
Mimmo Ferraro
00 Fondo Teche Rai
Uno straordinario giacimento culturale che, attraverso cinquant'anni di programmazione radiofonica e televisiva, racconta l’evolversi del gusto e della cultura nazionale con alcuni documenti di insostituibile valore storico e documentario per quanto attiene alle musiche di tradizione: questa l’ineguagliabile ricchezza delle "teche" della Rai, seconda solo alla corrispondente struttura della BBC.
00 Fondo Museo Nazionale Arti e Tradizioni Popolari
L’avvio di un archivio sonoro presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari si deve soprattutto all'attività di Annabella Rossi, orientata in oltre venti anni di ricerca sul campo verso una sistematica ricognizione delle forme festive: apparati rituali e aspetti magico-religiosi e sociali della cultura popolare meridionale, ambiti che costituiscono ancora oggi la peculiarità di un archivio ricco di uno sterminato patrimonio attinente alle culture orali del Mezzogiorno d’Italia.
Di straordinario valore e interesse i fondi fotografici che, oltre alle preziose collezioni storiche, con circa 140.000 immagini, documentano i temi più significativi della ricerca antropologica in Italia con un’attenzione particolare a feste, devozioni religiose, pratiche rituali, giochi e spettacoli di piazza ma anche problematiche sociali e tecniche di lavoro agricolo e artigianale. Il nucleo più significativo dell’archivio fotografico, databile tra il 1950 e la fine degli anni '70, si deve ancora all’attività di una studiosa dinamica e sensibile come Annabella Rossi, che promosse la costituzione dell’archivio e contribuì ampiamente al suo incremento: le tematiche demartiniane ricorrono frequentemente nelle campagne fotografiche dirette o realizzate dall’antropologa, con il coinvolgimento di nomi di grande prestigio tanto nell’ambito della fotografia quanto in quello della ricerca antropologica come Michele Gandin, Chiara Samugheo, Lello Mazzacane e Marialba Russo.
Allo stesso modo, riconducibili all’attività di Annabella Rossi ed egualmente segnati da una costante presenza dei temi più emblematici della ricerca di De Martino, sono gli oltre 1.500 titoli dell’Archivio audiovisivo, avviato nel 1960 sotto la direzione di Tullio Tentori. Agli inizi del 1970 Annabella Rossi promuove e cura la realizzazione di una documentazione visiva, utilizzando le prime apparecchiature per la ripresa video. Il rilevamento, effettuato prevalentemente in Calabria e in Campania, porta alla realizzazione di materiali di ricerca incentrati su eventi festivi ed espressioni melo-coreutiche di straordinario interesse. L’incremento del fondo video dell’Archivio si deve anche alle acquisizioni di nuovi titoli nel corso della rassegna biennale MAV-Materiali di Antropologia Visiva, organizzata per le prime edizioni in collaborazione con l’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica e promossa da Diego Carpitella.
00 Fondo Teche Rai-Puglia
Uno straordinario giacimento culturale che, attraverso cinquant’anni di programmazione radiofonica e televisiva, racconta l’evolversi del gusto e della cultura nazionale con alcuni documenti di insostituibile valore storico e documentario per quanto attiene alle musiche di tradizione: questa l’ineguagliabile ricchezza delle “teche” della RAI, seconda solo alla corrispondente struttura della BBC.
00 Fondo Rinaldi
Realizzate da Giovanni Rinaldi, con Paola Sobrero e altri ricercatori, tra il 1975 e il 1980, le rilevazioni, rivolte di per sé alle forme espressive della cultura orale, includono materiali sonori di straordinario interesse che offrono un'inedita rappresentazione del paesaggio sonoro della Puglia settentrionale.
Sostenuta dall'Amministrazione Provinciale all'interno della Biblioteca Provinciale di Foggia, con l'obiettivo di costituire un Archivio della Cultura di Base, la ricerca si concretizzò nell'imponente raccolta di testimonianze orali, individuali e collettive, campagne fotografiche e rilevazioni audiovisive sulla storia dei braccianti del Tavoliere, le lotte sociali e per il lavoro e i grandi miti collettivi di natura sociale, culturale e religiosa (Di Vittorio, il Primo Maggio, il Carnevale, il teatro popolare dei ditt garganici, la Cavalcata degli Angeli dell'Incoronata).
