
Mimmo Ferraro
000 Paolo Apolito, Piazza di Pandola 1975
Rilevazioni condotte da Paolo Apolito (probabilmente in compagnia di Annabella Rossi e altri ricercatori) a Piazza di Pandola, frazione di Montoro inferiore, in provincia di Avellino, per la tipica mascarata che dal 17 gennaio (giorno di Sant'Antonio Abate) al martedì grasso si realizza nella cittadina, o in comuni limitrofi (Torchiati, Solofra, Mercato Sanseverino, Fisciano ecc.).
Presumibilmente le registrazioni si riferiscono proprio al martedì grasso, l'11 febbraio del 1975, quando, secondo quanto si apprende nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, la mascarata di Piazza di Pandola si era trasferita nel paese di Fisciano, in provincia di Salerno: lì erano state eseguite le diverse parti di cui essa si compone: lo 'ntreccio, le improvvisatedi Pulcinella e del Notaio, le macchiette dei mestieri ecc. (per la descrizione della mascherata di Piazza di Pandola si rimanda a P. Apolito, 1973).
Le registrazioni documentano diversi esempi (dalla traccia 01 alla 09) della tarantella eseguita dalla piccola banda (i cui musicisti sono provenienti solitamente da Serino, altro comune dell’area avellinese), composta da ciaramella, tamburo a bacchette, grancassa e piatti, che accompagna tradizionalmente lo 'ntreccio (altrimenti chiamato ballintrezzo), una sorta di danza corale processionale guidata da un uomo mascherato da zingara incinta, con cerchi di botte infiorati retti dai danzatori durante il ballo a comporre le diverse figure coreutiche. Per gli aspetti musicali resta un riferimento privilegiato il commento di Roberto De Simone (Il ballintrezzo di Piazza di Pandolain Carnevale si chiamava Vincenzo) che sottolinea come il ritmo di base, dato dal tamburo con costanti terzine, sia quello tipico della tarantella campana, con la grancassa che batte il tempo allo stesso modo e con lo medesimo andamento con cui si accompagna il pazzariello napoletano. Le frasi melodiche suonate dalla ciaramella sono talvolta in maggiore e talvolta in minore, e spesso in maggiore e minore nella stessa frase, "come accade spesso nella tradizione", come sottolinea De Simone. Frequente però è anche l'utilizzo di melodie famose nel fraseggio della ciaramella: molto ricorrente è il ricorso alla Tarantella di Luigi Ricci tratta dall’opera Piedigrotta (composta nel 1852 su libretto di Marco D'Arienzo), ma anche l'uso della melodia della celebre canzone partigiana conosciuta col titolo Bella Ciao (che secondo Roberto Leydi discenderebbe testualmente da un’antica ballata indicata dal Nigra col titolo di Fiore di tomba, con melodia e ritornello ripresi da un’altra canzone narrativa dal titolo La bevanda sonnifera) oppure di una canzone come Mamma, celeberrimo brano del 1940 del fortunato binomio Bixio-Cherubini, portata al successo da Beniamino Gigli.
Altro documento interessante è quello che raccoglie le parti recitate da Pulcinella e il Notaio (traccia 10): le due maschere esibendosi in strofette sullo stile delle ’mpruvvesate o sparate tipiche di personaggi della tradizione campana come il pazzariello, il Don Nicola ecc., prendono di mira notabili locali (in questo caso il sindaco e il vicesindaco di Fisciano, dove erano ospitati) o commentano avvenimenti che avevano coinvolto la gente del posto, (fanno riferimento al rigido ottobre del 1974, che aveva compromesso le coltivazioni nelle campagne). La raccolta si chiude con una breve intervista sulla mascarata ad un cittadino di Fisciano (traccia 11).
