
Mimmo Ferraro
000 Matteo Salvatore. Il nostro sud
Di notevole interesse, nel Fondo Profazio, le raccolte dedicate a Matteo Salvatore nelle quali è continuo lo scambio di commenti musicali e narrazioni autobiografiche tra i due protagonisti, entrambi sospesi tra tradizione e folk revival. Tre delle cinque raccolte presentano le registrazioni effettuate da Profazio nella veste di ricercatore e documentatore (“M. Salvatore” - “M. Salvatore e A. Doriani” - “M. Salvatore. Un progetto... licenzioso”), anche in vista di progetti discografici sulla musica popolare del Sud Italia. Le altre due (“M. Salvatore. Quando la gente canta” - “M. Salvatore. Il nostro sud”) contengono le registrazioni (quelle realizzate come prova o quelle messe poi in onda) delle due omonime trasmissioni radiofoniche proposte dalla Rai nei primi anni ’70 che vedono conduttore Otello Profazio e protagonista principale Matteo Salvatore. Alcune presentazioni di Profazio non sono seguite dai brani cantati da Salvatore, segno che in alcuni casi, non avendolo come ospite in studio, venivano mandate in onda le incisioni discografiche. Costante, in queste registrazioni, la presenza di Adriana Doriani (scomparsa nel 1973), che propone anche, da solista, le canzoni composte per lei da Matteo Salvatore.
La raccolta presenta le conversazioni e brani musicali tratti dal programma radiofonico "Il nostro Sud" con Otello Profazio e Matteo Salvatore. Sull'aria di Sciuri sciuri Profazio presenta il programma ricordando quello dell'anno precedente, “Quando la gente canta”, dedicato alle canzoni popolari di tutta Italia. “Il nostro Sud” presenta invece canti popolari del sud Italia e, più in particolare, della Puglia e della Calabria, terre d'origine dei due protagonisti. Si riportano i brani relativi alle presentazioni e ai canti di Matteo Salvatore, nel programma intervallati anche dai canti calabresi di Profazio. Alcune puntate sono ‘a tema’, come quella dedicata ai proverbi paesani.
000 Matteo Salvatore e Adriana Doriani
Di notevole interesse, nel Fondo Profazio, le raccolte dedicate a Matteo Salvatore nelle quali è continuo lo scambio di commenti musicali e narrazioni autobiografiche tra i due protagonisti, entrambi sospesi tra tradizione e folk revival. Tre delle cinque raccolte presentano le registrazioni effettuate da Profazio nella veste di ricercatore e documentatore (“M. Salvatore” - “M. Salvatore e A. Doriani” - “M. Salvatore. Un progetto... licenzioso”), anche in vista di progetti discografici sulla musica popolare del sud Italia. Le altre due (“M. Salvatore. Quando la gente canta” - “M. Salvatore. Il nostro sud”) contengono le registrazioni (quelle realizzate come prova o quelle messe poi in onda) delle due omonime trasmissioni radiofoniche proposte dalla Rai nei primi anni ’70 che vedono conduttore Otello Profazio e protagonista principale Matteo Salvatore. Alcune presentazioni di Profazio non sono seguite dai brani cantati da Salvatore, segno che in certi casi, non avendolo come ospite in studio, venivano mandate in onda le incisioni discografiche. Costante, in queste registrazioni, la presenza di Adriana Doriani (scomparsa nel 1973), che propone anche, da solista, le canzoni composte per lei da Matteo Salvatore.
In questa raccolta Profazio registra canti eseguiti da Matteo Salvatore con l’accompagnamento di Adriana Doriani. Le registrazioni sono state probabilmente eseguite con lo scopo di realizzare un prodotto discografico. Nella seconda parte della raccolta infatti, qui non proposta, sono presenti anche i canti tradizionali eseguiti “a ricalco” da Carmelita Gadaleta che saranno poi presentati, nel 1974, in “Canti popolari di Puglia e Lucania. La buona sera” nella collana Albatros.
000 Lesina, Squinzano
La raccolta contiene una serie di brani e interviste registrate tra Lesina e Squinzano. A Lesina sono intervistati Pasquale e Grazia Trotta, fratello e sorella originari di Monte Sant’Angelo ma cresciuti a Manfredonia, che dispensano informazioni e memorie introducendo alcuni canti appartenenti alle tradizioni dei due centri garganici.