Di un fondo ben più esteso ed articolato, si propongono soltanto i materiali di interesse musicale, di grande rilievo per l'originalità dei temi di ricerca e la loro straordinaria consistenza.
00 Fondo Panizza
L'attività di raccolta di suoni e canti di Salvatore Panizza coincide con l'inizio dell'attività del circolo culturale "Argalio", nato alla metà degli anni '70 con lo scopo di salvaguardare e divulgare il patrimonio musicale, la lingua e le tradizioni di Corigliano d'Otranto, paese della Grecìa salentina.
All'interno del circolo operava allora un nutrito gruppo di cantori e suonatori ancora attivi in situazioni conviviali, che in un clima di rinnovato interesse per le culture locali e minoritarie, iniziò ad essere invitato a rappresentare la propria comunità in occasione di scambi culturali con l'area grecanica della Calabria e con la Grecia.
Le registrazioni sono state effettuate durante feste di paese, la rappresentazione della strina, canto di questua del periodo natalizio, e della Passiuna tu Christù che in quegli anni, ormai quasi slegate dall'originaria funzione di questua, iniziarono ad essere eseguite sui sagrati delle chiese, nelle piazze, e durante esibizioni organizzate dal circolo per rifunzionalizzare e ridiffondere il patrimonio musicale e la lingua grecanica.
Alcune registrazioni tra le più interessanti, sono state effettuate durante le prove prima delle esibizioni, occasioni in cui i suonatori cantavano e suonavano per affiatarsi, in un'atmosfera di convivialità, riuscendo così ad ottenere documenti da cui traspare una straordinaria carica emotiva grazie alla spontaneità delle esecuzioni.
Salvatore, sempre presente con il suo registratore, è riuscito in questo modo a documentare dall'interno, quando godeva ancora di una discreta vitalità, un fare musicale oggi sempre più raro, ma allora ancora estremamente ricco ed articolato, che va dai canti legati alla Passione, alla questua natalizia, alle serenate, alle musiche per la danza, eseguite con lo strumentario in uso in paese (organetto, tamburello, tamburo a frizione e raschiatoio), ormai oggi raramente riscontrabile nel "paesaggio sonoro" festivo della comunità, restituendoci delle vere e proprie "fotografie sonore" dei suonatori e dei cantori, di inestimabile valore.
Di estremo interesse risultano i canti in griko o in dialetto romanzo, eseguiti a più voci, con una particolare modalità di esecuzione, chiamata localmente "a paravoce", che risulta predominante nel panorama musicale, e particolarmente apprezzata dagli intenditori del paese. Il canto a più voci è una delle modalità di canto attualmente meno utilizzata, e le esecuzioni presenti nel Fondo, in alcuni casi irripetibili, sono state incise su nastro quando i cantori, oggi in parte scomparsi, erano ancora giovani e nel pieno delle capacità esecutive: la loro prorompente forza espressiva è infatti quasi tangibile all'ascolto, ribadendo la centralità del canto nella musica tradizionale del Salento.
00 Fondo Montinaro
I documenti raccolti in questo Fondo nascono da una ricerca sulla cultura popolare da me cominciata negli anni Sessanta ma espressa in modo più massiccio e determinato dall’anno 1974 all’anno 1978. Teatro della mia indagine era il Salento e in modo più mirato la cosiddetta Grecìa salentina. Sono raccolti qui documenti inerenti la canzone popolare, la poesia orale, i racconti, le invocazioni e le filastrocche. La ricerca è nata per il mio desiderio di verificare e studiare un certo numero di temi, concetti e valori così come erano diffusi e concepiti nell’ambito della classe contadina onde rilevare alcuni dati strutturali della mentalità popolare. Quando mi sono impegnato nell’impresa ho scoperto subito, a causa della necessità di reperire cantori e informatori, che la gente non cantava più. Mi si è presentato all’orizzonte un panorama molto diverso da quello che era presente nella mia memoria e relativo soprattutto agli anni in cui io abitavo ancora nel Salento e cioè gli anni Cinquanta e in parte gli anni Sessanta del secolo passato.