(184, 184A)
000 Paolo Apolito, Piazza di Pandola, frazione di Montoro Inferiore 1973
La raccolta riunisce i materiali registrati nel 1973 a Piazza di Pandola, una delle otto frazioni del comune di Montoro Inferiore (Avellino), durante il periodo di carnevale, ovvero dal 17 gennaio (giorno di S. Antonio Abate), continuando per tutte le domeniche successive, fino al Martedì Grasso (che quell’anno cadeva il 6 marzo), e documenta una delle più importanti "mascherate" di questo territorio, che si inscena nella piccola frazione per poi spostarsi anche nei paesi vicini. Della ricerca sul campo, svolta da un gruppo di studenti di antropologia dell’Università di Salerno coordinato da Paolo Apolito, si diede conto nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato da Annabella Rossi e Roberto De Simone e dato alle stampe quattro anni dopo. La "mascarata" o, come viene chiamata a livello popolare, 'a mascarata di Piazza di Pandola, secondo il racconto dei più anziani, era stata realizzta ininterrottamente (eccetto in tempo di guerra) fino al 1955, ma poi per quasi venti anni non si era più tenuta, soprattutto per una scarsa partecipazione dei giovani, i quali avrebbero dovuto fornire un ricambio generazionale nell’organizzazione e nell’esecuzione della stessa. Nel 1973, anche per questioni di rivalità verso due frazioni vicine (Borgo e Figlioli) che avevano riproposto la "mascherata", si era deciso di costituire un comitato e di lanciare un appello affinché la si potesse organizzare di nuovo anche a Piazza di Pandola, in modo da rivendicarne con orgoglio la "superiorità".
La "mascarata" del 1973 cominciava proprio a Piazza di Pandola il 17 gennaio, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate (che apre di solito le festività legate al carnevale), per poi spostarsi nelle domeniche successive, partendo sempre però dalla piccola frazione montorese, nei paesi vicini che ne facevano richiesta e che erano, per spazi disponibili e per gestione dell’ordine pubblico, più adatti ad ospitarla. In quell’anno furono visitati tra gli altri i paesi di Solofra, Torchiati e Mercato San Severino. La "mascarata" di Piazza di Pandola si contraddistingueva per la grande partecipazione popolare, coinvolgendo attivamente circa trecento persone di diversa estrazione sociale (contadini, operai, artigiani, impiegati, ecc.). Alla sfilata partecipavano per tradizione soltanto uomini, i quali si travestivano interpretando anche le maschere femminili. Le maschere storiche e più popolari erano "Pulcinella sopra la vecchia" (detta anche Pulecenella a cavallo ‘a quaresima) che secondo molti della zona sarebbe nata proprio lì a Piazza di Pandola, poi ’A vecchia c’a conocchia, ’a Zingara, il Giardiniere che lancia fiori e raccoglie tramite una scaletta le offerte in doni o in denaro del pubblico durante il tragitto, Pulcinella coi "Piccoli pulcinella" ecc. Ogni anno potevano aggiungersi però nuove maschere. Un’altra cosa tipica è lo ‘ntreccio, che però è diffuso anche in altri paesi (si veda la raccolta San Potito), che coinvolgeva diversi partecipanti i quali, disposti in fila, recavano in mano tralci di vite, ornati con nastri e fiori di carta multicolori, e ballavano formando diverse figure. Il primo e l’ultimo della fila venivano chiamati cap’ ru ball’ ì ‘nanz e cap’ ru ball’ ì rete (capo del ballo davanti e capo del ballo di dietro). Nel 1973 la sfilata delle varie maschere era accompagnata da una banda musicale che, però, non era di Piazza di Pandola ma era stata ingaggiata per l’occasione: si trattava della cosidetta piccola banda di Serino, altro paese dell’avellinese, dove si svolge peraltro un’altra "mascarata". Dopo il ballo, alcune maschere recitavano, oppure improvvisavano, alcune "parti": il Notaio, accompagnato dal suo servo leggeva il testamento di Carnevale e di Quaresima, Pulcinella faceva ‘a ‘mpruvvesata recitando battute estemporanee e vi erano infine una serie di macchiette legate ai mestieri, tra i quali si ricorda quella del pisciaiuolo, ovvero del pescivendolo.
Le tracce (che sono, purtroppo, in alcune parti, di pessima qualità sonora) riguardano principalmente momenti di interviste rivolte a vari protagonisti della "mascarata": gli organizzatori (brani 01, 02), le varie maschere e i partecipanti (da brano 03 a 08). Soltanto nell’ultima traccia (brano 09), dove si può ascoltare il suono en plein air della banda, si può avere anche un’idea sonora della sfilata del 1973 qui documentata. Molte dell’interviste risalgono alla domenica, il 9 febbraio del 1973, quando, secondo quanto si apprende dal volume Carnevale si chiamava Vincenzo, i partecipanti alla mascherata si stavano recando da Piazza di Pandola alle frazioni di Torchiati e San Pietro (che si trovano nel vicino comune di Montoro Superiore) per eseguire la sfilata, l’"intreccio" e le successive "parti" ovvero la tipica scaletta della "mascarata" che prevede appunto diversi momenti.
