
Mimmo Ferraro
000 Castellabate 1975-1976
Ampia raccolta di documenti sonori registrati a Castellabate, paese del salernitano sulla costiera cilentana. I materiali sono stati raccolti in cinque diversi incontri, tra il primo agosto del 1975 e il 26 gennaio del 1976. Protagonista indiscusso è Giovanni Chirichella, anziano cantore e soprattutto suonatore di chitarra battente che, da solo o accompagnato da altri cantori (come Giuseppe Capezzuto, Costabile Marrone, Vittoria Chirichella, ecc.) ed esecutori strumentali (al mandolino, all'organetto ecc.), è presente nella gran parte delle registrazioni. Ed è lo stesso Chirichella a declamare e a spiegare i testi e a rispondere alle domande dei ricercatori. Il repertorio raccolto riguarda prevalentemente i canti cosiddetti alla cilentana, eseguiti principalmente a due voci con accompagnamento di chitarra battente, o anche solamente a due voci (tracce 73-79). I testi dei canti alla cilentana (che affrontano tematiche, come lo stesso Chirichella ribadisce, "d'amore, di sdegno e di lontananza") rispondono, in genere, allo schema metrico dell'ottava siciliana: quattro coppie di distici endecasillabi con rime alternate ABABABAB; spesso però i distici di un solo canto vengono sciolti in successive esecuzioni, anche perché Giovanni Chirichella, che è quello che più ricorda i vari canti, deve in molte occasioni istruire l'altra voce sui testi delle "stanze" (con questo termina si indica di solito l'intera ottava ma può riferirsi anche ai singoli distici) da cantare. L'esecuzione a due voci è tipicamente strutturata in modo che la prima voce canti interamente i due endecasillabi del distico, a questa "risponde" la seconda voce che comincia dal secondo emistichio del primo endecasillabo (ma possono esservi delle varianti), infine le due voci chiudono insieme cantando di nuovo il secondo endecasillabo, con alcuni passaggi in cui una fa quasi da bordone e l'altra esegue invece una serie di melismi. Si passa quindi da una struttura testuale a due (AB) ad una struttura melodica a quattro (ABA’B). La struttura esecutiva viene invece spesso indicata a livello popolare come terzetto, alludendo forse alla distribuzione delle parti durante l'esecuzione: due parti cantate singolarmente da ciascuna voce e una terza eseguita invece insieme. Oltre ai canti alla cilentana sono presenti diverse registrazioni, eseguite sempre con chitarra battente (ma in alcuni casi si aggiunge l'organetto o il mandolino), di tarantella oppure di pizzitata oltre a quadriglie e pastorali.
000 Campagna 1975
Documenti sonori registrati a Campagna il 5 agosto 1975, tutti eseguiti dalla voce di Adelina Corrente, casalinga e cuoca stagionale, residente nella cittadina ma originaria di Felitto, altro paese della provincia salernitana, situato però nell’entroterra del Cilento. L’informatrice esegue una serie di brani vocali: un canto legato probabilmente al momento della vendemmia, uno di tipo enumerativo, poi alcuni canti narrativi, quali Il cacciatore nel bosco ed E mamma fa la sarta, diffusi anche in Italia settentrionale (come canti delle mondine o canzoni di risaia), e infine una serie di frammenti con stereotipo ricorrente (Oi nanella oi nanà), tipicamente accompagnati dall’organetto, sul ritmo della tarantella diffusa in area cilentana.