Il decennio precedente a quello della mia ricerca più significativa avvenuta negli anni Settanta aveva devastato la capacità delle "classi subalterne" dell’epoca di mantenere una propria cultura. In quegli anni si verificò un grande rimescolamento della popolazione italiana. Si era verificata, probabilmente a causa del cosiddetto "boom economico" durato fino alla crisi petrolifera del 1973, una fuga da se stessi. Più che una fuga un tentativo di fuga perché le cose in questo ambito non cambiano così rapidamente come si spera. Avvenne, come disse Pier Paolo Pasolini, un vero e proprio cambiamento antropologico. I contadini non amavano più la campagna e sognavano di diventare operai nelle fabbriche del nord, gli artigiani sognavano di essere impiegati, gli impiegati sognavano di diventare dirigenti.
Bisognava, per raggiungere lo scopo, abbandonare quanto prima l’uso del dialetto, la lingua che era loro naturale, le tradizioni "retrograde". Tutto ciò che poteva tenere ancorati ad una situazione che ricordava il passato andava assolutamente abbandonato, nascosto, modificato.
Nessuno più cantava. E la lingua per comunicare era diventata un grottesco italiano, molto prossimo al dialetto per forma, strutture e lessico. Traducendo dal dialetto si finiva con il parlare un italiano incerto e inespressivo che inibiva la possibilità della scelta e quindi della protesta. L’ortografia di certi scriventi raggiungeva il comico.
Nessuno più cantava.
Nei campi non era più dato ascoltare quelle voci straordinarie che cantavano alla stisa per essere udite dai campi vicini, avere una risposta e stabilire così un dialogo a distanza che, oltre al piacere del canto, poteva contenere messaggi e informazioni pratiche tra i dialoganti. Maschi e femmine.
Nessuno più cantava.
Le serate d’estate con quelle belle ronde che vedevano alternarsi al canto voci maschili e femminili mentre il resto della compagnia dei vicini, seduti su sedie portate da casa o sui gradini dell’abitazione, si beavano e si preparavano al loro turno di canto, non esistevano più oppure erano diventate una rarità.
Le corti delle case erano molto spesso vuote. Non risuonavano più delle voci di chi le aveva abitate. Ora i pochi rimasti, sfuggiti all’emigrazione, seduti fuori per prendere il fresco della sera bisbigliavano problemi, preoccupazioni quotidiane, informazioni sui parenti emigrati.
Chi continuava a cantare obbiettivamente non aveva subito alcuna "evoluzione". Cantava chi era seduto sugli ultimi gradini della scala sociale. Persone spesso meravigliose. Piene di affetto e di vitalità ma considerate dalla comunità in cui vivevano certamente ai margini per non essersi modernizzate, per essere rimaste "incolte".
In queste "periferie" bisognava dunque cercare se si voleva entrare in contatto con quegli esseri umani che ancora erano in grado di raccontarci un modo di vivere antico ed eterno che ormai scompariva per lasciare il passo ad una umanità di frenetici esseri preoccupati solo di consumare, di riempire le loro case di elettrodomestici sui quali regnava, re incontrastato, il televisore. Sistemato in un angolo della casa, su un alto trespolo come fosse un trono, con il suo occhio spento durante le ore diurne aspettava le ore serali per masticare ben bene le anime di coloro che fideisticamente gli si consegnavano.
Negli anni Settanta c’era in Italia un movimento di folk revival affidato ad alcuni intellettuali di sinistra che utilizzavano la canzone popolare e il dialetto in cui si esprimeva come strumenti di lotta politica. Le iniziative si moltiplicavano. I gruppi nascevano. Primo fra tutti il Nuovo Canzoniere Italiano. Voci solitarie e straordinarie come quelle di Giovanna Daffini, Sandra Mantovani, Giovanna Marini e Rosa Balistreri testimoniavano con il pathos e la forza dell’esecuzione un’opposizione forte ad un mondo che stava soverchiando la classe subalterna stravolgendone i connotati e la cultura.
