui descrizione si rimanda alla raccolta Olevano sul Tusciano 1973) eseguita durante il carnevale nelle tre diverse frazioni del paese (Ariano, Monticelli e Salitto). Le esecuzioni qui riportate sono soltanto due, diversamente dalle tre repliche registrate da Apolito nel 1973, di cui peraltro la prima incompleta (brani 01 e 04).
Della raccolta fanno però parte anche due registrazioni di un Bollettino straordinario (brani 02 e 05) declamato da una sorta di banditore, probabilmente lo stesso che, mascherato e munito di tamburo, guida la sfilata sugli asini per il paese dei tredici personaggi (i dodici mesi, più Capodanno, loro "padre"). Nel Bolletino, che ha un chiaro scopo d’intrattenimento comico, vengono narrate una serie di "sciagure" inverosimili che provocano le risate del pubblico astante. Completano la raccolta due registrazioni che raccolgono il paesaggio sonoro della cittadina olevanese nei momenti immediatamente precedenti e successivi alla rappresentazione carnevalesca (brani 03 e 06) che solitamente si chiude con la Morte e Testamento di Carnevale,purtroppo non qui documentata, ma la cui trascrizione (divisa in due documenti: Bollettino del Regno di Carnevale e Testamento di Carnevale), fedele alla messa in scena del 1974, è pubblicata nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato dagli autori della raccolta.
(144, 108777)
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi, Atripalda 1974
La raccolta contiene documenti sonori registrati da Roberto De Simone e Annabella Rossi ad Atripalda, comune dell’avellinese, nel 1974 durante il periodo del carnevale, probabilmente qualche giorno prima del Martedì Grasso che quell’anno cadeva il 26 febbraio. Le registrazioni sono incentrate sulla rappresentazione del Folle, ovvero un personaggio mascherato da clown che esegue delle pantomime accompagnato dalla musica: ritmi di marcia eseguiti con tamburo a bacchette, grancassa e piatti. Le foto scattate da Annabella Rossi, e pubblicate nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, dimostrano che il personaggio del Folle documentato ad Atripalda è mascherato e truccato da clown, porta un gigantesco papillon a pois e reca una sorta di bastone tra le mani, mentre i musicisti che lo accompagnano sono mascherati da animali fantastici; inoltre, sembra richiamare la figura del banditore di vino napoletano meglio conosciuto come pazzariello (il cui nome deriverebbe appunto da "pazzìa" ma anche da "pazziare", che in dialetto napoletano vuol dire "giocare"). La tipica scansione incitativa verbale con cui il pazzariello inizia la sua classica sparata (letteralmente "serie di spari" ma in senso figurato intesa anche come "atto di vanteria"), ovvero “Attenzione! Battaglione!”, è infatti spesso ripetuta dal folle registrato ad Atripalda, l’accompagnamento musicale in chiave soprattutto ritmica è simile (manca però la componente melodica, vale a dire l’ottavino o il piffero presente nelle orchestrine che solitamente accompagnano il pazzariello), l’esibizione per le strade con seguito di bambini festanti e anche l’elemento del bastone sembrano richiamare il celebre personaggio napoletano (immortalato anche da Totò in una famosa scena del film L’oro di Napoli), oramai da alcuni decenni del tutto scomparso dalle vie della città. Restano comunque diverse le occasioni esecutive e le funzioni del folle e del pazzariello: il primo si esibisce esclusivamente durante il carnevale, con lo scopo di suscitare stupore e far divertire, il pazzariello, invece, in qualsiasi momento dell’anno, ad esempio in occasione dell’apertura di una nuova cantina, e il suo fine è di tipo eminentemente "pubblicitario", anche se, inevitabilmente attrae un capannello di persone e bambini che seguono divertiti le sue sparate. De Simone evidenzia come spesso il pazzariello,nella tradizione campana, venga associato e accompagni anche la cosiddetta Vecchia del carnevale, mettendo in luce la componente "guerresca" del personaggio (sottolineata anche dall’abbigliamento in divisa) e la complessità dei significati ad esso legati, sospesi appunto tra "gioco" e "morte".
Il folle di Atripalda è interpretato da Mario Martino, giovane disoccupato del paese che all’epoca aveva soli diciannove anni, e, secondo quanto lui stesso racconta nell’intervista finale (brano 05), oltre al clown poteva vestire anche i panni di Charlot oppure della cantante lirica con voce da soprano. La raccolta comincia con una registrazione nella quale viene catturato il paesaggio sonoro negli attimi immediatamente precedenti alla sfilata mascherata guidata dal folle (brano 01), caratterizzato dal vociare dei bambini che si apprestano ad assistere allo spettacolo e dal dialogo tra De Simone e la Rossi che si organizzano per la documentazione. Seguono poi tre diverse registrazioni della sfilata e della rappresentazione del folle accompagnato dai musicisti (di queste purtroppo solo la seconda sembra completa, le altre due s’interrompono invece bruscamente), probabilmente eseguite in tre diversi punti della cittadina avellinese (brani 02-04).