000 Caggiano 1975
Documenti sonori raccolti il 9 novembre a Caggiano, cittadina della provincia salernitana, nota nell'ambito della musica tradizionale campana per la folta presenza di suonatori di zampogna, ciaramella e doppia ciaramella (cucchia). I suonatori di Caggiano sono noti per la devozione alla Madonna di Viggiano (in Val d’Agri, in Basilicata), partecipando attivamente alla festa mariana articolata in due momenti: il pellegrinaggio di salita al Sacro Monte (prima domenica di maggio) prima, e il pellegrinaggio di discesa (prima domenica di settembre) poi. Soprattutto l'ultimo appuntamento richiama un grande numero di fedeli che accorrono dalla Basilicata e, appunto, dal salernitano. Ai suonatori caggianesi spetta un ruolo d'onore nella processione, posti immediatamente innanzi alla statua della Madonna, anche perché secondo la leggenda sarebbe stato proprio un pastore di Caggiano ad avvistare, sulla sommità del monte, un grande fuoco che rivelava la presenza della Vergine (per approfondimenti si veda Giuseppe Mauro, La zampogna della Campania, Edizioni Ancia Libera 2003). Le visite a Viggiano, inoltre, si prolungano fino a dicembre quando avviene la benedizione delle zampogne nella basilica. I caggianesi suonano "alla mancina" ovvero con i chanter della zampogna invertiti e si presentano quasi sempre in squadre composte da due zampogne (tra cui anche quella di 6 palmi con tre bordoni), ciaramelle e coppia di ciaramelle chiamata cucchia (per ulteriori notizie si veda Nicola Scaldaferri, Nel paese dei cupa cupa, Squilibri 2006).
Le seguenti tracce documentano l'esecuzione dei fratelli Azzeo (Pasquale, Gennaro, Michele, Ciro), con zampogne e ciaramella, del repertorio tipico dei suonatori caggianesi che comprende novene (cantate o soltanto strumentali), sonate processionali e zomparielli (musica di accompagnamento alla danza, a tempo di tarantella). Ritorna spesso, soprattutto nelle novene, l'accenno al classico motivo melodico di Tu scendi dalle stelle (cfr. nello stesso Fondo Salerno 1974), diffuso nelle pastorali tradizionali un po' su tutto il territorio nazionale.
000 Acciaroli 1974-1975
Documenti sonori raccolti il primo agosto del 1975 ad Acciaroli di Pollica, località situata sulla costiera cilentana, nel salernitano. Tutti i brani, vocali e strumentali, sono eseguiti da Camillo Carracino che interpreta diverse cilentane(tracce 01, 03, 06, 07, 08) accompagnandosi con l’organetto e repertori per la danza (tracce 04, 05). Le ultime due tracce, una novena e uno zompariello(forma di tarantella diffusa in Cilento tra gli zampognari) sono state documentate l'anno prima (il primo luglio del 1974) e sono eseguite dallo stesso Carracino col fischietto, un flauto di canna molto corto a tre fori e con zeppa di salice, con cui si realizza una scala pentatonica con l'aggiunta di una nota supplementare occludendo parzialmente il foro terminale.
00 La ricerca
Con la svolta antropologica maturata soprattutto dopo l'arrivo nel gruppo di Paolo Apolito, il Teatrogruppo avviò a partire dal 1974 un'intensa attività di ricerca sul campo che, finalizzata a orientare e nutrire la proposta artistica, si svolse prevalentemente nelle province di Salerno e Avellino, con un'attenzione particolare al Cilento e all'Irpinia ma senza trascurare le diramazioni territoriali dei repertori progressivamente acquisiti anche oltre i confini regionali, come attestato dalla raccolta relativa a Lagonegro.
Ad animare questa attività furono, tra gli altri, Carlo Vassallo, uno dei fondatori del gruppo, e Ciro Caliendo, sopraggiunto proprio in quegli anni (il cui archivio privato sarà presto acquisito e restituito, in questo spazio, a una fruizione pubblica). Tra gli esiti più rilevanti sono senz'altro le indagini condotte nel Cilento, con un'ampia quanto estremamente rara documentazione sui repertori per zampogna e chitarra battente, e le ricerche finalizzate a verificare la persistenza di tradizioni relative ai Carnevali, confluite poi nell'elaborazione artistica del secondo LP. Un'attività di ricerca, peraltro, animata dagli stessi propositi di rinnovamento culturale e sociale che sorreggevano l'attività artistica, e significativamente nata in una reciprocità dialogica e di scambio che superava la distanza tra ricercatori e informatori. Emblematico al riguardo quanto capitato al gruppo a San Marzano sul Sarno, dove era stato chiamato dalla Federbraccianti a tenere una serie di incontri-concerti con i lavoratori agricoli. Durante uno di questi spettacoli, il gruppo intona un canto registrato poco prima nella zona, A miseria d’a casa mia, che viene presto ripreso e rilanciato dai braccianti-spettatori, non solo con le voci ma anche con tamburelli e tammorre, trasformando l'esibizione in una festa collettiva: a rafforzare tale disposizione dialogica, poco dopo, il concerto viene replicato presso la sede del Teatrogruppo - un garage in via Calenda - ma a ruoli rovesciati, con quegli stessi braccianti a riproporre ai componenti del gruppo, ora in veste di spettatori, numerosi canti e musiche poi inseriti stabilmente nel repertorio del Teatrogruppo.
