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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:40

000 Anna Palmisano

Anna Palmisano nasce in contrada Franceschiello di Locorotondo (Ba) nel 1930 ed è la quinta di sette figli. Racconta che i genitori si sono conosciuti da giovanissimi a New York:  il papà, Angelo Antonio Palmisano, era minatore e la mamma, Lucia Colucci, tessitrice presso una fabbrica di tessuti. Tra il 1919 ed il 1920 i genitori si trasferiscono in Italia, in contrada Lamie Olimpie di Locorotondo (Ba), ossia nella loro zona d'origine, e comprano diversi terreni lavorando esclusivamente come fattori. E' qui che Anna, già da piccolissima, impara il suo ampio repertorio di canti: in gran parte attinto dalla madrina di battesimo, Rocca Grassi, e da Mariettë a scadaruzzë. La sua grande curiosità canora però, la spinge ad ampliare e divulgare il proprio repertorio anche attraverso l’apprendimento di nuovi canti riprodotti dal suo grammofono. Curioso il fatto che ne inserisca alcuni, anche del nord Italia, come la Piemontesina, nel suo contesto lavorativo e ludico. Di fatto conosce tutti i canti usati nella pratica quotidiana: quelli di lavoro, di questua, religiosi, narrativi, ninne nanne, stornelli, serenate, e grazie alla sua forte religiosità, conosce e recita molte preghiere, anche in vernacolo. Come spesso succedeva tra le donne del sud Italia, anche nel vissuto di Anna si notano accenni di magia popolare legati alla religiosità cattolica: sapeva togliere la fascinazione, l’affascinë, i dolori di ventre, il cosiddetto mal dei vermi, tagghje' lë vijrmë, attraverso formule magiche legate a preghiere.
Per quanto riguarda i canti polivocali, Anna spiega che si cantava a quattro voci: la prima, cherë ca pigghjë ‘nnendë, cantava la melodia fondamentale e spesso iniziava da sola la prima parte del verso; la seconda, cherë ca menë sopë, a soprenë, o u' grillë, cantava a intervallo di una terza sopra rispetto alla prima voce e le due voci di accompagnamento che raddoppiavano e imitavano la prima voce. Essendo molto brava cantava sempre o la prima o la seconda voce. Oltre ad essere un’ottima cantatrice Anna è anche una bravissima ballatrice: a tutt’oggi costituisce un  punto di riferimento per gli etnocoreologi che studiano le danze dell’area murgese. 
Importante figura, non solo affettiva, nella vita di Anna, è suo marito Leonardo Pinto, muratore e trullista col quale si sposa nel 1956. Con lui, bravo suonatore di organetto, si ritrovano a suonare e cantare praticamente in tutti i contesti musicali popolari. Iniziano, assieme ai tanti suonatori presenti della zona, ad animare anche i presepi viventi ed a suonare in eventi organizzati per recuperare il canto e la danza tradizionale. 
Oggi, nonostante la perdita del marito e la sua non tenera età, Anna è spesso presente nelle feste popolari della sua zona ed è contentissima di poter cantare per chiunque vada a trovarla.

Le strisce sonore da me individuate e così denominate sono quelle che i cantori salentini chiamano arie. Esse vengono utilizzate per funzioni diverse: per il ballo (e il ritmo è quello della pizzica pizzica) e per tramandare, non canzoni perché quelle hanno la loro musica, ma la vera e propria poesia orale, non scritta. Questo appena delineato è un antichissimo sistema di comunicazione già usato in Grecia in età arcaica. Poemi omerici e molte composizioni dei primi lirici greci furono trasmesse ai posteri proprio con il sistema delle strisce sonore. Queste erano e sono melodie molto semplici che trovavano il ritmo nella misura del verso, qui esclusivamente l’endecasillabo. Alcuni dei cantori che ho trovato, senza averne consapevolezza, attaccavano a cantare  senza più fermarsi un testo poetico dopo l’altro. Questo modo di cantare ha fatto nascere l’idea che la musica popolare salentina sia una musica monotona e con poca fantasia. Non è assolutamente vero. E’ solo quando si incappa in un cantore che possiede un vasto repertorio poetico che si può avere questa sensazione. Proprio per tale eccezionale caratteristica io ho potuto raccogliere un testo cantato su arie differenti e un’aria che supportava testi diversi. Questa mi sembra dunque la riprova che non si tratti di canzoni ma solo di poesia che viene tramandata con l’arcaico sistema di trasmissione. Ancora oggi nel Salento, per merito di questi cantori, si può osservare dal vivo il sistema di trasmissione dell’antica poesia greca. Un miracolo di sopravvivenza.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:34

