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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Lunedì, 11 Giugno 2018 17:40

000 Sulla terra del rimorso

Un documentario di Gianfranco Mingozzi che, a vent’anni dalla ricerca di Ernesto De Martino, ripercorre le tappe più significative dello sguardo etnografico sul mondo dei tarantati.
Sui testi di Claudio Barbati e Annabella Rossi scorrono quindi immagini girate nel 1961 da Mingozzi e sequenze tratte dal documentario televisivo del 1977 Sud e magia ad articolare l’inchiesta, su vecchie e nuove criticità della terra del Salento, che riporta il regista a Galatina il 29 giugno del 1982 quando il piazzale antistante la cappella, durante le solennità dedicate a San Paolo, è ormai gremito di fotografi, cineoperatori e turisti, e quasi più nessuno arriva per l’esorcismo. 
La consapevolezza di trovarsi di fronte alla parabola ormai ascendente del rito, accresce il valore documentario delle immagini girate da Mingozzi, che sembra voler discretamente isolare lo sguardo dai molti avventori, procurando la vertigine di inquadrature dall’alto, osservate dai tetti circostanti, e prendere le distanze “dal cattivo passato che ritorna” col lascito di una “vuota mania di folclore”: accanto a spezzoni delle opere precedenti, hanno un alto valore documentario le riprese sulle ultime tarantate in cui il rito sembra sopravvivere in forme accentuatamente isteriche.
Scorrono immagini, senza commento né audio, di un rito in estinzione, che sfumano nei paesaggi delle campagne invase dal crescente, quanto fallimentare, sviluppo industriale, che parlano di una consapevolezza già forte, avvisando che i processi di modernizzazione del lavoro non riusciranno a risparmiare nuovi disagi, come testimoniano le parole di De Martino riportate in chiusura: “oggi noi sappiamo che il morso non è l’assalto di un demone, ma il cattivo passato che torna e si propone alla scelta riparatrice; momento di un interiore rimordere, sintomo cifrato di conflitti operanti nell’inconscio. Ecco perché il tarantismo ci riguarda da vicino e sfida, ancor oggi, le insidiate potenze della nostra modernità”.

Un programma in quattro puntate di Claudio Barbati, Giancarlo Mingozzi e Annabella Rossiche ritornano sui luoghi consacrati in ricerche esemplari come “Morte e pianto rituale nel mondo antico”, “Sud e magia” e “La terra del rimorso”, edite tra il 1958 e il 1962. Come dichiarato da Barbati al RadioCorriereTv, l'intento del programma era porre in evidenza come, “tra vecchio e nuovo, tra cultura contadina e modelli imposti dall’alto, tra credenze arcaiche e disincanti recenti, il mondo magico resiste, magari venendo a patti con la società dei consumi, ma più spesso mettendo nuove radici proprio nel suo vuoto e nei suoi squilibri”. 
Dopo i documentari che, dalla fine degli anni '50, avevano realizzato registi e documentaristi accomunati dalla sensibilità per il mondo popolare svelato dalle ricerche di De Martino, come Luigi Di Gianni, Cecilia Mangini e lo stesso Mingozzi, con Sud e magia si realizzava così “il viaggio più lungo e approfondito sui luoghi demartiniani”, a oltre vent'anni dalle ricerche di De Martino e a dodici anni dalla sua morte.
Con interviste ad alcuni dei protagonisti e testimoni, come in primo luogo la moglie Vittoria De Palma, e con l’ausilio di fotografie e filmati del tempo, si  descrivono contesti, presupposti ed obiettivi di quelle ricerche che segnarono uno spartiacque decisivo nell’antropologia contemporanea ma, allo stesso tempo, ampliando l’ambito di indagine, si offrono materiali inediti di grande interesse storico e culturale.  Nel succedersi delle puntate, scorrono infatti figure di guaritori e santoni che, non toccate dall’indagine di De Martino, avrebbero sicuramente richiamato la sua attenzione come Michele Acquaviva di  Cerignola, Domenico Masselli sul Gargano, il mago di Padula, zia Vittoria e il glorioso Alberto, sui quali da tempo si andavano orientando gli interessi di studio e di ricerca di Annabella Rossi, allieva di De Martino e tra le più rilevanti espressioni dell’antropologia italiana. 
Nella puntata dedicata al tarantismo, si segnala l’esclusiva intervista a Maria di Nardò, la più celebre delle tarantate che risponde con fastidio a domande che l’obbligano a ricordare quanto evidentemente voleva rimuovere dalla sua memoria e che, di fatto, andava eclissandosi anche dalla tradizione salentina: quella stessa Maria di Nardò consacrata proprio da Gianfranco Mingozzi nel documentario “La taranta” del 1962, mentre si dibatteva a terra in preda al morso del ragno e al ritmo scatenato della meloterapia guidata da Luigi Stifani. 
Autore e sceneggiatore per il cinema e la televisione, Claudio Barbati aveva avviato dal 1970 con Mingozzi un rapporto di collaborazione nel lavoro di ricerca, trattamento e sceneggiatura di diversi progetti.
I tre autori pubblicarono un resoconto di questo loro viaggio nei luoghi e temi di De Martino in Profondo Sud, edito per Feltrinelli nel 1978.  