(106, 106A e 107)
000 Paolo Apolito, Olevano Sul Tusciano 1973
Rilevazioni realizzate effettuate il 25 febbraio 1973 a Olevano sul Tusciano (Sa),da Paolo Apolito insieme ad altri studenti dell’Università di Salerno, allievi dell’antropologa Annabella Rossi. Questi materiali, con altri rilevati precedentemente e successivamente, confluiranno nel 1977 nella pubblicazione del volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato dalla stessa Rossi e Roberto De Simone. La raccolta in questione è incentrata su un repertorio carnevalesco di tradizione orale assai diffuso in Campania, soprattutto in provincia: la Rappresentazione dei mesi. Si tratta, secondo le testimonianze raccolte nelle interviste condotte ad Olevano sul Tusciano (brani 03 e 04), di una tradizione ripresa dopo diversi anni di silenzio l’anno precedente (quindi il 1972), ma in continuità con diverse rappresentazioni che si erano tenute (secondo un testimone diretto che vi aveva preso più volte parte) almeno fin dal 1935. Secondo Toschi la Rappresentazione dei mesi è una sorta di "almanacco drammatizzato" dove "si fanno parlare i personaggi dei dodici mesi" (P. Toschi, Le origini del teatro italiano, 1955). A Olevano sul Tusciano nel 1973 partecipavano tredici uomini mascherati (principalmente operai o contadini), rappresentanti i dodici mesi, più loro padre, vale a dire "Capodanno", che, secondo Apolito, "non impersona drammaticamente una fase dell’anno, quanto invece una necessità magica di mutamento, di passaggio dal vecchio al nuovo, dal negativo al positivo" (si veda l’articolo sulle Rappresentazioni dei mesi, dello stesso Apolito, nel già citato Carnevale si chiamava Vincenzo). A Olevano ogni personaggio montava su un asino e il proprio mascheramento simbolizzava (attraverso alcuni elementi esibiti: ad esempio un frutto o un fiasco di vino recato in mano, ecc.) il mese rappresentato. La carovana era preceduta da un banditore a piedi, mascherato, che suonava il tamburo, e chiusa, invece, da un ragazzo non mascherato che montava anch’egli su un asino con due ceste ai fianchi. Quest’ultime servivano per raccogliere le offerte, in cibo e bevande, ricevute dagli attori nel corso del tragitto percorso da una frazione all’altra del paese dove essi, una volta arrivati, si esibivano. Le frazioni sono tre: Ariano, Salitto e Monticelli. Arrivati nelle piazze centrali di ciascuna frazione si disponevano a semicerchio e cominciava la rappresentazione. Le esecuzioni registrate de I mesi dell’anno (così viene chiamata la messa in scena dai locali e dagli stessi attori) sono infatti tre (brani 01, 02, 05), probabilmente una per ciascuna delle tre frazioni. L’ordine, secondo quanto si apprende dalle interviste, doveva essere il seguente: prima Salitto, poi Monticelli e infine Ariano che era considerata la frazione "capoluogo" e dove, alla fine della rappresentazione, faceva seguito anche la celebrazione del funerale di Carnevale, slegata però dai mesi. Nel "funerale" un corteo di maschere guidato da Quaresima accompagna il defunto Carnevale, spesso con in bocca una salsiccia (poiché morto per indigestione), che, a conclusione, viene bruciato su un falò preparato per l’occasione. Secondo alcune testimonianze la Rappresentazione dei mesi era stata ripresa grazie all’impegno del prof. Egidio Poppiti, poi scomparso; in seguito l’antica tradizione si è tramandata grazie all’impegno del Club Eureka che, in collaborazione con la Pro Loco del paese, si è impegnato affinché si mantenesse in vita. Da segnalare che a Olevano la Rappresentazione dei Mesi è appannaggio esclusivo delle voci maschili che interpretano anche i ruoli femminili (infatti l’unico mese "femminile", Aprile, presentato come "sorella" da Marzo, viene comunque interpretato da una voce maschile). Purtroppo non conosciamo i nomi dei cantanti-attori delle tre esecuzioni della Rappresentazione dei Mesi registrate ad Olevano nel 1973 qui raccolte, a parte uno, Amedeo Poppiti della frazione di Ariano, di cinquattotto anni, che si presenta in una delle interviste. Per il testo della Rappresentazione dei Mesi (detta anche "sfilata dei mesi") di Olevano, oltre al più volte ricordato Carnevale si chiamava Vincenzo, si rinvia al portale: http://www.olevano.it/tuttopaese/religione_e_folklore/carnevale.htm; per la documentazione fotografica.