(142, 108775)
000 Roberto De Simone, Annabella Rossi Montemarano 1975
Documenti sonori registrati da Roberto De Simone e Annabella Rossi a Montemarano (AV) nel 1975 durante il periodo del carnevale che nella cittadina avellinese si apre il 17 gennaio con la festa di Sant'Antonio Abate, ha il suo momento centrale nei tre giorni di domenica, lunedì e martedì grasso (che quell'anno cadeva l'11 febbraio) per poi chiudersi la domenica successiva (il 16ebbraio) con rappresentazione della morte di Carnevale. Per un’introduzione generale al Carnevale di Montemarano si rimanda in particolare a De Simone-Rossi 1974.
I documenti sonori raccolti nel 1975 riguardano esclusivamente tarantelle eseguite all'aperto (forse durante i tre giorni centrali del carnevale) che accompagnano la tipica danza processionale guidata dal Pulcinella (detto anche capor’abballo) che coinvolge molti montemaranesi che per l'occasione si mascherano e ballano disposti su due file in un determinato ordine di disposizione: i bambini poi gli adulti e soltanto alla fine i musicisti delle piccole bande. La danza, accompagnata dai tipici strumenti della tarantella montemaranese ovvero clarinetto (prima la ciaramella), fisarmonica (che probabilmente ha sostituito la zampogna) e tamburello, si snoda per le vie del paese, in particolare lungo il percorso che porta dal Ponte alla piazza e viceversa, durante il quale i partecipanti spesso gettano simbolicamente confetti e anisielli sugli spettatori. Le tarantelle documentate sono prevalentemente strumentali tranne un paio di casi (tracce 05 e 07) con interventi cantati sui tipici "testi-motivi" della montemaranese (si veda a tal proposito E. Bassano, Montemarano 1974). Diversi sono i momenti in cui emergono le urla collettive della folla danzante: secondo alcuni avrebbero una funzione apotropaica e liberatoria, per altri servirebbero a mantenere il passo quando la musica aumenta di velocità. Le registrazioni sono in alcuni casi frammentarie e l'audio di scrsa qualità.
(185 108792)
000 Paolo Apolito, San Potito 1973
La presente raccolta è il frutto di una campagna di ricerca effettuata nel 1973 nel periodo di Carnevale (per la precisione nelle cinque domeniche che lo precedono e nel Martedì Grasso), a San Potito (Sa), una delle tre frazioni del comune di Roccapiemonte (le altre sono Casali e Materdomini). La ricerca vide coinvolto Paolo Apolito, coadiuvato da altri studenti dell’Università di Salerno, tutti allievi della cattedra dell’antropologa Annabella Rossi. Parte dei materiali di questa e altre raccolte furono trascritti (limitatamente ai testi) e analizzati nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato dalla stessa Rossi e dal musicista-musicologo Roberto De Simone. Proprio da quest’ultimo lavoro abbiamo attinto molte delle informazioni riguardanti gli esecutori e i contesti delle registrazioni qui presentate.
Grande importanza nel repertorio carnevalesco di San Potito assume la rappresentazione della famosa Canzone di Zeza, assai diffusa nell’area campana, sia a Napoli che nelle province, almeno a partire dall’'800, quando si hanno la prime testimonianze scritte. La prima fonte ci risulta essere la versione con musica pubblicata nel 1829 da Guglielmo Cottrau nei suoi Passatempi Musicali col titolo Antichissimo dialogo di Zeza che si canta in Napoli dal popolo colla maschera nel Carnevale. Un’altra edizione, contenente però solo il testo, è invece quella pubblicata da Avallone nel 1849 col titolo Ridiculoso contrasto de matrimonio ‘mpersona di D. Nicola Pacchesecche, e Tolla Cetrula figlia di Zeza e Polecenella. Per la Zeza sono state però ipotizzate origini almeno settecentesche (De Simone rintraccia addirittura delle parentele con le villanelle cinquecentesche). Secondo alcuni (A. Costagliola) la musica sarebbe da attribuire nientedimeno che al grande musicista di origine aversana Domenico Cimarosa, secondo altri (U. Prota-Giurleo), invece, il testo potrebbe essere di Domenico Antonio Di Fiore, uno dei più famosi pulcinella napoletani del XVIII sec.
