Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti. Per proseguire devi accettare la nostra policy cliccando su “Sì, accetto”.

Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Giovedì, 14 Giugno 2018 21:09

000 Vittorio Cardone e Giulio Cirone

Vittorio di Pietralunga e Giulio di Rigo, abitavano nel Comune di Farindola, antico borgo medioevale posto alle pendici del Gran Sasso (Pe). I due, amici di lunga data, hanno condiviso la passione per la musica che li ha resi animatori delle occasioni festive.
Giulio, tra i cantori che ho conosciuto, è quello che più rappresenta l'espressione del canto tradizionale. Le sue esecuzioni sono complete o meglio complesse e ricche di sfumature agogiche e dinamiche. I fraseggi presentano melismi accentuati, stop glottali, attacchi indiretti, cesure sulle parole e lunghe note a distesa che, anche là dove il canto è ben ritmato, fungono da tappeto armonico al suono dell’organetto. Anche il suo fischio risulta complesso e gradevole all’ascolto.
Vittorio Cardone con il suo ddù bottë gli fa da spalla non disdegnando interventi vocali; ha imparato da bambino, durante i pascoli del gregge, a costruire i suoi flauti, di canna o d'osso di pecora, muniti di quattro fori ed il portavoce; flauti che ha imparato a costruisce da bambino Se non fosse stato per Vittorio Cardone non avrei mai ascoltato Giulio cantare. In quei giorni ero alla ricerca della Signora Maria Salzetta, nota a Farindola per il suo canto, e mi fermai per strada a chiedere indicazioni ad un uomo che, tornando stanco dal bosco con l'asino carico di legna, mi rispose diffidente con una domanda secca: "Ma tu, che ci devi fare con Maria?". Spiegai le mie intenzioni, chiedendo anche lui se conoscesse qualche canto e la risposta fu inequivocabilmente negativa. Dopo aver conosciuto Maria, persona assai disponibile ad essere intervistata, fu la volta di Vittorio che mi volle accompagnare, con l'organetto alle spalle, da un suo caro amico nonché eccellente cantore. Arrivati sul posto Vittorio bussò alla porta di casa e ad aprire fu Giulio Cirone che, guardandomi, mi salutò accennando una sorta di smorfia: era lui l'uomo che fermai per chiedere indicazioni. Oggi Vittorio, rivisto vent'anni dopo questa seduta di registrazione, ricorda con nostalgia il suo amico cantore.

Giovedì, 14 Giugno 2018 21:08

000 Suonatori di organetto e cantori

La statale 81 piceno-aprutina è una storica strada, nota come via Viscerale. Importante asse di comunicazione tra Marche e Abruzzo, la SS81 collega la città di Ascoli Piceno con Teramo proseguendo fino al territorio sannitico di Casoli: attraversando i principali comuni della fascia collinare e pedemontana abruzzese, ha permesso contatti e scambi alle comunità agro-pastorali delle province di Teramo, Pescara e Chieti, ma anche la conservazione nell'entroterradi un sostrato culturale che i fenomeni di modernizzazione ed omologazione, che hanno interessato la fascia litoranea abruzzese, hanno rapidamente compromesso.
La ricerca inizia nel 1984 lungo questa strada che taglia serpentinamente le valli della Vibrata, del Tordino, del Vomano ed ancora del Fino, del Tavo del Pescara e del Foro; valli che a loro volta collegano le comunità dell'Appennino del Gran Sasso e della Maiella alla costa Adriatica.  La SS81 è strada della memoria, percorsa nel tempo dalle squadre di braccianti, dai pellegrini, dai mercanti, dalle compagnie questuanti, dai suonatori di organetto e dai cantori diasillari provenienti dalla val Vibrata.