(102-3, 108756)
000 Marialba Russo, Santa Croce del Sannio 1974
Rilevazione sul campo effettuata da Marialba Russo (probabilmente accompagnata da altri ricercatori, nell'ambito del lavoro collettivo confluito nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo) a Santa Croce del Sannio (Bn), il 26 febbraio (martedì grasso) del 1974.
Quell'anno il carnevale nella cittadina beneventana è stato caratterizzato essenzialmente da due rappresentazioni: la prima è quella dei "Mesi dell’anno" (per un’introduzione generale alla "Rappresentazione dei mesi" si rimanda a P. Apolito, Olevano sul Tusciano 1973). Il primo documento sonoro testimonia infatti la presentazione dei personaggi che interpretavano i Mesi i quali, secondo quanto riportato nel volume sopra citato, uscivano da una sorta di capanna montata con un telone sopra un trattore. Il secondo documento riporta invece integralmente la "Rappresentazione dei mesi" che era in dialetto (con strofe di versi endecasillabi di lunghezza varia, massimo sei) ma che a differenza di altre documentate (ad esempio Olevano sul Tusciano oppure Galluccio) era soltanto recitata e non cantata. I personaggi erano dodici, uno per ogni mese, manca qui la maschera e il personaggio di Capodanno riscontrato invece nelle rappresentazioni di altri paesi (Olevano sul Tusciano o Galluccio).
La seconda messa in scena, che coinvolgeva in particolare la popolazione più adulta (a differenza dai "Mesi dell’anno" che sono stati, almeno per il 1974, rappresentati principalmente da giovani del paese) e che secondo le testimonianze sarebbe la più "tipica" e "antica" di Santa Croce del Sannio, è chiamata "la Pace". Quest’ultima avrebbe avuto origine nel '500 legata a precisi avvenimenti storici: le invasioni saracene che riguardarono direttamente Santa Croce del Sannio e altri comuni dell’area come Alife (in provincia di Caserta), Sepino e Boiano (in provincia di Campobasso).
Nella rappresentazione si inscenava una sorta di battaglia che si concludeva raggiungendo la pace. Due i protagonisti: il capitano cristiano e il capitano saraceno (detti anche capitano di sopra e capitano di sotto, perché si mettevano in determinate posizioni del paese), c’erano poi i corrieri che si muovevano sui muli e che portavano l'imbasciata da una parte all’altra, la donzella vestita di bianco (interpretata però da un uomo, poiché le donne non partecipavano, un po' per "tradizione" e un po' per l'atmosfera particolarmente severa che vigeva nel paese durante il periodo di carnevale), e altre maschere secondarie tipo le pacchiane: erano complessivamente tra le dieci e le dodici maschere (per ulteriori dettagli si veda A. Rossi, Interviste 1974). Il terzo e ultimo brano contiene un'intervista con un cittadino di Santa Croce del Sannio in cui si parla della "Pace" che si sarebbe rappresentata di lì a poco ma di cui purtroppo non viene fornita la documentazione sonora. Nella stessa intervista si fa infine riferimento ad una farsa teatrale organizzata dai giovani, che si sarebbe tenuta, sempre in quella giornata, nei pressi del municipio del paese.
(169)
000 Marialba Russo, Pontelandolfo
Rilevazione sul campo condotta da Marialba Russo (probabilmente accompagnata da altri ricercatori) a Pontelandolfo (Bn), nel febbraio del 1974.
