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Archivio Sonoro

000 Paolo Apolito, San Potito 1973

La presente raccolta è il frutto di una campagna di ricerca effettuata nel 1973 nel periodo di Carnevale (per la precisione nelle cinque domeniche che lo precedono e nel Martedì Grasso), a San Potito (Sa), una delle tre frazioni del comune di Roccapiemonte (le altre sono Casali e Materdomini). La ricerca vide coinvolto Paolo Apolito, coadiuvato da altri studenti dell’Università di Salerno, tutti allievi della cattedra dell’antropologa Annabella Rossi. Parte dei materiali di questa e altre raccolte furono trascritti (limitatamente ai testi) e analizzati nel volume Carnevale si chiamava Vincenzo, curato dalla stessa Rossi e dal musicista-musicologo Roberto De Simone. Proprio da quest’ultimo lavoro abbiamo attinto molte delle informazioni riguardanti gli esecutori e i contesti delle registrazioni qui presentate.
Grande importanza nel repertorio carnevalesco di San Potito assume la rappresentazione della famosa Canzone di Zeza, assai diffusa nell’area campana, sia a Napoli che nelle province, almeno a partire dall’'800, quando si hanno la prime testimonianze scritte. La prima fonte ci risulta essere la versione con musica pubblicata nel 1829 da Guglielmo Cottrau nei suoi Passatempi Musicali col titolo Antichissimo dialogo di Zeza che si canta in Napoli dal popolo colla maschera nel Carnevale. Un’altra edizione, contenente però solo il testo, è invece quella pubblicata da Avallone nel 1849 col titolo Ridiculoso contrasto de matrimonio ‘mpersona di D. Nicola Pacchesecche, e Tolla Cetrula figlia di Zeza e Polecenella. Per la Zeza sono state però ipotizzate origini almeno settecentesche (De Simone rintraccia addirittura delle parentele con le villanelle cinquecentesche). Secondo alcuni (A. Costagliola) la musica sarebbe da attribuire nientedimeno che al grande musicista di origine aversana Domenico Cimarosa, secondo altri (U. Prota-Giurleo), invece, il testo potrebbe essere di Domenico Antonio Di Fiore, uno dei più famosi pulcinella napoletani del XVIII sec.
I personaggi della rappresentazione sono essenzialmente quattro: Zeza (diminutivo di Lucrezia), suo marito Pulcinella, sua figlia Vicenzella o Porziella (nella tradizione orale) oppure Tolla (nella tradizione scritta), e il pretendente di quest’ultima, Don Nicola (o talvolta Don Zenobio). La canzone di Zeza raccolta a San Potito (brano 08) è inscenata da cinque personaggi: Pulcinella (interpretato da Salvatore Salvati), Zeza (Luigi Salvato), Vicenzella (non identificato), il notaio Don Nicola (Raffaele Ferrentino) e il servo del notaio (non identificato), il quale però non ha una parte cantata. Come si può vedere, anche in questo caso, come spesso accade nei repertori carnevaleschi, i ruoli femminili sono ricoperti, tramite travestimento, da uomini. Una delle peculiarità della Zeza di San Potito, già sottolineata da De Simone (si veda Son Sei Sorelle, Squilibri, 2010), è l’esecuzione "a distesa" e senza accompagnamento strumentale delle varie parti, con una vocalità che si avvicina molto ai tipici repertori di area campana (fronnecanti a figliola, ecc.), cosa inconsueta nelle altre esecuzioni conosciute della Zeza. Un’altra novità è che a San Potito la rappresentazione risulta divisa in due momenti: la Zeza "tradizionale", che conosciamo nelle diverse varianti, e quella indicata dai locali come La vecchia Vedova (brani 11 e 12): pur essendo intonata sugli stessi motivi melodici della Zeza, ha un testo completamente diverso. Si tratta di un altro contrasto di matrimonio dove restano i cinque personaggi ma con ruoli rovesciati: Zeza, che prima era maritata adesso è vedova (detta appunto "vecchia vedova"); Pulcinella, prima marito della Zeza ora è il pretendente; la figlia di Zeza, che non si chiama più Vicenzella ma Rusetta (Rosetta), il notaio Don Nicola e il servo del notaio. Questo testo è molto interessante e si inserisce nella serie di contrasti carnevaleschi già noti (al di là della stessa Zeza), come ad esempio il Rediculuso contrasto tra Annuccia e Tolla o il Ridicoloso contrasto tra una socera e una nora, dei quali abbiamo testimonianze scritte sempre nelle stampe ottocentesche, ma che sembrano ormai del tutto scomparsi in ambito orale. Sempre ad una tradizione scritta sette-ottocentesca sono da rapportare le canzonette carnevalesche, dette dal popolo macchiette, legate a vari mestieri (cacciatore, pescivendolo, giardiniere, castagnaio, ecc.) di cui abbiamo a San Potito un’interessante testimonianza sonora nella Macchietta d’ ‘o pittore, ovvero dell’imbianchino (brano 13), piena di allusioni sessuali. A San Potito, dai documenti raccolti, si hanno notizie dell’esecuzione di altre macchiette dei mestieri: quella d’ ‘o cacciatored’ ‘o pisciaiuolod’ ‘o giardiniere, ecc. Assai caratteristica è anche la canzone del "ciuccio morto" ovvero La lamentazione per la morte dell’asino (brano 09) che, secondo il racconto nell’intervista dello stesso esecutore (brano 10), in quel momento vuole simboleggiare la morte di Carnevale.
Infine c’è da segnalare che a San Potito tutta la rappresentazione carnevalesca, nei suoi tre momenti principali (ZezaVecchia Vedova e macchiette dei mestieri), che vengono ripetuti nelle varie frazioni e nei diversi paesi circostanti visitati, è accompagnata da una pratica separata, incentrata sulla danza accompagnata dalla musica, che ha origini diverse (e, secondo alcuni assai più recenti) rispetto alla Zeza. Si tratta della mascarata, qui chiamata ‘O ntreccio (brano 07), e si svolge nel modo seguente: ci sono un gran numero di ballerini vestiti con abiti "pacchiani" (cioè "contadini"), da loro stessi preparati o ricevuti in prestito, ornati di nastri coloratissimi; ciascun ballerino ha in mano un capo di tralcio di vite intrecciato, ornato anch’esso con nastri, carta e fiori multicolori; danzando al ritmo dei due strumenti che li accompagnano, ovvero tamburo e piatti, i ballerini costruiscono diverse figure formando talvolta un cerchio, poi una spirale oppure una stella. Da qui il nome di ’ntreccio che si riferisce quindi sia alle viti intrecciate sia alla danza intrecciata. Questa viene eseguita, ovviamente con passi diversi, sia in movimento, durante la marcia da una frazione o paese all’altro, sia durante le soste nelle piazze, dove, dopo lo ’ntreccio vengono rappresentate la Zeza, la Vecchia Vedova e le varie macchiette, le cui storie sono comunque degli intrecci amorosi e quindi, pur essendo cose distinte, probabilmente il nome è riferito anche a questo motivo. Di grande interesse sono infine le diverse interviste (brani 01, 02, 03, 04, 06) ad alcuni dei protagonisti, tra i quali spicca la figura di Zì Antonio, anziano del paese (classe 1892), il quale esegue anche un brano carico di allusioni sessuali (molto probabilmente un’altra macchiettacarnevalesca), dall’incipit Quando la donna è gravida (brano 05).

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  • Genere: Audio