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Fondo Jobbi (157)

Un pioniere della ricerca antropologica ed etnomusicologica in Abruzzo

"Ho conosciuto don Nicola Jobbi quasi trent’anni fa. Era stata Annabella Rossi, che già aveva incontrato, a parlarmi di lui, del suo impegno solitario (e in quegli anni pionieristico) per raccogliere e salvare i segni della vita e del lavoro contadino nella Valle del Vomano. Così lo andai a trovare e di quell’incontro porto un ricordo molto caro e molto vivo di una persona che, appartata dal mondo accademico e istituzionale, stava realizzando un lavoro straordinario, raccogliendo non soltanto gli oggetti della vita contadina, ma anche i canti, consapevole che già era in atto una trasformazione profonda della realtà economica, sociale e culturale che presto avrebbe portato alla cancellazione di quei gesti, di quelle consuetudini, di quegli attrezzi, di quelle parole, di quelle musiche e di quei canti che lui andava raccogliendo e fissando. La raccolta di canti e musiche di don Jobbi è importante, non soltanto per il materiale prezioso che comprende, ma anche per l’epoca nella quale ha cominciato a comporsi. Infatti le prime registrazioni sono del 1964 e si collocano, quindi, nel vivo della presa di coscienza, nel nostro Paese, dell’importanza (anzi, della necessità, dell’obbligo) di assicurare agli studi (e alla memoria storica) un patrimonio di cultura e di civiltà così a lungo negletto, o ignorato dalla cultura italiana".

Con queste parole Roberto Leydi racconta nel 1992 il suo incontro con don Nicola Jobbi e il senso della ricerca che il giovane parroco conduceva fin dal 1963, dall'epoca del suo insediamento in prima nomina presso il piccolo centro montano di Cerqueto di Fano Adriano, ai piedi del Gran Sasso d’Italia. Era il Natale del 1966; Leydi non era il primo ricercatore ad incontrare Jobbi, né sarebbe stato l'ultimo. Un anno prima il parroco si era recato a Roma al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, con lo scopo di approfondire il suo naturale interesse per la cultura contadina e pastorale. Fu allora che conobbe Annabella Rossi e Tullio Tentori; con la giovane antropologa sarebbe nato un rapporto di amicizia e stima durato fino alla scomparsa di lei, nel 1984.
Quando nei primi anni '60 Jobbi intraprese la sua ricerca museografica ed etnomusicologica la riflessione sul patrimonio immateriale demoetnoantropologico e il suo riconoscimento come parte integrante dei beni culturali erano ancora lontani. A queste espressioni "volatili", come le definiva Cirese, Jobbi dedica, istintivamente, una particolare attenzione, che ha origine nel suo ambiente familiare: figlio di piccoli coltivatori diretti, don Jobbi ha trascorso la sua infanzia in campagna, sulle colline di Mosciano Sant’Angelo a ridosso dell'Adriatico, dove è nato nel 1934.
Dalla fine del 1963, parallelamente all'attività di raccolta della cultura materiale, il parroco-etnografo ha condotto un'intensa ed articolata documentazione sonora e visiva della comunità di Cerqueto e di alcune località della montagna teramana. Accanto all'interesse per le testimonianze della vita locale Jobbi ha infatti coltivato una inusuale passione tecnologica, acquistando e utilizzando nel corso degli anni numerosi apparecchi fotografici, registratori, videocamere, proiettori, ciclostili per la stampa di comunicati e riviste autoprodotte.
Già nel 1982 il suo lavoro di ricerca è accostato da Tullia Magrini a quello di Pietro Sassu, Francesco Giannattasio, Roberta Tucci, Annabella Rossi, Sandro Biagiola, Bruno Pianta ed è l’unico citato in riferimento all'Abruzzo. Don Nicola Jobbi è in effetti fra i primi a compiere registrazioni di repertori musicali nella regione, assieme a Emiliano Giancristofaro (dal 1965), Carla Bianco (1963), Cesare Bermani (dal 1964) e dopo Elvira Nobilio (1958), Clara Regnoni Macera (1958), Alan Lomax e Diego Carpitella (1954), Giorgio Nataletti (1948).
Il Fondo Jobbi è un sistema complesso, dalle molte diramazioni, corrispondenti alle numerose relazioni istituite dal parroco nel corso della permanenza nella montagna teramana. La disponibilità a condividere i frutti delle proprie ricerche, è stata, in anni passati, anche la ragione della perdita di alcuni documenti importanti, come quelli registrati a Cerqueto nel 1964-65, e recuperati nel 2009 grazie alla disponibilità del Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona, custoditi in copia nel Fondo Leydi unitamente ad altri nastri registrati da Jobbi, alle documentazioni di Leydi, Carpitella e Jobbi a Cerqueto nel 1966 e a quelle di Maurizio Anselmi nell'Alta Valle del Vomano presenti nell'istituto svizzero.
Il progetto "Culture Immateriali" curato dall'Associazione Culturale Bambun – per la Ricerca Demoetnoantropologica e Visuale, ha affidato la documentazione alla supervisione di un comitato scientifico (diretto da Antonello Ricci e coordinato da Gianfranco Spitilli, che ne è l'ideatore) che opera nell'ambito di un partenariato istituzionale internazionale affrontando dal 2003 il delicato compito di provvedere alla catalogazione e alla digitalizzazione di tutti documenti sonori, conclusa nel 2012, e all'organizzazione dell'intero materiale documentale (fotografico, audiovisivo, cartaceo), numericamente imponente. Scopo ulteriore del progetto è il recupero dei materiali dispersi o custoditi in altra sede, come quelli presenti nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, e prodotti dai ricercatori che a Jobbi si rivolgevano per le loro inchieste nell'Alta Valle del Vomano: Anselmi (43 nastri acquisiti nel 2011), Candelori (5 audiocassette acquisite nel 2013), e numerosi altri in via di reperimento.
Questa fase di attività è giunta ad un primo esito editoriale con la pubblicazione, a cura di Gianfranco Spitilli, di Cerqueto è fatto a ferro di cavallo. L’attività di Don Nicola Jobbi in un paese montano dell’Appennino centrale (1963-1984), in cui confluiscono documenti sonori inediti provenienti dai numerosi nastri recuperati, organizzati nel cd allegato curato di Marco Magistrali.
Testimonianza concreta della capacità del prete-etnografo di tessere continui e produttivi rapporti, i documenti presenti in altri archivi pubblici e privati costituiscono un obiettivo patrimoniale essenziale, la cui reintegrazione potrebbe condurre all'istituzione di un polo documentale digitale dell'Alta Valle del Vomano a lui intitolato, e alla nascita di un archivio o istituto di ricerca sul territorio.