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Fondo Teatrogruppo di Salerno (364)

Tra ricerca e riproposta, nei ribollenti anni '70

Il Teatrogruppo nasce a Salerno, sull’onda degli entusiasmi collettivi del ’68, per iniziativa di alcuni giovani intellettuali che individuano nel teatro, una certa idea di teatro, uno strumento utile a smuovere le coscienze riguardo le contraddizioni della società contemporanea. Richiamandosi idealmente a Bertoldt Brecht e al Living Theatre e guardando alle esperienze di Dario Fo, Carmelo Bene e Leo de Berardinis, la loro azione assunse da subito una connotazione militante, evidente fin dalla scelta dei luoghi privilegiati per le rappresentazioni (cantine e garage, per la strada e tra la gente), per la scelta degli argomenti (il primo spettacolo, Ballata del mostro lusitano, era tratto dalla Cantata del fantoccio lusitano di Peter Weiss e sempre da Weiss derivava anche il soggetto del secondo spettacolo, La persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat) nonché per le finalità immediate degli spettacoli (tra le quali anche la raccolta di fondi a favore di Soccorso Rosso, organizzazione che forniva assistenza legale ai militanti della sinistra extraparlamentare).
Fondato da Carlo Vassallo –colonna portante dell’intero progetto, con riferimento particolare alla componente musicale-, Fiorenzo Santoro –che da lì a poco sarebbe diventato magistrato della Corte dei Conti, Aurelio Musi –futuro docente di Storia moderna all’università di Napoli- e Michele Santoro –allora militante della formazione maoista di Servire il popolo-, il Teatrogruppo si configurò da subito come un “gruppo aperto” la cui storia sarebbe stata segnata da un continuo avvicendarsi dei componenti nella progressiva evoluzione degli interessi verso il mondo popolare, come testimoniato anche dall’arrivo di Ciro Caliendo (tra i più rinomati liutai meridionali, all’epoca dipendente di un istituto di credito ma prossimo alla laurea in etnomusicologia) e del fisarmonicista Gianfranco Rizzo (oggi docente del Dipartimento di Ingegneria Meccanica a Salerno): decisivo, riguardo a questa svolta verso i repertori tradizionali, l’apporto di Paolo Apolito, entrato nel gruppo nel 1974 quando già collaborava con Annabella Rossi  all’università di Salerno e mentre era impegnato nelle ricerche sui carnevali  campani assieme a Roberto De Simone
Dall’iniziale adesione a tendenze e istanze del folk revival nazionale, con particolare riferimento all’esperienza di Giovanna Marini, il Teatrogruppo assunse ben presto una posizione del tutto originale anche nell’ambito della riproposta e della rivisitazione dei repertori popolari,  guadagnandosi la stima e l’approvazione di Roberto Leydi che ne produsse gli LP per la collana Albatros dell’Editoriale Sciascia e ne favorì la partecipazione a importanti rassegne nazionali come il Maggio popolare del Centro di Ricerca per il Teatro di Milano del 1975, la Biennale di Venezia del 1976 e, nello stesso anno, il ciclo di concerti Musica popolare e folk revival per la Piccola Scala di Milano.
All’incrocio tra le due fasi principali della sua storia, in una singolare fusione di istanze teatrali e suggestioni e temi provenienti dalle musiche di tradizione, si pongono gli ultimi spettacoli del Teatrogruppo Pulcinella e Fanfani, del 1975, ricavato da un canovaccio di Michele Gandin, e Pulcinella e le elezioni anticipate, del 1976, in cui, nella dimensione pubblica della piazza e con finalità di carattere politico e sociale, venivano riprese le movenze fondamentali della gestualità popolare come in particolare quelle derivate dalla Zeza irpina, ampiamente documentata nella contemporanea ricerca sul campo, in particolare da Carlo Vassallo: teatro di strada militante che valse al gruppo la partecipazione, nel 1977, al Convegno nazionale dei gruppi di base di Casciana Terme e al Festival Nazionale dell'Unità tenutosi in quell’anno a Modena. 
Giunto all’apice del successo, forte anche di una notorietà che aveva varcato i confini nazionali, il Teatrogruppo si sciolse nel 1978 forse per l’esaurirsi, alla vigilia dei deprimenti anni ’80, delle spinte che avevano animato i generosi propositi di un’intera generazione, più probabilmente per ragioni interne alla sua stessa composizione e configurazione che vietava di trasformare in professione e mestiere le ragioni più profonde di quell’esperienza che aveva raccolto attorno a sé alcune tra le espressioni migliori della società civile di una cittadina del Meridione d’Italia.

 

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