Del repertorio sipontino sono eseguiti una ninna nanna, un canto religioso, alcuni proverbi e favole; dal repertorio di riproposizione folclorica montanara sono eseguiti una forma di tarantella, una variante dei canti polivocali denominati pampanelle, proverbi e canzoni popolari; inoltre, è presentato un canto satirico di San Giovanni Rotondo. Alcuni tra questi brani registrati a Lesina contengono rilevazioni effettuate da Pasquale Trotta a San Giovanni Rotondo, dove si eseguono canti della tradizione di Monte Sant’Angelo.
Tutt’altro registro hanno le registrazioni realizzate a Squinzano che racchiudono un’amichevole conversazione/intervista tra Profazio e il noto cantante swing Nicola Arigliano. Originario del centro salentino, Arigliano intervalla aneddoti di vita con memorie dell’infanzia salentina, ricordando in alcuni tratti di conversazione, canti, filastrocche, stornelli e un lamento funebre ascoltati da bambino.
000 Grottaglie
Le registrazioni si suddividono in due momenti differenti. La prima parte, composta da cinque brani, è una sorta di panoramica a microfono aperto in un’osteria che raccoglie informazioni varie dalle voci degli informatori presenti, alternando nella sequenza frammenti di storie di vita, battute ironiche, informazioni generali, canti e cenni di stornelli tradizionali. |
000 Andria, Scorrano
La raccolta contiene cinque brani che alternano canti e filastrocche a brevi interviste. Del repertorio di Andria sono presenti due ninne nanne eseguite da Carlo Miani, presentate, commentate e tradotte dallo stesso informatore.
Di Scorrano sono documentati tre brani abbastanza eterogenei: si tratta della favola in filastrocca nota come Re Bafè, diffusa in diverse regioni del sud Italia e qui recitata nella versione locale da Domenica Presicce in Russo; in più, vengono presentate due canzoni popolari completamente esterne alla tradizione locale, importate, secondo la narrazione delle informatrici, da alcuni parroci giunti in missione nel centro salentino.
000 Altamura
Novantadue brani suddivisi tra interviste, canti di lavoro, canti d’amore e di sdegno, tarantelle, canti a distesa, lamenti funebri, filastrocche e giochi, formule religiose, ninna nanne, proverbi, canzoni di emigranti, grida di ambulanti e stornelli. Realizzate tra il 1978 e il 1980, le registrazioni rappresentano e testimoniano la complessità del mondo contadino, ma non solo.
Le narrazioni e i canti restituiscono una quantità ingente di informazioni sulla vita lavorativa degli agricoltori, uomini e donne, e su figure ormai quasi del tutto scomparse come i carrettieri e i venditori ambulanti. Le testimonianze, colme di visioni magico religiose, unite ai canti che manifestano una profonda forza espressiva e una notevole estetica musicale, forniscono la possibilità per appassionati e studiosi di indagare i repertori confrontandosi con elementi e saperi della cultura locale.
Di notevole interesse sono gli interventi di Maria Cristallo, riferimento della tradizione orale dell’intera regione, informatrice straordinaria e autentico albero di canto della Murgia.
Le registrazioni effettuate ad Altamura tra il 1978 e il 1990 scaturiscono dall’incontro di Otello con Maria Moramarco che, appartenente a una famiglia di cantori, già dalla metà degli anni Settanta si occupava di ricerca di materiali delle musiche di tradizione orale dell’Alta Murgia Barese, materiale che ha poi ispirato il repertorio del gruppo di riproposta Uaragniaun ed è confluito in parte nel testo Paràule (Piazza editore) con trascrizione, traduzione e partiture musicali dei brani.
Oltre a comparire pertanto come interprete in alcuni brani, Maria Moramarco realizza assieme ad Otello le registrazioni delle persone individuate come informatori, con particolare riguardo a Maria Cristallo con la quale aveva una assidua frequentazione che dura tutt’oggi.
000 La musica da ballo
Fino a pochi decenni addietro Corigliano d'Otranto era un paese in cui la danza tradizionale era molto sentita e praticata, sempre presente nelle feste in casa organizzate nel periodo di carnevale, durante i pellegrinaggi e nelle serate passate in campagna durante l'estate, quando intere famiglie si trasferivano per i grandi lavori agricoli. Parlando con gli anziani, ci si accorge infatti di quanto vivo sia il ricordo della tradizione dei suoni e dei balli, della frequenza con cui venivano praticati e dell'importante funzione ludica e sociale che rivestivano all'interno della comunità. Accanto alla pizzica pizzica, danza autoctona ritenuta tradizionale per antonomasia, erano in uso danze importate, come la quadriglia, lo scotis, la polca, la mazurca e il valzer, eseguite con gli strumenti in uso: organetto a otto bassi, tamburello, raschiatoio, tamburo a frizione. A Corigliano erano presenti numerosi suonatori di organetto. A differenza di altri paesi del Salento infatti, questo strumento, nonostante la diffusione solo recente, si è ben inserito nella cultura musicale locale, ricoprendo un ruolo centrale nell'esecuzione dei repertori da ballo.