Tutto questo però nel Salento non c’era o non era ancora arrivato come avrebbe dovuto. Forse era giunta solo una sottile, flebile eco. La tradizione del canto popolare salentino comunque non era rappresentata da una realtà forte e consapevole. Nel panorama discografico del tempo non esisteva traccia evidente del patrimonio di canti del Salento. Nella serie antologica curata da Roberto Leydi Italia, voll. 1, 2, 3 e 4 della Albatros pubblicata tra il 1970 e il 1971 appare solo un brano di pizzica tarantata registrato a Nardò da Diego Carpitella e lo stesso Leydi nel 1966. Mentre nei due Lp usciti nel 1973 con il titolo Folklore musicale italiano con registrazioni originali di Alan Lomax e Diego Carpitella, versione italiana dell’antologia pubblicata in America nel 1957, vi sono solo due documenti: uno di pizzica registrato a Taranto e un canto degli spaccapietre registrato a Martano.
Nelle due principali collane discografiche che allora si occupavano di canzone popolare, una di riproposta e tesa al consumo (Cetra), l’altra di proposizione di documenti originali molto più specialistica e metodologicamente corretta (Albatros), non appariva ancora nessun disco dedicato al Salento.
Allora, i pochi che si interessavano dell’argomento, avevano notizia di ricerche compiute negli anni Cinquanta (giugno 1954 - agosto 1957) da Alan Lomax e Diego Carpitella, da Ernesto De Martino e da qualche altro occasionale ricercatore ma non avevano assolutamente la possibilità di fruire delle loro registrazioni. Quelle di Lomax e Carpitella, oltre 3000 documenti riguardanti l’intera Italia, furono depositate presso l’Archivio del Centro nazionale di Studi di musica popolare dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e della RAI e lì praticamente sepolti fino a pochi anni fa quando in parte son tornati a rivivere grazie all’impegno dell’editore Squilibri e di un etnomusicologo come Maurizio Agamennone.
Nel panorama desertico salentino appena delineato, lontano, ai margini dell’impero, spesso sconfortante e assonnato ho pensato di pubblicare per Albatros una parte dei documenti della mia ricerca condotta nelle terre salentine con l’aiuto in loco di Luigi Chiriatti.
Per questo Archivio ho catalogato invece tutti i documenti della cultura orale salentina da me registrati suddivisi per generi. Sono convinto che sia il modo migliore per capirne il senso e per reperirli più facilmente. Ho pensato inoltre di creare quattro monografie per quattro cantori speciali. Quattro persone che ai tempi della ricerca mi avevano colpito, ciascuna a suo modo, per delle caratteristiche eccezionali: qualità vocali, conservazione in loro di un mondo passato ancora vivo, rappresentatività, memoria e spirito. Niceta Petrachi detta la Simpatichina, Rocco Gaetani, Cosimino Surdo e i cosiddetti Ucci di Cutrofiano.
00 Fondo Leydi- Puglia
La parte “pugliese” del Fondo Leydi, depositato nel 2002 presso il Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona, di cui si riporta la classificazione di ogni singola raccolta. Comprende registrazioni sul campo effettuate da Roberto Leydi e da molti altri studiosi, da Leo Levi ad Annabella Rossi, su tutto il territorio regionale nell’arco di quasi quarant’anni (1964-2000).
Tra i fondatori della moderna etnomusicologia, Roberto Leydi è stato uno straordinario intellettuale che, mosso da una molteplicità di interessi, ha svolto un ruolo rilevante in molte delle più significative iniziative della cultura italiana del secondo Novecento. Dal 1947 critico musicale per l’”Avanti”, dove si occupa di jazz, blues e musica popolare americana, collabora con Luciano Berio, Umberto Eco e Bruno Maderna alla fondazione dello “Studio di Fonologia” della Rai di Milano. Nel 1954 realizza con Berio e Maderna Ritratto di città, il primo lavoro italiano di musica concreta ed elettronica, e, nello stesso anno, firma con Tullio Kezich Ascolta Mister Bilbo! Canzoni di protesta del popolo americano, all’origine del suo interesse per la musica popolare italiana, indagata per tutta la vita coniugando la ricerca sul campo con l’uso delle fonti storiche ed etnografiche.