Nella cittadina beneventana dal 17 gennaio fino al martedì grasso si tiene tradizionalmente la ruzzola del formaggio, una una gara di lanci di pezze di formaggio lungo un percorso stabilito: vince chi completa il tragitto con meno lanci e i premi in palio sono le stesse pezze di formaggio lanciate; i due elementi, della sfida e del cibo, connettono la competizione alle caratteristiche dei riti propiziatori primaverili e di fertilità, tradizionalmente associati al periodo del carnevale (cfr. P. Toschi, Le origini del teatro italiano, Torino 1955).
Le origini della ruzzola del formaggio, che secondo i cittadini di Pontelandolfo si tramanda nel paese da secoli, risalirebbero ad un episodio realmente accaduto in cui un barone del luogo e il suo bracciante Pasquale si sarebbero sfidati con tali modalità per dirimere una controversia nata in seguito ad una scommessa. Le sfide si tengono di solito nel pomeriggio e coinvolgono un numero vario di giocatori (due, quattro oppure sei) che gareggiano solitamente da piazza Roma fino alla cappella di San Rocco. Ad ogni lancio si segna il punto che il formaggio ha raggiunto; i lanci avvengono utilizzando un filo doppio di spago con cui si avvolge la pezza di formaggio (rizavàglia) con un pezzo di legno cilindrico (spròccul) che funge da impugnatura e serve per lanciare la pezza stessa.
I documenti sonori raccolgono due momenti di interviste, prima e durante la ruzzola del formaggio,sulle origini e le regole del gioco, e su altre tradizioni ancora presenti localmente: la festa di San Giocondina nell’ultima settimana di luglio col dramma sacro dedicato alla vita della santa, la "settimana folcloristica" ad agosto che coinvolgeva in particolare il gruppo folcloristico di Pontelandolfo, e alcune tradizioni già scomparse scomparse come i Mesi dell’anno (che si facevano a cavallo) oppure le strofette di "Benvenuto a Marzo", l’ultimo giorno di febbraio.
(169)
000 Marialba Russo, Montemarano 1974-75
Realizzate nel 1974 e nel 1975, le registrazioni presenti in questa raccolta restituiscono una serie di esecuzioni che consentono un ascolto eterogeneo e significativo delle musiche e i canti legati al carnevale di Montemarano. I documenti sonori (a cui si aggiungono i repertori fotografici della stessa ricercatrice e di Annabella Rossinei medesimi anni) evidenziano tratti specifici e distintivi delle musiche di origine agropastorale del luogo, elementi noti all’etnomusicologia italiana e ampiamente analizzati dagli studiosi. Suoni e azioni che, tuttavia, non finiscono di esercitare il loro interesse per la continua e travolgente vitalità musicale della tradizione. Eseguite durante tutto il periodo carnevalesco, le performance musicali dei suonatori di Montemarano raggiungono il momento di maggiore intensità tra la domenica di carnevale e il martedì grasso. Accompagnando gruppi di danzatori in costume tradizionale guidati dai caporabballo (capi del ballo), la tarantella di Montemarano, eseguita dai vari gruppi al seguito della parata, pervade e accompagna ogni attimo della festa costruendo una dimensione sonora pulsante, frenetica e incessante. Mutata nel tempo, alimentata da micro variazioni nelle linee melodiche e ritmiche, tale forma musicale ha consolidato nella sua dinamicità una tradizione esecutiva basata sull’estemporaneità. La peculiare struttura organizzativa dei suoni rende unico il modello montemaranese di tarantella, dove il clarinetto esplora possibilità esecutive su un ampio corpus di frasi melodiche, costruite sulle modulazioni armoniche della fisarmonica e sulle sincopi e micro variazioni del tamburello. Gli stessi strumenti che formano le squadre di orchestrine segnalano la vivace rigenerazione della tradizione: nel tempo i rudimentali strumenti di origine contadina (ciaramella, tromba degli zingari, doppio flauto, organetto) sono stati sostituiti da strumenti colti (fisarmonica e clarinetto), più dinamici e congeniali ad elaborazioni e alle nuove interpretazioni delle nuove generazioni di musicisti. Oltre la consistente quantità di tarantelle, sono documentati alcuni canti polivocali e a distesa, composti sostanzialmente da endecasillabi variabili e ottonari, di significato amoroso e ironico-licenzioso. Completa la raccolta un’esecuzione esemplificativa di alcune ritmiche eseguite dal solo tamburello (brano 17), dove si rilevano una serie di sincopi, controtempi, trilli e variazioni realizzati con il membranofono a percussione. Un vasto corpus di esecuzioni che mettono in rilievo i tratti fondamentali delle performance dei suonatori di Montemarano, dense di virtuosismi e degli inconfondibili suoni di strumenti e voci di una tradizione viva.
