
Mimmo Ferraro
000 Patrizia Ciambelli, Napoli, cimitero di Fontanelle, 1975
Luogo estremamente simbolico della città e del suo rapporto elettivo con l’aldilà e il culto dei morti, il cimitero di Fontanelle situato nel Rione Sanità è uno dei più grandi ossari d’Europa, riconvertito da cava per l’estrazione del tufo in catacomba, zona di contatto liminare tra i vivi e i morti. Il sito conta diverse migliaia di resti umani appartenuti a persone indigenti che probabilmente non potevano permettersi una sepoltura dignitosa o sono stati semplicemente trafugati e accumulati nella cava per liberare posti altrove. Migliaia di cadaveri ammassati qui in maggior misura tra la peste che colpì la città nel XVII secolo e il colera del 1836. Dopo un’operazione di messa in ordine e pulizia compiuta da alcune donne devote nell’Ottocento, alle anime indigenti fu attribuito l’appellativo di pezzentelle; in seguito, il luogo fu chiuso nel 1969 su ordine delle istituzioni ecclesiastiche che subodoravano atti di feticismo profano. Tuttavia, il cimitero continuò ad essere visitato negli anni successivi da donne che sceglievano tra gli innumerevoli resti i teschi con i quali instaurare una relazione per chiedere miracoli, grazie, favori o numeri al lotto, accudendo e onorando con preghiere e riverenze le reliquie adottate, stabilivano un rapporto di scambio con i morti costruito tramite il canale del sogno. Questa raccolta contiene una lunga intervista durante un sopralluogo al cimitero di Fontanelle con un giovane informatore che si è occupato dell’opera di recupero di opere e oggetti ritrovati nel sito. Nell’intervista sono narrati alcuni aneddoti misteriosi appartenenti al luogo e alla memoria collettiva, inoltre, sono descritti il contesto sociale del Rione Sanità e le tipologie di visitatori e frequentatori del sito all’epoca dell’intervista: in particolar modo si incontravano donne che accudivano resti con le loro riverenze, e medium che svolgevano la loro attività in un luogo piuttosto congeniale all’impresa.
(256)
000 Patrizia Ciambelli, Mario Vanacore, Camerota 1980
Il pellegrinaggio per la festa di Sant’Antonio a Camerota (Sa). Registrazioni realizzate lungo il percorso dei fedeli per raggiungere il luogo sacro: durante il cammino vengono eseguiti una serie di canti polivocali con testi di significato religioso. Tra i documenti si anche due interviste, realizzate con alcune devote, che parlano di altri pellegrinaggi seguiti durante l’anno e della storia della cappella del Santo, realizzata per volere di un marinaio miracolato.
(808-10, 109038)
000 Patrizia Ciambelli, Maria Masucci, Mario Vanacore, Leopardi (fraz. di Torre del Greco) 1980
Il rituale magico religioso del passaggio arboreo ha origini arcaiche collocabili in epoca pagana e romana. La diffusione della cerimonia fitoterapica è documentata fino a tempi relativamente recenti in molte aree dell’Italia centro meridionale, in Sardegna e in altri contesti europei (riferimento imprecindibile per questo rituale resta il testo di Alberto M. Di Nola, L’arco di rovo. Impotenza e aggressività in due rituali del sud, Torino 1983). Il rito indagato consiste nel far passare bambini affetti da ernia sotto un arco di rami e rovi o all’interno di un foro creato negli alberi, come in questo caso documentato a Leopardi di Torre del Greco [per il rituale in funzione si rimanda alle rilevazioni di Patrizia Ciambelli raccolte nello stesso fondo]. Gli informatori sono operatori che ricevono per trasmissione familiare le competenze di cura, mentre i bambini provengono da un’area abbastanza vasta, non circoscritta ai soli luoghi limitrofi della zona vesuviana e campana. A Leopardi la regola del rituale prevedeva l’utilizzo di querce, sapientemente ferite con un’ascia al fine di creare il passaggio curativo: gli alberi erano scelti nei boschi vicini e tagliati per riuscire a far passare il bambino che doveva attraversare il foro per tre volte tra le braccia degli officianti. Il giorno stabilito era la vigilia di San Giovanni Battista (25 giugno) o, a volte, dell’Annunziata (25 marzo). Uno dei tabù da rispettare, per la piena riuscita del rituale e per la risoluzione del male, era dato dall’interdizione dei genitori dal luogo della cerimonia. Al termine del rito la pianta veniva accuratamente ricucita con pezze e fili di ferro, per un periodo di quaranta giorni che serviva a rimarginare il taglio, risolvendo così il malessere del bambino. Gli informatori presenti in queste rilevazioni, tutti appartenenti alla medesima famiglia, oltre a descrivere e spiegare il rituale, forniscono alcune testimonianze su una serie di casi curati, illustrano molteplici proprietà e qualità terapeutiche di alcune piante per la soluzione di determinati mali, tracciando confronti e sintesi tra l’efficacia della medicina ufficiale e quella popolare.