Il calendario agricolo scandisce i momenti rituali tradizionali della civiltà contadina. Gli eventi rituali del mondo popolare, connessi al ciclo della natura che nasce, muore e rinasce, sintetizzano il ciclo vitale dell'uomo; su di essi e sul loro modo di manifestarsi il cristianesimo ha agito profondamente pur se elementi anteriori sopravvivono in alcuni riti nella loro configurazione arcaica. 
Nel calendario agricolo tradizionale si individuano le seguenti periodizzazioni: 
- ciclo del solstizio d'inverno (Natale, Epifania, Festa di Sant'Antonio Abate, Carnevale)
- ciclo della Settimana Santa
- feste di maggio e feste dell'estate
Nella scansione rituale si collocano anche le feste patronali e le feste dei vari santuari.
Il periodo invernale, che dalle feste solstiziali conduce all'equinozio primaverile, è caratterizzato da cerimonie di segno diverso: alcune orgiastiche, come il carnevale e la mezzaquaresima, altre purificatorie e penitenziali come la Candelora, il mercoledì delle Ceneri e la Quaresima; altre che rammentano, come Sant'Antonio, antichi riti per propiziare gli dèi preposti alla fecondità e alla fertilità.
Riti ed usanze che, provenienti dalle arcaiche religioni italiche, celtiche ed orientali, sono sopravvissuti all'opera di evangelizzazione della Chiesa. Il lungo periodo che preludeva alla primavera, ovvero all'antico capodanno nell'arcaica religione romana, era segnato da cerimonie per purificare uomini, animali e campi e per favorire, propiziando gli dèi, il rinnovo del cosmo.

La festa di Sant'Antonio Abate, 17 gennaio
Il 17 gennaio, con la festa di Sant'Antonio Abate, si apre il ciclo di carnevale e le rappresentazioni, che ancora oggi si svolgono in Abruzzo, evidenziano una genuina testimonianza della tradizione giullaresca legata al periodo del carnevale. La figura di santo anacroneta presentataci dai motivi agiografici e religiosi, anche per la concomitanza con l'apertura del carnevale, viene stravolta dalla letteratura burlesca di origine e gusto popolaresco. Le vicende della vita agiografica, le leggende medievali a lui connesse con gli elementi del fuoco e del maialino ed il ciclo del carnevale, formano il momento rituale tradizionale più sentito nella civiltà contadina abruzzese; una celebrazione collettiva di valori riconosciuti in cui risalta il carattere non trascendente ma umano della religiosità popolare.

La questua
La pratica questuante, ossia l'atto di portare la questua di casa in casa dalle squadre (gruppi) di cantori e suonatori, rappresenta uno degli aspetti rituali tra i più vivi e radicati in Abruzzo attraverso cui si celebrano il capodanno, l'epifania, Sant'Antonio Abate ed il giovedì santo.
Un tempo la questua per Sant'Antonio, che durava cinque-sei giorni sino al 17 di gennaio, rappresentava per la squadra l'occasione di raccogliere beni alimentari di reale valore economico; in pratica vi era lo scambio tra i poteri magico-propiziatori portati dalle squadre di suonatori e l'offerta di beni alimentari (salsicce, formaggio, uova e galline), oggi mutata in piccole somme di denaro, elargita dai padroni di casa oltre ad un rinfresco.

I testi poetici e le musiche dei canti per Sant'Antonio Abate
I motivi tematici presenti nel canto E la donna bonë cristianë - brano tra i più rappresentativi del repertorio dedicato al santo - ci rimandano alla Historia Sancti Antoni, storia medievale che, contenuta nel Codice Corsiniano del 1485 e pubblicata dal Monaci, forse composta agli inizi del trecento da un giullare della Lombardia per edificazione e diletto dei conterranei suoi, giunse in Abruzzo.
Da qui derivano le analogie con i motivi comici e burleschi inerenti i sotterfugi con cui Sant'Antonio sconfigge il diavolo. La Historia Sancti Antoni risulta da una contaminazione della biografia classica con le leggende medievali appartenenti al ciclo delle novelle e dei fabliaux; il diavolo travestito da donzella, il bambino concepito nel peccato e promesso a lo nemico, le vicende da portinaio dell'inferno, i diavoli che piangono per le percosse e tutte le altre furberie del santo, sono gli elementi che ritroviamo ancor oggi nei testi largamente diffusi in E la donna bonë cristianë.
La figura del santo che emerge nei diversi canti è pervasa da sentimenti religiosi di grande devozione e di rispetto, come pure da un clima tipicamente giullaresco che rimanda alla cultura popolare medievale dove spesso valori ed immagini della cultura religiosa ufficiale volgono al grottesco e alla parodia.
Alcuni canti, invece, ci rimandano all'orazione In onore di Sant'Antonio diffusa dai diasillari di Campli lungo il versante orientale del Gran Sasso (zona teramano-pescarese) o all'orazione de Il miracolo del glorioso Sant'Antonio da Padova il cui testo trovò diffusione su foglio volante stampato dal Premiato Stabilimento Tipografico Giuseppe Campi di Foligno. Nell'immaginario contadino le due figure religiose (S. Antonio Abate e S. Antonio da Padova) si sovrappongono: alcune squadre, infatti, per l'occasione del 17 gennaio eseguono indistintamente i canti riferiti all'uno o all'altro santo.
Vi sono poi canti in cui si omette la narrazione o si fanno brevi cenni all'eremitaggio o si descrivono unicamente gli aspetti burleschi.
La quasi totalità dei canti presenta nel testo poetico una traccia cronologica esecutiva/espositiva così schematizzata: 
- saluto della compagnia e presentazione del fatto che si sta per narrare; 
- illustrazione della vita penitente e contemplativa del santo
- tentazioni e vittoria del santo
- questua con richiesta di beni alimentari
- commiato con benedizione, saluti ed auguri