La parte pugliese della "prima rappresentazione di canti, balli e spettacoli popolari italiani" a cura di Roberto Leydi, "con la consulenza di Diego Carpitella" e "la messa in scena di Alberto Negrin": una memorabile esperienza di studio e ricerca culminata nell'offerta, a un pubblico urbano e in uno dei luoghi più emblematici della cultura europea come il Piccolo Teatro, di una panoramica su alcune delle tradizioni musicali italiane attraverso interpreti al massimo del loro vigore espressivo e performativo. 
Nel programma di sala dello spettacolo, andato in scena al Teatro Lirico di Milano dal 2 febbraio al 5 marzo del 1967, si leggeva che "le voci vive e vere dei contadini, dei pastori, dei montanari, degli operai di Carpino (Foggia), Ceriana (Imperia), Crema (Cremona), Maracalagonis (Cagliari), Nardò (Lecce), Orgosolo (Nuoro), San Giorgio di Resia (Udine) e Venaus (Torino), i loro balli, i loro strumenti, le manifestazioni della loro civiltà testimoniano della presenza attiva della cultura popolare nel mondo moderno", cosa che si estrinseca in un ricchissimo repertorio che si articolava in "ballate storiche, canzoni narrative, canti di lavoro, mutettus, stornelli, sos tenores, sunetti, la terapia musicale del tarantismo pugliese, la danza delle spade, il ballo tondo, la tarantella, la Resiana" affidati a strumenti come "launeddas, solittu, organetto, tamburello, violino, violoncello, chitarra, chitarra battente, triangolo".
Diverse le finalità perseguite con questi "incontri con il mondo popolare", esplicitamente indicata da Diego Carpitella e Roberto Leydi nelle note introduttive: "proporre all'attenzione degi specialisti, dei critici e soprattutto del pubblico le possibilità spettacolari nuove e provocanti del mondo popolare italiano, ma 'vero', 'vivo', non folklorizzato, non strumentalizzato" e "contribuire a sgombrare il terreno da una serie di equivoci, di interessate distorsioni che il successo mondano del 'folk' ha suscitato" e, infine, presentare "la realtà documentaria e criticamente riproposta di una 'civiltà' che ignoriamo, anche se convive con noi e costituisce la fonte della nostra coscienza civile e culturale". 
Uno spettacolo, di cui ci restano anche le foto di Luigi Ciminaghi, realizzato con il "riscontro di una documentazione oggettiva" che, nel caso della Puglia, si era concretizzata nelle rilevazioni sul campo realizzate da Leydi con Carpitella l'anno prima a Carpino e a Nardò.
Lo spettacolo è stato pubblicato nel dvd allegato al volume di Domenico Ferraro, Roberto Leydi e il Sentite buona gente. Musiche e cultura nel secondo dopoguerra, Squilibri, 2016.

Lunedì, 11 Giugno 2018 17:24

000 Programmi di informazione

Servizi dei telegiornali ed altri programmi di informazione per documentare la considerazione e rappresentazione, su un piano nazionale, delle musiche di tradizione e dei loro contesti sociali e culturali nel corso dei decenni.

Lunedì, 11 Giugno 2018 17:20

000 Nel Sud di Ernesto De Martino

Nel Sud di Ernesto De Martino è un programma in tre puntate che, realizzato da Luca Pinna con la consulenza scientifica e la presenza in studio di Clara Gallini, intendeva ripercorre la storia del documentario italiano ispirato alle ricerche di Ernesto De Martino. Oltre a sollecitare più volte una stretta collaborazione tra ricerca scientifica e riprese audiovisive, in vista di un’auspicata e mai realizzata “enciclopedia cinematografica”, De Martino aveva collaborato direttamente, in qualità di autore dei testi o come consulente scientifico, alla realizzazione di alcune opere divenute dei classici dell’antropologia visuale: Lamento funebre di Michele Gandin del 1953,  Magia Lucana di Luigi Di Gianni del 1958,  La passione del grano di Lino Del Fra del 1960, La taranta di Gianfranco Mingozzi del 1961 e I maciari Il ballo delle vedove di Giuseppe Ferrara del 1962.
Con una sorta di epilogo, rappresentato dal lavoro di Michele Gandin e una coda alquanto significativa nel 1978 con Sud e magia di Gianfranco Mingozzi, la fase fondativa del cinema documentario italiano (caratterizzata da un’attenzione pressoché esclusiva per i grandi temi delle ricerche demartiniane come il lamento funebre, i rituali magici e il tarantismo) può essere idealmente circoscritta con due opere (Magia Lucana del 1958 e La madonna del Pollino del 1971) di Luigi Di Gianni che ampliò il suo ambito di ricerche verso tematiche che, non toccate dalle ricerche di De Martino, avrebbero sicuramente incontrato il suo interesse.
Anche per questo nelle tre puntate del programma, a parte Stendalì di Cecilia Mangini e La passione del grano di Lino Del Fra, si vedono soltanto documentari di Luigi Di Gianni,, la cui produzione è assunta come la più rappresentativa di una stagione del cinema italiano segnata indelebilmente dall’influenza di De Martino: tra i documentari proiettati e commentati anche Il male di San Donato.