(811-13, 109039)
000 Patrizia Ciambelli, Enzo Bassano, Nocera Superiore 1976
Documenti sonori raccolti da Patrizia Ciambelli e Enzo Bassano il 15 agosto 1976 a Nocera Superiore (Sa) in occasione della festa di Materdomini. La leggenda narra che nel 1041 una donna di nome Caramari (cara a Maria) ebbe in visione la Madonna che le indicò dove costruire il tempietto in suo onore (1060). Il momento centrale della festa si svolge la notte tra il 14 e il 15 agosto quando i pellegrini si raccolgono in chiesa per la recita del rosario e nel piazzale antistante per assistere all'esecuzione di canti sul tamburo e canti devozionali spontanei. Durante la festa si consumano tipicamente diversi cibi: la palatella con la mpupata 'e alici (ovvero uno sfilatino con melanzane sott'olio, alici e peperoncino), i maccaruncielli del monaco, la minestra maritata e 'o mellone 'e fuoco (l'anguria). La restituzione dei repertori, che comprendono canti sul tamburo, devozionali, polivocali e a figliola, è compromessa dalla scarsa qualità dell'audio.
(299-300, 108858-9)
000 Patrizia Ciambelli, Caivano 1974
Un’indagine sulla presenza della magia nell’area di Caivano; la maggior parte delle interviste fornisce informazioni su rituali e usanze magiche efficaci nel costruire legami legami affettivi, per la buona riuscita dei matrimoni, per fascinare o "attaccare" il malocchio, elencando una serie di oggetti, ingredienti e formule impiegati. Inoltre, la raccolta include un’intervista durante la quale vengono recitate alcune parti della rappresentazione dei mesi inscenata per il carnevale, e il ricordo di testi e forme musicali che accompagnavano i lavori in campagna.
(518-19-29, 108917)
00 Patrizia Ciambelli
Già Conservatrice al Museo Nazionale di Arti e tradizioni popolari di Roma, per il quale, fino al 1990, è stata anche responsabile dell’Archivio Fotografico e Sonoro, Patrizia Ciambelli, a partire dal 1975, articolando le sue attività di museografa ed etnografa, si è interessata di riti e pellegrinaggi religiosi nell’Italia meridionale, con particolare riferimento al culto delle anime del purgatorio a Napoli, alle forme della lamentazione funebre in Calabria e Basilicata, partecipando attivamente alle ricerche sul tarantismo in area campana promosse da Annabella Rossi: a firma sua e di Aurora Milillo il saggio “Il viaggio immaginario" nel volume, postumo, della Rossi, E il mondo si fece giallo. Il tarantismo in Campania, Quale cultura/Jaca Book, Vibo Valentia.
I suoi interessi si sono in seguito focalizzati sulle pratiche di manipolazione e rappresentazione dei corpi, con ricerche estremamente originali sul ruolo e il valore simbolico dei gioielli nei processi identitari delle donne. Più di recente, nel quadro delle ricerche collettive del “Centre d’anthropologie” di Tolosa, si è rivolta allo studio di scritture antropologiche, con particolare riferimento alle corrispondenze indirizzate dal “glorioso Alberto” all’anima della zia Giuseppina Gonnella.
Tra i suoi numerosi lavori, si ricorda, come più attinente alle attività di questo archivio, Quelle figlie Quelle spose. Il culto delle anime del purgatorio a Napoli, con fotografie di Paolo Guiotto, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma, De Luca editore, 1980.
000 Paolo Apolito, Roscigno 1973
La raccolta contiene una serie di interviste realizzate da Paolo Apolito con alcuni studenti dell’Università di Salerno, per un’indagine sociologica in un piccolo comune di campagna nella provincia di Salerno. I temi affrontati nell’inchiesta riguardano le forme di organizzazione sociale, il lavoro e lo svago, le forme di indigenza ed emarginazione, l’abbandono scolastico e l’emigrazione in una comunità agropastorale.