Le musiche
Una particolarità dei canti di questua di Sant’Antonio - come per il canto del giovedì santo - è quella di poter intonare le strofe su due differenti modi esecutivi: la doppië e la sdoppië. Il modo doppië si caratterizza per l'andamento più lento e per lo sviluppo strofico con ripetizioni degli ultimi due versi o distici; il modo sdoppië si basa su un ritmo terzinato più veloce e la strofa poetica non subisce dilatazioni nella fase esecutiva. Le squadre scelgono il modo esecutivo da adottare in base al tempo che vogliono dedicare di volta in volta alle visite: "cchiù facemë prestë a candà e cchiù casë ggiremë!".
I canti sono eseguiti su ritmi binari puntati o su ritmi ternari. Le strofe subiscono nell'esecuzione delle dilatazioni con le ripetizioni dei versi; le voci all'unisono o per terze procedono omoritmicamente; l'esecuzione vocale predilige i toni acuti, l'emissione è di solito a gola chiusa con timbro nasale. Nell'area teramana, pescarese e chietina i canti sono accompagnati dall'organetto diatonico ddù bbottë, o dalla fisarmonica supportati ritmicamente da grancassa, tamburo, crolla, acciarino, tamburo a frizione detto vurravurrë, battafochë, bërrëconë.
Nell'area aquilana si rileva, nel caso specifico del rituale di Sant'Antonio, una minore conservazione dei canti di tradizione orale; gli organici strumentali ci rimandano alla formazione bandistica: alla fisarmonica si uniscono strumenti a fiato come la tromba, il trombone e il clarinetto.
I canti sono musicalmente costruiti sulla tonalità maggione ad eccezione dell'orazione Il miracolo di Sant'Antonio eseguita in tonalità minore da Maria Salzetta senza accompagnamento strumentale.

Le drammatizzazioni del Sant’Antonio Abate

Diffuse maggiormente nelle province di Pescara e Chieti, si svolgono nelle abitazioni private o in locali più ampi come le sale dei ristoranti. Le rappresentazioni si basano sulla riproposta in dei motivi tematici della Historia Sancti Antoni e quindi de La donna bbonë cristianë con l'aggiunta di alcuni episodi burleschi. Le scene si susseguono attraverso l'alternarsi di parti cantate - voce narrante (coro) e personaggi - e di parti recitate a volte anche improvvisate.
I personaggi in scena sono: Sant'Antonio, Antonio bambino, la madre di Antonio, l'angelo, l'angelo finto, la donzella tentatrice, quattro eremiti, San Michele, i diavoli, le bestie feroci e l'avvocato del diavolo.