Il fondo, ricco ed articolato, è ancora in corso di catalogazione.
00 Fondo Teatrogruppo di Salerno
Il Teatrogruppo nasce a Salerno, sull’onda degli entusiasmi collettivi del ’68, per iniziativa di alcuni giovani intellettuali che individuano nel teatro, una certa idea di teatro, uno strumento utile a smuovere le coscienze riguardo le contraddizioni della società contemporanea. Richiamandosi idealmente a Bertoldt Brecht e al Living Theatre e guardando alle esperienze di Dario Fo, Carmelo Bene e Leo de Berardinis, la loro azione assunse da subito una connotazione militante, evidente fin dalla scelta dei luoghi privilegiati per le rappresentazioni (cantine e garage, per la strada e tra la gente), per la scelta degli argomenti (il primo spettacolo, Ballata del mostro lusitano, era tratto dalla Cantata del fantoccio lusitano di Peter Weiss e sempre da Weiss derivava anche il soggetto del secondo spettacolo, La persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat) nonché per le finalità immediate degli spettacoli (tra le quali anche la raccolta di fondi a favore di Soccorso Rosso, organizzazione che forniva assistenza legale ai militanti della sinistra extraparlamentare).
Fondato da Carlo Vassallo –colonna portante dell’intero progetto, con riferimento particolare alla componente musicale-, Fiorenzo Santoro –che da lì a poco sarebbe diventato magistrato della Corte dei Conti, Aurelio Musi –futuro docente di Storia moderna all’università di Napoli- e Michele Santoro –allora militante della formazione maoista di Servire il popolo-, il Teatrogruppo si configurò da subito come un “gruppo aperto” la cui storia sarebbe stata segnata da un continuo avvicendarsi dei componenti nella progressiva evoluzione degli interessi verso il mondo popolare, come testimoniato anche dall’arrivo di Ciro Caliendo (tra i più rinomati liutai meridionali, all’epoca dipendente di un istituto di credito ma prossimo alla laurea in etnomusicologia) e del fisarmonicista Gianfranco Rizzo (oggi docente del Dipartimento di Ingegneria Meccanica a Salerno): decisivo, riguardo a questa svolta verso i repertori tradizionali, l’apporto di Paolo Apolito, entrato nel gruppo nel 1974 quando già collaborava con Annabella Rossi all’università di Salerno e mentre era impegnato nelle ricerche sui carnevali campani assieme a Roberto De Simone.
Dall’iniziale adesione a tendenze e istanze del folk revival nazionale, con particolare riferimento all’esperienza di Giovanna Marini, il Teatrogruppo assunse ben presto una posizione del tutto originale anche nell’ambito della riproposta e della rivisitazione dei repertori popolari, guadagnandosi la stima e l’approvazione di Roberto Leydi che ne produsse gli LP per la collana Albatros dell’Editoriale Sciascia e ne favorì la partecipazione a importanti rassegne nazionali come il Maggio popolare del Centro di Ricerca per il Teatro di Milano del 1975, la Biennale di Venezia del 1976 e, nello stesso anno, il ciclo di concerti Musica popolare e folk revival per la Piccola Scala di Milano.