(169A e 175-175A)
000 Marialba Russo, Marcianise2 1972
I documenti sonori della raccolta sono stati registrati il 15 Febbraio 1972 (Martedì Grasso) a Marcianise, in provincia di Caserta, da Marialba Russo (etno-fotografa, che scattò per l’occasione anche diverse foto) in collaborazione con Roberto De Simone. Da questi rilevamenti effettuati a Marcianise, e da quelli realizzati in quella stessa giornata a Maddaloni, altro paese del casertano, scaturì poi una vasta campagna di ricerca sui repertori campani legati al carnevale, che durò più o meno quattro anni (dal 1972 al 1976) e che vide coinvolti anche un gruppo di allievi di Annabella Rossi dell’Università di Salerno guidati da Paolo Apolito. I risultati di tale ricerca collettiva furono poi pubblicati nel 1977 nel volume Carnevale chiamava Vincenzo curato dalla stessa Annabella Rossi e da Roberto De Simone. Nel lavoro citato c’erano però diverse trascrizioni di testi e in alcuni casi anche delle musiche ma non vi erano le registrazioni sonore che, conservate presso l’allora Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (oggi IDEA), vengono qui presentate integralmente per la prima volta. La raccolta contiene quindici documenti sonori eseguiti da due straordinarie cantatrici femminili quali Venere Veneruso detta ‘A spagnola, che all’epoca aveva sessantanove anni, e Francesca D.G. detta Chicchinella che era invece assai più giovane, entrambe ex raccoglitrici di canapa (si veda Carnevale si chiamava Vincenzo, 1977); e da un cantatore maschile, un tal Peppeniello, ovvero Giuseppe, di sessantotto anni, di cui però purtroppo ignoriamo il cognome. Nella raccolta si segnalano in particolare le prime testimonianze campane di lamentazioni per la morte di Carnevale (brani 6 e 7) che secondo De Simone "dal punto di vista etnomusicologico si presentano come il modello più puro e arcaico di tale genere". Il canto di tali lamentazioni è articolato su distici di varia misura a rima baciata, ad assonanza o libera, seguiti dal tipico stereotipo Li gioia so (letteralmente "gioia sua") , secondo De Simone probabilmente mutuato dalle "vere" lamentazioni funebri: è riscontrato infatti, fin da tempi antichi, che nell’area campana per piangere i morti veniva spesso adoperata, come una sorta di nenia, l’espressione Ahi gioia mia o altre simili. A questa parte dal ritmo più lento segue, quasi sempre, una parte più vivace con accompagnamento ritmico (delle mani o del tamburo, per accompagnare la danza intorno al feretro di Carnevale o al fuoco sul quale brucia un fantoccio) a tempo di tarantella o tammurriata, una sorta di canzone a ballo (ad esempio il brano 03), per poi ritornare nuovamente alla lamentazione lenta.
Nella raccolta vi sono però anche alcuni interessanti canti a due voci femminili (01 e 02), anche questi caratterizzati dall’utilizzo di alcune formule stereotipe (Aitano, Aitano oppure ohè) e alcuni brani a voce singola con accompagnamento ritmico (04 e 05). Vi sono poi brevi interviste sul carnevale e sulla Rappresentazione dei Dodici Mesi (08 e 09) e anche due canzoni napoletane di quel periodo (ci riferiamo agli inizi degli anni ’70) cantate una da Peppeniello (Chitarra Rossa) e l’altra da Chicchinella (‘A meglio guapparia), a dimostrazione di come spesso i cantatori tradizionali passassero con disinvoltura dai repertori "contadini" a quelli invece più "urbani", come sono appunto le canzoni napoletane. La raccolta si conclude infine con una serie di canti dei carrettieri, altrimenti detti alla celentana o cilentane, eseguiti sia a più voci in una sorta di "botta e risposta" (12) che a voce singola (13, 14 e 15).