I luoghi della ricerca

Le fonti sonore e le testimonianze raccolte in Abruzzo sul rituale del Sant'Antonio provengono per lo più dalle zone collinari e pedemontane poste a ridosso del massiccio del Gran Sasso d'Italia, delle montagne della Maiella e del Morrone. In queste realtà l'economia tradizionale agro-pastorale basata sulla sussistenza ha lasciato spazio alla coltivazione intensiva con la nascita di forme di cooperazione. Nuovi nuclei artigianali, sorti in questi ultimi decenni là dove le linee di comunicazione sono risultate più agevoli, hanno favorito la vivibilità e la conservazione dei piccoli paesi. I luoghi meno fortunati hanno subìto il fenomeno dell'emigrazione o dello spostamento dei residenti verso le valli e la costa.

Giovedì, 14 Giugno 2018 21:02

000 Musiche di tradizione in azione

Interviste ai testimoni della tradizione (tracce 01, 02 e 14) in filmati a sequenza fissa, valorizzando la restituzione sonora dei repertori, e la documentazione di pratiche lavorative (canti eseguiti durante la raccolta delle olive), festive (la manifestazione di Poggio delle Rose, i rituali del fuoco di Silvi e Fara Filiorum Petri), devozionali (la Sacra rappresentazione del Venerdì Santo a Castelbasso, la Pasquetta a Palmoli, e le questue di Sant’Antonio Abate) colte in funzione.

Giovedì, 14 Giugno 2018 20:49

000 Le cantrici del Gran Sasso

Le protagoniste di questa raccolta sono le donne cantrici depositarie del repertorio vocale della musica di tradizione orale abruzzese. L'area territoriale interessata è quella montana e pedemontana posta ad oriente del Gran Sasso d'Italia che comprende le due province di Pescara e Teramo.
Le fonti sonore raccolte testimoniano la presenza di una cultura popolare ancora viva nella memoria degli informatori ed in funzione in alcune circostanze.
Le donne, eccellenti portavoci della tradizione orale nonchè cantrici esperte nel modulare le proprie voci dai toni ora pacati ed intimi, ora aspri e forti, si sono mostrate delle instancabili esecutrici canore sia in ambiente domestico che nelle occasioni lavorative campestri. Tale predisposizione femminile al canto è in parte dovuta al ruolo subalterno che la donna ha occupato nella società contadina; in alcuni nuclei familiari di tipo matriarcale, le donne sono state detentrici di pieno potere decisionale e qui il loro canto ha assunto non più una funzione disinibitoria ma di libera espressione soggettiva.
Durante le ricerche sul campo si è notato un atteggiamento femminile più aperto e disinvolto rispetto a quello maschile, con una maggiore disponibilità nell'esternare le proprie emozioni.
La raccolta è dedicata alle donne residenti tra l'alta valle del Tavo - località di Fiano e Macchie di Farindola  e Montebello di Bertona - e l'alta valle del Fino - località di Arsita, San Pietro, Bisenti, Collemarmo, Troiano e Rufiano; la valle del Mavone - località di Colledoro e di Pretara; l'alta valle del Vomano - località di Miano.
Il repertorio comprende canti e arie sul lavoro (arie eseguite sull'aia o durante la lavorazione del lino, la raccolta delle olive, la mondatura e la mietitura del grano), canti d'amore e sdegno, ninna-nanne, canti narrativi come ballate, storie ed orazioni, canti devozionali e canti di pellegrinaggio.

 

I canti sul lavoro (tracce 001-041)

Durante il lavoro nei campi i braccianti hanno cantato le canzoni popolari appartenenti a generi diversi come le serenate, gli stornelli, le ballate le storie edaltro ancora. Vi sono tuttavia dei motivi melodici strettamente connessi alle varie pratiche lavorative tra cui la raccolta delle olive, la mietitura e la mondatura. Tali motivi sono identificati da cantori e cantrici con le seguenti denominazioni: aria a cojë la livë (aria a raccogliere le olive), aria a mmetë (aria a mietere), aria alla romana (d'uso ed appresa nell'agro romano), aria alla giuliese (d'uso nell'agro di Giulianova - Te), aria a munnà lu ranë (aria della mondatura del grano). Dicasi ugualmente per alcuni testi poetici monostrofici che presentano temi specifici connessi maggiormente alla raccolta delle olive ed alla mietitura; altri temi ricorrenti riguardano il sentimento d'amore e sdegno. Ricorrenti sono anche gli stornelli a suspettë (a dispetto) in cui i cantori si beffeggiano attraverso la disputa canora. La modalità esecutiva dei canti sul lavoro può essere o monodica o polivocale. Nell'esecuzione a tenzone la prassi è monodica mentre nei canti ariunitë (a più voci) la polivocalità è a due voci che, partendo all'unisono, si muovono per terze parallele.