(105 e 134-134a, 108770)
000 Paolo Apolito, Olevano sul Tusciano 1973
Documenti sonori registrati a Olevano sul Tusciano l’8 maggio del 1973 in occasione dei festeggiamenti in onore di San Michele, santo patrono del paese. La festa si ricollega a un leggendario avvenimento nel quale il popolo olevanese, preda di continui attacchi da parte dei pirati saraceni, chiamato a raccolta dal suono di pifferi e tamburi oltre che dallo sventolio delle bandiere, li avrebbe respinti scacciandoli verso il mare. Ancora oggi si suole celebrare questa giornata accompagnati dal suono del tamburo (suonato da molti in paese) e del piffero, chiamato in dialetto olevanese anche 'o sisc' (purtroppo attualmente sarebbero rimasti soltanto due suonatori di questo strumento: l’anziano Zì Mario Viscido e la più giovane Carmela che cerca di tramandare il frasario melodico appreso dagli anziani). La tradizione olevanese legata a questi due strumenti sarebbe antichissima: secondo Alessandro Di Muro, resti di flauti medievali (in osso di capra) risalenti all’ XI sec. sarebbero stati ritrovati durante degli scavi, da lui stesso condotti, presso la grotta di San Michele (si veda il volume La Grotta di San Michele ad Olevano sul Tusciano, 2011).
I suonatori di tamburo e piffero, insieme agli sbandieratori (si ricordano nel paese in particolare i nomi di Giovanni Cirigliano e Alberto Cicatelli), guidano la processione che si tiene ogni anno, seguiti da un gruppo di portatori (che si alternano durante il lungo e faticoso tragitto) che portano a spalla la statua del santo, dalle "pie donne" (che un tempo procedevano scalze) e dai devoti con un tipico abito rosso con cappuccio bianco e mantellina che indica la confraternita di appartenenza (ce ne sono ben tre nel paese), poi sfilano il parroco, le autorità civili e militari del paese, una banda musicale (che esegue marce e musica sacra) e, infine, la folla di fedeli, molti dei quali portano le cosiddette cende ovvero delle suggestive composizioni di ceri, a forma di nave. Si parte da Monticelli, una delle tre frazioni del paese, per poi attraversare e sostare anche nelle altre due, ovvero Airano e Salitto, dove infine ci si ferma in un grande spazio aperto, in località Cannabosto, per celebrare la santa messa. Da qui, dopo una gara di fuochi pirotecnici, comincia la faticosa e impervia ascesa (a cui infatti solo pochi "coraggiosi" fedeli partecipano), attraverso la valle del Tusciano, per raggiungere la grotta di San Michele Arcangelo detta anche grotta dell’Angelo, una cavità naturale situata sul Monte Raione chiamato dai locali Monte Sant’Eramo o Sant’Elmo. Ivi sorge un ampio complesso religioso di grande importanza storica (secondo Di Muro già dal VII sec. nella grotta vi era un santuario micaelico longobardo) composto da cinque edifici (denominati martyria): una basilica (con affreschi di epoca bizantina), due edicole votive, una chiesa e un oratorio. Si narra che in passato, in particolare nell’800, accompagnavano la processione anche persone che portavano con sé un’arma da fuoco a canna mozza chiamata pistone, usata dai briganti dell’epoca. L’arma, i cui spari erano particolarmente assordanti, veniva adoperata durante l’ascesa verso la grotta, oggi ai colpi scuri del pistone si sono sostituti i fuochi di artificio di cui si organizza, come già detto, ogni anno una gara con relativo premio alla ditta vincitrice.
Secondo la leggenda, San Michele si era stabilito su una delle due alture del paese, cioè Monte Castello, mentre Lucifero, che capeggiava gli angeli in rivolta contro Dio, sull’altra, vale a dire sul Monte Aureo. Proprio qui era avvenuto lo scontro finale tra i due, un duello di spade che aveva visto la vittoria di San Michele sul Diavolo il quale però, prima di soccombere, aveva sferrato dalla rabbia un calcio contro una roccia, sulla quale sarebbe ancora oggi possibile vedere la sua orma (la zampa del diavolo). Era poi rotolato giù fino alle acque del fiume Tusciano attraverso quello che viene ancora definito scivolatoio del diavolo, dove, da quel momento in poi, secondo il racconto popolare, non sarebbe più cresciuto alcun tipo di vegetazione.