000 Marialba Russo, Marcianise1 1972
I documenti sonori sono stati registrati il 15 febbraio 1972 (Martedì Grasso) a Marcianise, in provincia di Caserta, in occasione della festività del carnevale da Marialba Russo (etno-fotografa, che immortalo per l’occasione anche diverse immagini) in collaborazione con Roberto De Simone. Da questi rilevamenti effettuati a Marcianise, ed altri realizzati in quella stessa giornata a Maddaloni, altro paese del casertano, scaturì una vasta campagna di ricerca sui repertori campani legati al carnevale, che durò più o meno quattro anni (dal 1972 al 1976) e che vide coinvolti anche un gruppo di allievi di Annabella Rossi dell’Università di Salerno guidati da Paolo Apolito. I risultati di tale ricerca collettiva furono poi pubblicati nel 1977 nel volume Carnevale chiamava Vincenzo curato da Annabella Rossi e Roberto De Simone. Nel lavoro citato c’erano diverse trascrizioni di testi e in alcuni casi anche delle musiche, ma non le registrazioni sonore che, conservate presso l’allora Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (oggi IDEA), vengono per la prima volta qui presentate integralmente.
I diciannove documenti della raccolta non riguardano però i repertori più strettamente connessi ai riti carnevaleschi (per i quali si rimanda alla successiva raccolta M. Russo Marcianise2 1972) ma piuttosto una serie di canti eseguiti in campagna durante la lavorazione della canapa (e perciò appunto definiti "scavacanapa" o "scavatore") che vengono qui registrati dalla straordinaria voce di Alfredo Ordano (brani 01, 02, 04, 07, 16, 17 e 18) che all’epoca aveva ottanta anni e che secondo De Simone "è stato uno dei più virtuosi cantori del casertano", in quanto "riusciva a modulare la sua voce secondo lo stile vocale più florido e melismatico della tradizione campana". I suoi canti "scavacanapa" sono talvolta inframezzati da un’espressione stereotipa con chiara allusione sessuale e cioè Janca ja, e sempe nera ‘a tiene! (ovvero "Bianca bianca, e sempre nera ce l’hai!"). Nella raccolta ci sono anche diversi momenti di intervista con Ordano (brani 03, 05, 06, 09 e 10), il quale in alcuni casi detta e spiega i testi dei brani eseguiti. In chiusura lo stesso Ordano esegue un brano (19) di chiara matrice "urbana": si tratta probabilmente di una canzone napoletana di cui però non siamo al momento riusciti a identificare titolo e autori. Oltre al repertorio di brani eseguiti da Ordano nella raccolta sono presenti alcuni interessanti canti femminili (11, 13, 14 e 15) anche questi caratterizzati dall’utilizzo di alcune formule stereotipe (Aitano, Aitano oppure Ohè) e una filastrocca cantata a ritmo di tarantella (12), tutti eseguiti da Venere Veneruso detta "'A spagnola" e Francesca D.G., detta "Chicchinella" (per queste due cantatrici , anch’esse di Marcianise, si veda in particolare la raccolta M. Russo Marcianise2 1972). Segnaliamo che "Chicchinella" sulle cadenze di diversi brani (anche in alcuni di quelli eseguiti da Ordano) esegue una particolare "risposta" sul testo di ‘bellacapepè!”, probabilmente bella capa 'e pezza ossia "bella testa di pezza" (nel dialetto napoletano con "capa 'e pezza" si indicano, sarcasticamente, le suore che hanno appunto il capo ricoperto di "pezza").