All’incrocio tra le due fasi principali della sua storia, in una singolare fusione di istanze teatrali e suggestioni e temi provenienti dalle musiche di tradizione, si pongono gli ultimi spettacoli del Teatrogruppo Pulcinella e Fanfani, del 1975, ricavato da un canovaccio di Michele Gandin, e Pulcinella e le elezioni anticipate, del 1976, in cui, nella dimensione pubblica della piazza e con finalità di carattere politico e sociale, venivano riprese le movenze fondamentali della gestualità popolare come in particolare quelle derivate dalla Zeza irpina, ampiamente documentata nella contemporanea ricerca sul campo, in particolare da Carlo Vassallo: teatro di strada militante che valse al gruppo la partecipazione, nel 1977, al Convegno nazionale dei gruppi di base di Casciana Terme e al Festival Nazionale dell'Unità tenutosi in quell’anno a Modena.
Giunto all’apice del successo, forte anche di una notorietà che aveva varcato i confini nazionali, il Teatrogruppo si sciolse nel 1978 forse per l’esaurirsi, alla vigilia dei deprimenti anni ’80, delle spinte che avevano animato i generosi propositi di un’intera generazione, più probabilmente per ragioni interne alla sua stessa composizione e configurazione che vietava di trasformare in professione e mestiere le ragioni più profonde di quell’esperienza che aveva raccolto attorno a sé alcune tra le espressioni migliori della società civile di una cittadina del Meridione d’Italia.
000 Tullio Tentori, Ascea
L’indagine musicale di Tullio Tentori (Napoli, 11 aprile 1920 – Roma, 12 gennaio 2003) uno dei maggiori riferimenti dell’antropologia italiana, documenta la presenza di una tradizione di stornelli e canti a distesa polivocali con testi di contenuto amoroso e umoristico scherzoso nell’area di Ascea. Gli informatori, trascinati dalla voce e dall’organetto di Antonio Pica, eseguono un repertorio di canti a distesa strutturati in un coro eterofonico nel quale le voci miste seguono la stessa linea melodica, con varianti melodiche e di intonazione, restituendo un’espressione estetica di notevole effetto. La prevalente presenza di contenuti amorosi o ironico ridanciani riconduce, anche se non direttamente dichiarato nei documenti, ad un uso e ad una funzione sociali legati a momenti di vita comunitaria e individuale di solito in occasione di serenate e momenti conviviali.
(88, 93842)
000 L. Sonnella, Frattamaggiore 1973
La festa di Sona cà sceta o sona cà scena, che alcune testimonianze storiche fanno risalire al XVI secolo, mutata nel tempo, nella forma e nella sostanza, è documentata in questa indagine realizzata a Frattamaggiore nel 1973 attraverso interviste e testimonianze della comunità locale. La manifestazione si svolge il pomeriggio del lunedì in albis, dopo il rito più ortodosso di devozione alla Madonna dell’Arco che vede la partecipazione di ampie fasce di popolazione e pellegrini provenienti da luoghi limitrofi. La mattina cominciano a sfilare i battenti (fedeli che si battono il corpo in segno di devozione durante il cammino della processione) e i fujenti (devoti che corrono durante il pellegrinaggio al santuario), insieme a gruppi di fedeli vestiti di bianco con fasce rosse e azzurre che trasportano stendardi e quadri con l’immagine della Madonna, percorrendo ore di cammino, a volte scalzi, fino al santuario. La festa di Sona cà sceta si svolge nel pomeriggio del lunedì dopo Pasqua e coinvolge soprattutto la popolazione di Frattamaggiore. Di incerta interpretazione, il nome sona cà sceta potrebbe riferirsi alla "scena" (suona con la scena) del teatro popolare che si mette in atto nella festa, o alla "uscita" (suona perché è uscita) della processione dei santi. La festa consiste in una sfilata di statue di alcune figure della cristianità (San Giovanni, San Pietro, la Maddalena, l’arcangelo Gabriele, la Madonna) che vengono esposte e portate in spalla dai fedeli per le strade cittadine, andando alla ricerca del Cristo risorto. Lo spettacolo rituale messo in atto coinvolge i fedeli determinando una maggiore partecipazione empatica con il sacro mistero della resurrezione di Cristo. Sotto la guida di un regista, che dà indicazioni e fa muovere le statue nella ricerca del Risorto, si percorrono ed esplorano le vie del luogo fino all’annuncio del ritrovamento, notizia seguita da un’esaltazione collettiva espressa attraverso suoni e fuochi pirotecnici. I documenti e le testimonianze contenuti in questa raccolta si focalizzano sull’indagine della percezione e visione della festa per la comunità locale. Gli informatori, che prendono parte alla manifestazione in modi differenti, con ruoli e sentimenti eterogenei, forniscono una serie di opinioni, testimonianze e giudizi sull’evento, a volte utilizzando la festa come semplice pretesto o simbolo per affrontare e segnalare temi e quesiti di portata più ampia.