Cofondatore nel 1962 dell’Istituto De Martino e del Nuovo Canzoniere Italiano, alle cui vicende partecipò con un ruolo fondamentale fino al 1967, ha promosso una delle più vaste ed organiche ricognizioni sui repertori sociali e politici italiani nonché sull’espressività popolare dell’Italia settentrionale, animando anche iniziative collettive di largo respiro come la fondazione, nel 1972, dell’Ufficio Cultura Mondo Popolare della Regione Lombardia, ora AESS-Archivio di Etnografia e Storia Sociale, all’interno del quale si realizzò la monumentale opera del “Mondo popolare in Lombardia”, articolatasi in 15 volumi e in numerosi dischi della collana Albatros che, da lui diretta e fondata, pubblicò oltre 200 “documenti originali del folklore europeo”.
Attento come pochi alle dinamiche che potevano rendere fecondo il rapporto tra studio e valorizzazione, Leydi promosse attività ed iniziative che potevano garantire visibilità a una cultura “altra”, diversa da quella ufficiale, senza alterarne però l’identità che si dava soprattutto nella peculiarità di registri espressivi irriducibili a quelli di altri generi musicali. In quel crinale molto ripido in cui si poteva conciliare il rigore filologico con le esigenze di promozione, si situano così memorabili esperienze di studio e spettacolo come Pietà l’è morta (con Giovanni Pirelli e Filippo Crivelli), Milanin Milanon (Milano, 1962, con Filippo Crivelli), Bella ciao (Spoleto, 1964, ancora con Crivelli e Franco Fortini) e Sentite buona gente (Milano, 1967, con Diego Carpitella e Alberto Negrin) che segnava un momento discriminante non solo in relazione alla riproposta in chiave spettacolare dei suoni tradizionali ma anche per il loro studio più rigorosamente organizzato attorno a una disciplina scientifica come l’etnomusicologia.
Nel 1972 l’approdo all’università di Bologna con una delle prime cattedre italiane di etnomusicologia che, per uno studioso di formazione tutt’altro che accademica, significava soprattutto il riconoscimento dell’esistenza di un’altra musica alla cui valorizzazione e studio aveva dedicato gran parte della sua vita.
Nel 2002 la decisione di affidare il suo sterminato patrimonio etnomusicale al Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona che, con la collaborazione della Fonoteca Nazionale Svizzera e il sostegno di Memoriav, ne ha curato con rigore i riversamenti conservativi e la sua inventariazione. Grazie anche alla sensibilità del direttore del Centro, Franco Lurà, e di tutti i componenti del Comitato scientifico, questi materiali sono ora fruibili, su base regionale, nelle sedi della Rete degli Archivi, al fine di faciltarne la consultazione a studiosi ed appassionati: sono esclusi dal fondo quelle raccolte per le quali non si è avuta una formale autorizzazione dai rispettivi ricercatori.
Nell’impossibilità di ripercorrere tutte le fasi ed opere della vita di Leydi, ci piace ricordare, con Umberto Eco, la “leggerezza, gaiezza, sicurezza di giudizio critico, senso del teatro e ricerca eccezionale di un grande etnomusicologo”.
00 Fondo Di Gianni-Puglia
Tra il 1958 e il 1971, Luigi Di Gianni ha realizzato una serie di documentari che costiuiscono un corpo unico nella storia del cinema italiano e una straordinaria ricerca antropologica, filtrata attraverso una rara sensibilità poetica. Dal lamento funebre carico di echi pagani in Basilicata alla devozione delle anime del Purgatorio a Napoli, dalle inquietudini spirituali che attraversavano il Gargano ai raduni di ossessi a Montesano del Salento, questi lavori rappresentano una delle più organiche testimonianze della cultura subalterna meridionale in una fase di tumultuoso trapasso. Estraneo al clima del neorealismo e con ascendenze artistiche piuttosto insolite per un documentarista, come la predilezione per il cinema espressionistico tedesco e l'amore viscerale per Kafka, i suoi lavori non presentano motivi di grande interesse per quanto concerne lo specifico musicale (per le colonne sonore si è affidato per lo più a compositori contemporanei) ma offrono i contesti in cui meglio cogliere alcune espressioni musicali, essendo contestuali a importanti ricerche di Annabella Rossi che ha collaborato con lui per numerosi documentari: La Madonna di Pierno (1965), Il male di San Donato (1965), Il culto delle pietre(1967), Nascita di un culto (1968), La possessione (1971) e La Madonna del Pollino (1971).
Il fondo raccoglie i due documentari girati in Puglia, Il messia e Il male di San Donato, e alcune fotografie di scena.