000 Marialba Russo, Maddaloni 1972
Questa raccolta contiene registrazioni effettuate il 15 febbraio del 1972 (Martedì Grasso) a Maddaloni (Caserta) dall’etno-fotografa Marialba Russo, accompagnata nell’occasione dal musicista ed etnomusicologo Roberto De Simone. La rilevazione di quel giorno (registrazioni audio e foto), che abbracciò anche il paese di Marcianise (si vedano a tal proposito le raccolte Marcianise1 e Marcianise2), riguardava principalmente i repertori carnevaleschi e in particolare le lamentazioni per la morte di Carnevale, per la prima volta registrate sul campo. Questi materiali, insieme ad altri raccolti negli anni successivi dagli allievi dell’Università di Salerno di Annabella Rossi (guidati da Paolo Apolito), furono poi riuniti e analizzati nel volume Carnevale si chiama Vincenzo, curato da Annabella Rossi e Roberto De Simone. Proprio da quest’ultimo lavoro abbiamo attinto le poche informazioni sui contesti esecutivi e in alcuni casi (più però per Marcianise che per Maddaloni) notizie sugli esecutori stessi.
Dal racconto fatto da De Simone sappiamo ad esempio che in quella giornata a Maddaloni "in più cortili era esposto il feretro di Carnevale morto agghindato con fiori e ortaggi vari". In uno di questi cortili vi era Michela Erbaggio, soprannominata "Fruttella", che allora aveva settantaquattro anni, la quale "suonando il tamburello ballava e cantava intorno al fuoco". Purtroppo, a parte la Erbaggio, non abbiamo al momento notizie e nomi degli altri esecutori, maschili e femminili, coinvolti nelle registrazioni, spesso costituite da brevi frammenti o caratterizzate da frequenti interruzioni. Solo in alcuni casi abbiamo delle esecuzioni più complete. I materiali registrati riguardano, come detto, principalmente le lamentazioni per la morte di Carnevale alle quali si alternano frequentemente momenti sfrenati di canto e ballo sul tamburo (brani 01, 06, 08, 10, 13, 16). Molto singolare è la traccia 13 che raccogli un canto alla cilentana, lamentazioni funebri per Carnevale e in chiusura una famosa canzone napoletana, Scapricciatiello che, come ha sottolineato De Simone, eseguita con accompagnamento del tamburo, nonostante la sua origine popolaresca, "diventava effettivamente popolare per il senso di funzionalità e di reale significato che le veniva conferito in un particolare momento collettivo". Vi sono poi alcune esecuzioni frammentarie della canzone di Zeza (brani 7, 9, 14 e 15), altre cilentane (brani 11, 12 e 17) e si chiude infine con due interessanti brani caratterizzati da voci di venditori alle quali succede una sorta di ritornello, in stile canzonettistico urbano, dall’incipit testuale E chesta nun è voce napulitana (brani 18 e 19).
(66)
000 I rilevamenti fotografici
Le fotografie pubblicate a corredo del Carnevale si chiamava Vincenzo nel quale le immagini avevano un ruolo preponderante anche per l'impostazione complessiva della ricerca che, scrivevano Annabella Rossi e Roberto De Simone, "da un punto di vista metodologico" era partita "dall'osservazione diretta di alcuni carnevali con il fine unico di documentare fotograficamente la gestualità, gli atteggiamenti, i costumi e sonoramente le musiche delle varie feste".
Alle fotografie, in particolare, era riservato il compito di porre in evidenza il "gesto somatico ritualizzato", espresso mediante "un linguaggio estremamente complesso che esprime contenuti simbolici collettivi ed individuali. Tale linguaggio non è solo esclusivo delle classi contadine e del sottoproletariato e proletariato urbano, ma è riscontrabile a vari livelli anche nel comportamento della piccola e media borghesia, se non anche nell'alta borghesia come una volta era comune alle stesse classi aristocratiche ed agli stessi monarchi borbonici che ostentavano paternalisticamente gesti e comportamenti del cosiddetto popolo basso".
All'ampio ed articolato corpus di fotografie di Marialba Russo, coinvolta anche come ricercatrice nelle indagini relative al Carnevale nonché nelle più generali attività di rilevazione sul campo del Museo, si affiancano altre immagini realizzate nel corso delle stesse ricerche da collaboratori di Annabella Rossi e Roberto De Simone, come Paolo Apolito e Enzo Bassano, una foto di Michele Gandin, compagno di vita e di ricerca della stessa Rossi, due foto di Antonio Parente, sul quale non si sono reperite altre informazioni, e numerosi disegni d'epoca, utili a indicare, anche visivamente, le connessioni al mondo antico che i due autori ritenevano di aver individuato in alcuni tratti peculiari dei carnevali campani.