(120-4 108760-3)
000 Celeste, Solofra 1974
La raccolta documenta la processione solofrana del Venerdì Santo, manifestazione religiosa fortemente sentita e partecipata dalla comunità locale che mette in scena una rappresentazione popolare della Passione di Gesù. Nella processione sfilano figure e costumi a simbolizzare la passione di Cristo: gli apostoli, i soldati romani, i farisei, Pilato, le tre Marie, ma anche la croce, la corona di spine, la lancia che trafisse il costato, e altri simboli della Passione, trasportati per i vicoli da persone vestite con tuniche e cappucci bianchi. In queste registrazioni sono documentati alcuni momenti della processione, i passaggi della banda, i canti polivocali religiosi eseguiti dai fedeli, il richiamo del corno che guida la processione, alla testa del corteo.
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000 Celeste, Sant'Anastasia 1974
Documenti sonori registrati nel 1974 presso il santuario della Madonna dell’Arco (Sant’Anastasia, Napoli) durante il pellegrinaggio annuale del lunedì in albis a documentare alcune fasi del rito di entrata nel santuario dei gruppi di devoti detti battenti.
Gran parte della raccolta (tracce 1-9) è stata registrata vicino all’ingresso principale del santuario catturando il paesaggio sonoro che connota il momento dell’entrata dei battenti; risultano particolarmente evidenti, nella complessa stratificazione di voci e rumori presente nella registrazione, alcuni momenti del rito in cui la musica assume un ruolo centrale e dominante: si tratta degli interventi bandistici (tra cui predomina un arrangiamento strumentale dell’inno Noi vogliam Dio) che accompagnano le funzioni dei gruppi di battenti e ne coordinano i movimenti, enfatizzandone la componente coreutica e la marcata scansione ritmica. La musica delle bande, durante la funzione, spesso si interrompe per lasciare posto a una tradizionale voce di questua intonata da un singolo battente: è riconoscibile dal profilo melodico marcato (seppure soggetto a un certo margine di variazioni e abbellimenti individuali) e dall’incipit (Chi è devoto), invariabile a differenza dei versi seguenti, che si articolano in diverse versioni con piccole varianti. Più che come semplice richiamo da eseguire nell’ambito delle questue pubbliche, essa è considerata dai battenti una tra le più personali e sentite espressioni di devozione, e come tale viene eseguita spesso durante le funzioni (delle quali costituisce uno dei momenti apicali) oltre che durante la fase culminante del pellegrinaggio che si svolge all’interno del santuario, quando i gruppi di battenti si sciolgono e i singoli devoti si rivolgono individualmente al santo.
L’ultima traccia, della durata di pochi minuti, documenta un fenomeno radicalmente differente da quelli finora descritti, che ha luogo nella parte posteriore del piazzale antistante al santuario: qui convergono da varie località della Campania (tra le quali Somma Vesuviana e Giugliano) gruppi di musicisti e cantori tradizionali, molti dei quali esperti nei repertori di canti sul tamburo, fronne e canti a figliola, per dare luogo a prolungate performance in grado di attirare e coinvolgere un buon numero di spettatori e curiosi.
(155)