I personaggi della rappresentazione sono essenzialmente quattro: Zeza (diminutivo di Lucrezia), suo marito Pulcinella, sua figlia Vicenzella o Porziella (nella tradizione orale) oppure Tolla (nella tradizione scritta), e il pretendente di quest’ultima, Don Nicola (o talvolta Don Zenobio). La canzone di Zeza raccolta a San Potito (brano 08) è inscenata da cinque personaggi: Pulcinella (interpretato da Salvatore Salvati), Zeza (Luigi Salvato), Vicenzella (non identificato), il notaio Don Nicola (Raffaele Ferrentino) e il servo del notaio (non identificato), il quale però non ha una parte cantata. Come si può vedere, anche in questo caso, come spesso accade nei repertori carnevaleschi, i ruoli femminili sono ricoperti, tramite travestimento, da uomini. Una delle peculiarità della Zeza di San Potito, già sottolineata da De Simone (si veda Son Sei Sorelle, Squilibri, 2010), è l’esecuzione "a distesa" e senza accompagnamento strumentale delle varie parti, con una vocalità che si avvicina molto ai tipici repertori di area campana (fronne, canti a figliola, ecc.), cosa inconsueta nelle altre esecuzioni conosciute della Zeza. Un’altra novità è che a San Potito la rappresentazione risulta divisa in due momenti: la Zeza "tradizionale", che conosciamo nelle diverse varianti, e quella indicata dai locali come La vecchia Vedova (brani 11 e 12): pur essendo intonata sugli stessi motivi melodici della Zeza, ha un testo completamente diverso. Si tratta di un altro contrasto di matrimonio dove restano i cinque personaggi ma con ruoli rovesciati: Zeza, che prima era maritata adesso è vedova (detta appunto "vecchia vedova"); Pulcinella, prima marito della Zeza ora è il pretendente; la figlia di Zeza, che non si chiama più Vicenzella ma Rusetta (Rosetta), il notaio Don Nicola e il servo del notaio. Questo testo è molto interessante e si inserisce nella serie di contrasti carnevaleschi già noti (al di là della stessa Zeza), come ad esempio il Rediculuso contrasto tra Annuccia e Tolla o il Ridicoloso contrasto tra una socera e una nora, dei quali abbiamo testimonianze scritte sempre nelle stampe ottocentesche, ma che sembrano ormai del tutto scomparsi in ambito orale. Sempre ad una tradizione scritta sette-ottocentesca sono da rapportare le canzonette carnevalesche, dette dal popolo macchiette, legate a vari mestieri (cacciatore, pescivendolo, giardiniere, castagnaio, ecc.) di cui abbiamo a San Potito un’interessante testimonianza sonora nella Macchietta d’ ‘o pittore, ovvero dell’imbianchino (brano 13), piena di allusioni sessuali. A San Potito, dai documenti raccolti, si hanno notizie dell’esecuzione di altre macchiette dei mestieri: quella d’ ‘o cacciatore, d’ ‘o pisciaiuolo, d’ ‘o giardiniere, ecc. Assai caratteristica è anche la canzone del "ciuccio morto" ovvero La lamentazione per la morte dell’asino (brano 09) che, secondo il racconto nell’intervista dello stesso esecutore (brano 10), in quel momento vuole simboleggiare la morte di Carnevale.
Infine c’è da segnalare che a San Potito tutta la rappresentazione carnevalesca, nei suoi tre momenti principali (Zeza, Vecchia Vedova e macchiette dei mestieri), che vengono ripetuti nelle varie frazioni e nei diversi paesi circostanti visitati, è accompagnata da una pratica separata, incentrata sulla danza accompagnata dalla musica, che ha origini diverse (e, secondo alcuni assai più recenti) rispetto alla Zeza. Si tratta della mascarata, qui chiamata ‘O ntreccio (brano 07), e si svolge nel modo seguente: ci sono un gran numero di ballerini vestiti con abiti "pacchiani" (cioè "contadini"), da loro stessi preparati o ricevuti in prestito, ornati di nastri coloratissimi; ciascun ballerino ha in mano un capo di tralcio di vite intrecciato, ornato anch’esso con nastri, carta e fiori multicolori; danzando al ritmo dei due strumenti che li accompagnano, ovvero tamburo e piatti, i ballerini costruiscono diverse figure formando talvolta un cerchio, poi una spirale oppure una stella. Da qui il nome di ’ntreccio che si riferisce quindi sia alle viti intrecciate sia alla danza intrecciata. Questa viene eseguita, ovviamente con passi diversi, sia in movimento, durante la marcia da una frazione o paese all’altro, sia durante le soste nelle piazze, dove, dopo lo ’ntreccio vengono rappresentate la Zeza, la Vecchia Vedova e le varie macchiette, le cui storie sono comunque degli intrecci amorosi e quindi, pur essendo cose distinte, probabilmente il nome è riferito anche a questo motivo. Di grande interesse sono infine le diverse interviste (brani 01, 02, 03, 04, 06) ad alcuni dei protagonisti, tra i quali spicca la figura di Zì Antonio, anziano del paese (classe 1892), il quale esegue anche un brano carico di allusioni sessuali (molto probabilmente un’altra macchiettacarnevalesca), dall’incipit Quando la donna è gravida (brano 05).
(102-104, 108756)