000 Stornelli e contrasti

Stornelli e contrasti sono canti difficilmente definibili. Dal punto di vista testuale gli stornelli sono componimenti brevi che si eseguono con una musica spesso allegra in diverse circostanze. I contrasti prevedono sempre una opposizione. Due opposti che dialogano fra loro.
Entrambi i generi sono altamente comunicativi. Attraverso gli stornelli si possono dire cose che altrimenti sarebbe impossibile poter esprimere. In questo sono molto vicini alle serenate. Spesso hanno temi d’amore o di sesso. Attraverso la composizione formalizzata si esprime, in un mondo molto pudico e bigotto come era quello contadino, ogni pulsione e ogni fantasia.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:32

000 Serenate

Le serenate sono il canto popolare comunicativo per eccellenza. Esse ripropongono quasi sempre testi formalizzati, noti al codice di comunicazione dei due innamorati. La comunità si aspetta di ascoltare nelle serenate dichiarazioni d’amore o di sdegno oppure altro e quindi non sanziona e non proibisce quello che si canta. Nelle serenate l’innamorato può dire tutto quello che vuole comunicare alla sua amata approfittando della formalizzazione dei testi. Attingendo dal repertorio delle serenate l‘innamorato costruisce un percorso segreto di comunicazione.
Molto spesso, invece di andare a cantare in prima persona accompagnandosi ad un gruppo di suonatori davanti alle porte chiuse dell’amata, vi invia una terza persona: lu mandataru. Il mandataru quindi è il tramite tra i due innamorati. E’ lui a parlare per conto del giovane innamorato. Siccome "ambasciator non porta pena" ogni rischio viene così, ancora di più, scongiurato.

Eccezionali documenti che restituiscono dal vivo le sonorità presenti nei pressi di vari santuari come quello di San Rocco a Torrepaduli o la chiesetta sconsacrata a Galatina dove le tarantate si recavano il giorno della festa dedicata al loro santo protettore san Paolo per ringraziarlo per la guarigione ricevuta oppure per chiedergli la grazia (cfr. Ernesto De Martino, La terra del rimorso, il Saggiatore, Milano 1961; Brizio Montinaro, Salento povero, Longo, Ravenna 1976 e dello stesso autore Danzare col ragno, Argo, Lecce 2007).
In questa sezione sono presenti anche dei canti paraliturgici che si rifanno ad antiche leggende o a testi colti della religione cristiana. A tali canti si aggiungono alcuni documenti recitati, particolarmente significativi, relativi alla religiosità popolare.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:16

000 Rocco Gaetani

Rocco Gaetani l’ho incontrato in un caldissimo giorno di luglio del 1976. Mi aspettava sulla porta di casa. Qualche giorno prima infatti avevo preso accordi telefonici. Insieme siamo andati in un’ampia stanza con la volta a vele dove abbiamo trovato un po' di fresco. 
Rocco era un uomo schivo, timido direi, con quella serietà che contraddistingue gli uomini che con la campagna hanno avuto grande dimestichezza. Che sanno perciò cosa voglia dire la solitudine e il silenzio. Non abbiamo parlato molto. La stanza in cui eravamo sembrava lontanissima dal mondo esterno. Risuonava solo delle nostre voci. Rocco sapeva che cosa volevo e subito ci siamo messi all’opera. E così si è messo a sciorinarmi gran parte del suo repertorio di cantore solitario.
Quando ho sentito le prime note uscire dalla bocca mi sono emozionato. La sua voce veniva da un tempo lontano. Veramente lontano. Era una voce antica con una emissione inusuale tra tutta la gente che ho sentito cantare. Tagliente come una lama e tuttavia piena di dolore. Sembrava uno strumento ma era un uomo.
Cantava in grico e in dialetto martanese con grande naturalezza. Cantava soprattutto canti d’amore ma nella sua memoria di cantore aveva di tutto. Il suo repertorio pareva essere infinito.
Grazie ai documenti con lui registrati molte canzoni sulla soglia del deserto e della fine oggi sono ritornate sulla bocca di tutti. Il suo repertorio infatti ha nutrito tutti i gruppi di riproposta che dagli anni Ottanta ad oggi hanno praticato la musica popolare.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:12