00 Fondo De Carolis
Incluso nelle raccolte dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ma acquisito autonomamente e integrato da altro materiale musicale e di corredo fornito dallo stesso autore prima della sua scomparsa, il fondo Ettore De Carolis comprende le registrazioni effettuate a Carpino e a Sannicandro Garganico, dal 28 settembre al 1 ottobre 1987, e conversazioni e interviste sulla musica popolare pugliese realizzate per il programma radiofonico "Appunti sulla musica folklorica".
Autore di musiche per cinema e teatro, polistrumentista ed arrangiatore per numerosi artisti e gruppi musicali, esponente significativo benché appartato del folk revival italiano, Ettore De Carolis è stato un appassionato ricercatore di suoni in aree alle quali era legato per ragioni affettive e biografiche. Nei primi anni ’70 comincia a indagare i repertori musicali del Lazio partendo da Trevi, paese dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia, per risalire lungo l’Aniene per tutta l’area circostante, restituendoci una delle più ampie e significative rappresentazioni delle musiche del contado laziale. Negli stessi anni si reca in Abruzzo, e in particolare nella valle della Pescara, per poi, nel 1976, inoltrarsi nel vicino Molise, ritornando ancora, a distanza di un decennio, in Abruzzo. Nel 1987 si muove sulle tracce del padre Michelarcangelo, nativo del Gargano, ed è a Carpino dove, corredati da interviste e foto scattate da lui stesso, registra 23 brani per voce, chitarra francese e chitarra battente degli ancora, relativamente, giovani Antonio Piccininno e Andrea Sacco.
Per radio e televisione, lavora anche come autore o coautore realizzando, per la Rai, Appunti sullamusica folclorica, memorabile programma radiofonico dedicato all’Italia meridionale e alle isole, Lo cantare alla zampogna con Gigi Proietti, e, per la Televisione Svizzera, La musica popolare italiana.
Del 1968 è l’avventura di Chetro & Co, una delle prime band “psichedeliche” della scena italiana, per quanto lui preferisse il termine “onirico” per definire il gruppo con il quale, per la Parade, incide Danze della sera, con testo di Pasolini nell’omonimo brano. Impegnato in un’intensa attività concertistica in Italia e all’estero, come chitarrista è in tournée con Mimì e Loredana Bertè, Maria Monti, e Gabriella Ferri. A quanti lamentavano l’aspetto troppo variegato delle sue attività, Ettore era solito rispondere che bisognava campare, per evidenziare che per lui si trattava innanzi tutto di lavoro: negli ultimi tempi il suo cruccio semmai era che si fossero diradate le occasioni di lavoro a causa di un imbarbarimento del suo ambiente, popolato da troppi “faccendieri, squaletti, ragionieri con la forfora e autoparlatori con le scarpe di vernice”.
00 Fondo Chiriatti
Indiscusso protagonista del movimento salentino di recupero e valorizzazione delle tradizioni musicali, Luigi Chiriatti avvia le sue ricerche fin dagli anni ’70 grazie anche all’incontro decisivo con Rina Durante e Bucci Caldarulo, che lo motivano ad intendere la ricerca sul campo come fonte primaria di ispirazione per una riproposta capace di non banalizzare il lascito delle generazioni precedenti e lo spingono ad allargare i suoi interessi, fino ad allora relativi alle comunità griche, ai più larghi contesti delle culture orali delle cosiddette classi subalterne, con l’intento di ricostruire la memoria storica di un territorio devastato dall’emigrazione e travolto da contraddittori moti di modernizzazione. In sintonia con quanto avveniva sul piano nazionale con l’Istituto Ernesto De Martino e il Canzoniere Italiano, si è avviata così una complessa vicenda culturale che ha dato origine a uno dei più estesi archivi privati della Puglia e a un’intensa attività nella riproposta della musica popolare salentina con il Canzoniere Grecanico Salentino (1974-1978), il Canzoniere di Terra d’Otranto (1989-1996) e Aramirè (1996-2001). Da evidenziare anche il suo ruolo decisivo nell’editoria, con pubblicazioni di rilevante interesse storico e culturale prima con le edizioni Aramiré e poi con Kurumuny, casa editrice da lui fondata e diretta.