La raccolta in oggetto contiene soltanto due brani suonati da piffero e tamburo a bacchette (brani 01 e 03) ed è per il resto formata da frammenti di interviste, in particolare a un devoto del santo patrono olevanese (brani 02, 04 e 05) che racconta di aver trovato, in seguito ad un sogno rivelatore, una sciabola (risalente probabilmente ai tempi della guerra) scavando proprio dietro l’altare della chiesa di San Michele situata nella grotta. Ricordiamo che nell’iconografia classica San Michele è rappresentato con le ali, poiché "angelo" (o meglio "arcangelo quindi capo degli angeli), con armatura e spada impugnata nella mano, poiché "guerriero" che ha sconfitto Lucifero (l’angelo che si è ribellato al Signore), e talvolta anche con una bilancia, perché secondo la tradizione avrebbe avuto anche il compito della "pesatura delle anime" dopo la morte.
(96 A 108750)
000 Paolo Apolito, Castel San Giorgio 1973
Le registrazioni sono state effettuate da Paolo Apolito a Castel San Giorgio (Sa) il Primo Maggio del 1973 in occasione della festa dei lavoratori, quando nello stesso paese era prevista anche una manifestazione e un comizio dei sindacati. Si tratta, in particolare, di interviste rivolte a contadini (dalla traccia 02 alla 06) che, nonostante si trattasse di una giornata festiva e ci fosse la manifestazione in paese, stavano lavorando duramente nei campi. Dalle interviste viene fuori uno spaccato umano e sociale di chi a quei tempi e in quelle zone, l'agro-nocerino, lavorava nell’ambito agricolo avendo grandi difficoltà a sopravvivere e a sostenere un lavoro tanto duro (molti sono anziani e peraltro malati o invalidi) quanto poco remunerativo. Tali condizioni non potevano non allontanare dal settore le nuove generazioni, spesso spingendole a cercare fortuna all’estero (in Germania, in Svizzera ecc.) o a trovare, se possibile, altri lavori, ad esempio nelle fabbriche. Tra tutte spicca l’intervista fatta ai De Benedettis (tracce 04 e 05), una famiglia di contadini con sei figli a carico che racconta la fatica di sopravvivere, e persino la difficoltà di provvedere al minimo sostentamento. La raccolta si apre con un’intervista ad un sindacalista, presumibilmente, che parla di alcuni progetti e proposte per migliorare le condizioni di lavoro dell’area, definita "zona alta" dell’agro-nocerino (traccia 01).
(96, 108749)
000 Paolo Apolito, Bracigliano, Venerdì Santo 1973
Potrebbe stupire il termine "festa" associato al giorno di lutto per eccellenza di tutto l’anno liturgico, ma è proprio con questa accezione che viene caratterizzato e per molti versi vissuto il Venerdì Santo a Bracigliano, distinguendosi in tal modo da tante tradizioni apparentemente simili. In questo giorno, infatti, dolore e festa mescolano le loro voci e i loro colori, sacro e profano convivono senza confondersi per la presenza di processioni e sacre rappresentazioni, e al tempo stesso di una piccola fiera con le sue bancarelle e i suoi venditori, sopravvivenza di un'usanza più remota. Il mercato iniziava alle prime luci dell’alba e si protraeva fino alle 15,00: a quell’ora le strade venivano sgomberate e pulite per permettere la processione di Gesù Morto. Oggi, le dimensioni del mercato si sono di molto ridotte e si svolge in una zona più lontana dalla chiesa, permettendo così un sufficiente decoro per la sacra rappresentazione dei Misteri che ricostruisce le diciotto tappe della Passione messa in scena da altrettanti gruppi lignei. Centrale è il fine pedagogico di questa sacra rappresentazione nella predicazione del sacerdote. I gruppi lignei sono portati lungo le strade del paese, ma solo per presentarli nella piazza antistante la chiesa permettendo all’oratore (sistemato su un palchetto dinanzi al sagrato) di predicare sulla Passione, commuovere la gente e invitare alla conversione.
Paolo Apolito documenta l'intero svolgimento della "sacra rappresentazione" registrando tutte le predicazioni che dal palco vengono rivolte, dal frate ospite, ai gruppi lignei che transitano nella piazza. Le predicazioni rappresentano il racconto della Via Crucis e spesso entrano in contrasto con i 'rumori' e gli imbonimenti dei venditori che non si arrestano, nel loro lavoro di vendita, al passaggio della processione. Alcune interviste al termine della processione ad alcuni protagonisti, come i portantini delle statue.
(128-9, 108766)