000 Racconti e poesie

In questa sezione trovano posto una serie di racconti e poesie, in grico e in dialetto romanzo, che venivano detti nelle circostanze più varie. Intorno ad un braciere per passare il tempo nelle lunghe serate d’inverno oppure quando a carnevale, in maschera, si andava nelle varie case del paese a dire ognuno il proprio pezzo e chiedere qualcosa in regalo. Così ci si divertiva un tempo!
Alcuni di questi documenti sono particolarmente significativi perché esemplificano un modo di narrare. Noi oggi raccontiamo più o meno come parliamo. Un tempo, chi nel mondo popolare aveva attitudine a raccontare sapeva di dover cambiare registro e di dover usare la voce in modo particolare. Sfida tra poeti  è un esempio paradigmatico.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:05

000 Pizziche e tarantelle

In questa sezione sono presenti pizziche e tarantelle.
La pizzica era una musica che si usava in due occasioni molto diverse. Quando la si eseguiva in feste come matrimoni, battesimi, feste campestri e altre ancora serviva per la danza ed era molto ritmata e gentile. La danza veniva eseguita di solito da un maschio e una femmina. Durante il ballo i danzatori adombravano nei movimenti coreutici una specie di corteggiamento. Sia la musica che il ballo nelle situazioni sociali sopra menzionate venivano chiamati pizzica-pizzica.
Quando la stessa musica veniva usata per far danzare una tarantata o un tarantato diveniva molto più ritmata e drammatica e veniva chiamata invece pizzica tarantata.
Gli strumenti di solito usati per la pizzica erano il violino e il tamburello. Nei secoli passati sono stati usati gli strumenti a corde più diversi ma sempre uniti al tamburello con i rami, i sonagli.
Il ritmo ripetitivo della pizzica è spesso accompagnato dal canto. In questo caso i cantori utilizzavano la musica come base per intonare una sequela di testi poetici di vari generi, persino ninne nanne, senza soluzione di continuità tra l’uno e l’altro e potevano andare avanti a cantare per ore.
Di questo parleremo più distesamente nella sezione dedicata alle strisce sonore e catene di testi: le arie.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:03

000 Nuova canzone popolare

La canzone popolare non è una forma creativa cristallizzata e appartenente soltanto ai tempi passati. Nuovi autori sconosciuti si esprimono inventando versi e musiche e ponendosi istintivamente nell’alveo della tradizione che conoscono. I loro prodotti diventano popolari mentre i loro nomi si perdono nelle nebbie della memoria.

Venerdì, 08 Giugno 2018 11:01

000 Ninne nanne

Forme semplici ed elementari di canto le ninne nanne assolvono sempre a tre funzioni essenziali: fare addormentare il bambino (scopo raggiunto per mezzo del ritmo ripetitivo), acculturarlo e infine fare sfogare la madre attraverso il testo quasi sempre già formalizzato. Spesso dalle ninne nanne si rileva la condizione della donna del tempo passato, quando era inserita in una società profondamente maschilista. Nascere donna è stato sempre un dramma. Nascere donna al Sud un dramma ancora maggiore. La donna ha in sé valori molto deperibili: la verginità, l’onore e poi abbisogna di una dote. Nascere uomo invece era considerata una fortuna. L’uomo ha due braccia da lavoro e produce. Nelle ninne nanne si trovano dunque molto spesso, dette dalla madre, frasi negative rivolte alla figlia e positive e ricche d’orgoglio rivolte al figlio.

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