Lunedì, 11 Giugno 2018 17:16

000 Matteo Salvatore

Con alcune assolute rarità, quali una breve esibizione al Teatro Petruzzelli di Bari del 1957, le trasmissioni televisive con il grande interprete di Apricena, l'autore più atipico e irregolare della musica popolare pugliese, sia per il suo particolare rapporto con la tradizione, sempre filtrato da una fortissima personalità, sia perché entrato precocemente in contatto, a metà degli anni '50, con l'industria discografica e il mondo dello spettacolo. Dotato di una voce estremamente duttile e di uno stile chitarristico sobrio ed elegante, di lui non si può parlare né come di un esponente della tradizione né come di un cantautore "colto". È stato, piuttosto, un singolarissimo poeta e cantastorie di vicende di miseria nera, amore e sopraffazione che affondano le radici nel Gargano della sua infanzia.

Carpignano, un piccolo paese ad economia prevalentemente agricola, situato al centro della provincia di Lecce, intorno alla metà degli anni Settanta diventa lo scenario di un rivoluzionario intervento di “animazione teatrale”, che avrebbe prodotto effetti di lunga durata sia nell'ambito del dibattito sul concetto stesso di "teatro", sia nel processo di riscoperta e di rivalutazione delle tradizioni salentine, in quegli anni ai suoi inizi. 
Nel 1974, da maggio a ottobre, il danese Odin Teatret, diretto da Eugenio Barba, uno dei più importati autori di teatro contemporanei, in quel periodo in tournèe formativa, scelse il paese salentino come base per la sua attività. Per Barba era anche una sorta di ritorno a casa date le sue origini pugliesi.
L’attività dell’Odin, oltre a seminari e incontri, era incentrata sulla pratica del “baratto culturale” fra i teatranti scandinavi e gli abitanti di Carpignano, in prevalenza contadini. L’idea era quella di scambiare gli “spettacoli” del gruppo con le musiche e le danze della tradizione locale, ancora molto viva. Si organizzarono quindi delle meravigliose giornate in cui i locali e i prestigiosi ospiti fraternizzarono e si “scambiarono” i propri “saperi”.

Lunedì, 11 Giugno 2018 17:10

000 Dal RadioCorriereTV

Gli articoli di approfondimento, le schede e i rimandi che, dal 1925 al 1995 e poi dal 1999 fino al 2008, hanno accompagnato la programmazione televisiva della Rai, settimana dopo settimana, con firme anche di grande prestigio e temi ed argomenti del tutto impensabili oggi su un periodico di grandissima diffusione.

San Nicandro Garganico nei primi anni del ‘900 è centro promotore di un movimento anarchico protagonista di frequenti e decisi atti dimostrativi contro la prevaricazione dei potenti; è il paese natale di un leader socialista, Domenico Fioritto, instancabile organizzatore politico, e di Emanuele Gualano, indomabile capopolo di fede anarchica; è il teatro di scontri violenti fra opposte fazioni politiche ; è la sede di un movimento di dissidenza evangelica, intorno alla profezia neo-ebraica di Donato Manduzio, che raccoglie le aspettative e le speranze millenaristiche della protesta popolare. 
Questa realtà sociale e politica fa da substrato alle vicende e alle forme dell’espressività carnevalesca, grande rappresentazione collettiva che a San Nicandro ha assunto nel secolo scorso, sino agli anni ’50, la fisionomia di una partecipata drammaturgia di massa. Esperienza centrale e legame di questa connessione il ditt, una forma di drammaturgia popolare, che vedeva la partecipazione comunitaria nelle diverse fasi di creazione, rappresentazione e spettacolo. Scritta da contadini, pastori e artigiani (i poeti) questa forma drammatica ha continuato nel tempo a costituire un’insostituibile esperienza comunitaria non solo nei suoi aspetti ludici e socializzanti, ma quale pretesto di satira politica e sociale, di trasmissione di contenuti e valori. La ricerca, effettuata tra il 1977 e il 1980 in più missioni da Rinaldi e Sobrero, consentì anche il reperimento di una mole ingentissima di manoscritti teatrali della tradizione del ditt. Le registrazioni documentano quindi, oltre alle voci, ai suoni e al caos del partecipato carnevale che inonda le strade del paese ogni anno, anche le singole biografie, aneddoti storici e descrizioni di vita sociale, canti anarchici, politici e romanze o serenate, la storia della tradizione (con la recitazione di un intero testo) del ditt, l’intera sequenza di mascherate realizzate nell’arco di decine di anni dal duo Cosimicchio e Trippetta, che insieme all’amico Rignanese, sono il vero e proprio nucleo di memoria culturale e musicale del paese.

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