000 I canti di questua del Natale
A Corigliano d'Otranto, fino a pochi decenni addietro, dal giorno di Santo Stefano all'Epifania, gruppi di cantatori e suonatori si recavano per le masserie suonando e cantando "la strina", canto augurale in griko, se la famiglia destinataria dell'omaggio sonoro era grecanica, oppure in dialetto romanzo, in cambio di doni. Per l'esecuzione del canto è ritenuta importante la presenza del tamburo a frizione, chiamato in grico "zampona", l'uso di questo strumento è ricorrente in Italia e in altre zone del bacino del Mediterraneo nei canti eseguiti nel periodo di Natale, carnevale e capodanno. Le registrazioni sono state effettuate da Salvatore Panizza, in occasione di esibizioni dei suonatori e cantatori organizzate dal circolo culturale Argalìo per rifunzionalizzare una tradizione già allora dismessa.
000 I canti della Passione
Nei paesi della Grecìa Salentina, per tutta la settimana che precede la Domenica delle Palme, alcuni cantatori, accompagnati da un suonatore di organetto, ora più spesso di fisarmonica, recando con sé un ramo d'ulivo addobbato con nastri colorati, fazzoletti, immaginette di santi e arance, eseguivano il canto di questua della passione di Cristo chiamato in grecanico I Passiuna tu Christù.
Il canto aveva una funzione di questua, e veniva eseguito nelle masserie e nei paesi fermandosi ai crocicchi dei vicoli, in modo che le voci potessero espandersi in tutte le direzioni e la gente potesse accorrere ad ascoltarli e omaggiarli.
Dopo un periodo di obsolescenza di questa pratica, grazie ad un rinnovato interesse per la propria cultura d'origine, la Passione iniziò ad essere cantata e rappresentata, sui sagrati delle chiese, in occasioni organizzate appositamente con lo scopo di divulgarla e salvarla dall'incombente oblio: è proprio in queste occasioni che Salvatore Panizza ha documentato alcuni degli esecutori più rappresentativi di Corigliano D'Otranto.
000 I canti a paravoce
Il canto a più voci è sicuramente la forma più diffusa, rappresentativa ed emblematica, della musica tradizionale del Salento. A Corigliano d'Otranto, il pregio di questo modo di cantare, detto "a paravoce", è ribadito dai cantatori e da chi lo apprezzava quando era ancora una pratica usuale della comunità.
Giuseppe Lolli, straordinario suonatore e cantatore coriglianese, racconta di quando la sera si riuniva con i suoi amici per strada, nei pressi della casa delle fidanzate, per mettersi in cerchio e cantare. Si cantava in griko, solo raramente in dialetto romanzo, i testi potevano essere d'amore o di sdegno ma non solo, esprimevano stati d'animo, e talvolta erano creati appositamente per una ragazza, una situazione, o una famiglia che non acconsentiva a un fidanzamento. Il bisogno di cantare, il piacere della fusione e dell'incastro delle voci, soddisfaceva tanto da diventare per loro, oltre che un motivo per stare insieme, un vero e proprio bisogno, così da spingerli ad andare in campagna di notte, a piedi, per "sfogarsi" nel periodo in cui c'era il coprifuoco, oppure quando morì giovanissimo il padre dei fratelli Serra, e la consuetudine locale vietava qualsiasi forma di divertimento.
Il canto a più voci coriglianese, a differenza delle altre forme diffuse nell'area, presenta una caratteristica fondamentale che lo rende pregevole e inconfondibile: oltre alla prima voce, alla seconda e ai bassi, è presente la "paravoce" detta anche "finta", la voce che raggiungeva il registro più acuto sulla chiusura della strofa. Oggi il canto "a paravoce" è appannaggio dei soli cantatori anziani: il merito del circolo culturale Argalìo è innegabile nella valorizzazione e nella divulgazione di una delle più alte e arcaiche forme di musica tradizionale della Grecìa Salentina, avendo permesso ai cantatori di eseguirlo anche quando le occasioni rituali stavano tramontando.