 

I canti della religiosità popolare (tracce 042-092)

Le cantrici del Gran Sasso sono a conoscenza di canti religiosi paraliturgici che, dedicati a Gesù, Maria ed ai santi, si possono classificare in: canti devozionali e di pellegrinaggio, canti di veglia e canti narrativi. Particolare interesse destano i canti della Settimana Santa come La passione di GesùIj vulere che scesse la lune, E mo esci Gesù Criste, E tu alzati surelle. La loro arcaicità emerge dalla presenza di andamenti melodici ricchi di decorazioni melismatiche più o meno ampie e intense, da passaggi di microintervalli e da appoggi di voce sul tessuto fonetico del testo verbale. Spesso la parola cantata viene smembrata con nette cesure e le sillabe di fine verso sono rette da lunghe note senza tempo. Ne deriva uno stile che rimanda alle fonti della devozione penitenziale tardo-medievale.
Nutrita la presenza, nel repertorio religioso delle cantrici del Gran Sasso, delle orazioni, che Paolo Toschi ritiene proprio di origine abruzzese. Questi antichi canti narrativi, che rappresentano le forme di culto in cui riaffiorano sottofondi di riti e concezioni pagane, sono ispirati dalle leggende agiografiche e moraleggianti del medioevo o dalla Bibbia e dai vangeli apocrifi. Le orazioni eseguite presentano nella quasi totalità un impianto melodico unico che si ripete per ciascuna di esse; tale prassi ha facilitato l'apprendimento dei lunghi testi narrativi.
I canti di pellegrinaggio qui proposti comprendono invocazioni e domande di grazia rivolte a Gesù, alla Madonna, a San Venanzio e in particolare a San Gabriele dell'Addolorata di Isola del Gran Sasso (Teramo).
I canti su Sant'Antonio Abate eseguiti dalle cantrici del Gran Sasso sono inseriti nella raccolta specifica dedicata al santo.

 

Serenate, stornelli e ninnananne (tracce 093-117)

Il canto monostrofico comprende esempi di stornelli (strufette) e serenate. Nei primi la struttura poetica è data dal distico di endecasillabi piani A-B, assonanti o a rima baciata, che nella fase esecutiva, si dilata con la ripetizione di interi versi o di emistichi o con l'aggiunta di parole nonsense generando così nuove strutture strofiche; nelle serenate le strofe sono di quattro versi di settenari e ottonari assonanti o a rima baciata piani con l'ultimo tronco.
Il distico presenta frasi autonome a senso compiuto che vengono cantate in forma amebea, a tenzone o a dispetto (strufette a suspette).
I processi di trasformazione e deterioramento delle strutture culturali tradizionali hanno defunzionalizzato le serenate e gli stornelli che permettevano ai cantori di esternare, attraverso una struttura comunicativa formalizzata, desideri e sentimenti di amore e sdegno che non sarebbero stati accettati se espressi nella forma del discorso diretto.
Tra le serenate generiche più conosciute si cita la versione Faccitë alla finestra mentre, legato al rituale delle nozze, è assai diffuso il canto del distacco La partenza che affronta il tema nostalgico dell'allontanamento della sposa dalla propria casa.
In questa sezione sono inserite anche le ninnananne che, probabilmente, rappresentavano per la donna della società contadina un'occasione di intimo sfogo liberatorio.  

 

I canti narrativi (118-168)

In questa sezione sono raccolte le ballate e le storie che caratterizzano il repertorio narrativo delle cantrici del Gran Sasso. Le esecuzioni vocali sono in forma monodica o polivocale (con due voci che procedono per terze) con andamenti omoritmici o melismatici su impianti scalari sia tonali che modali. La tecnica vocale utilizzata presenta sovente l'emissione a gola stretta con stop glottali e cesure sulle parole; tecnica diversa da quella utilizzata dalla cantrice Carmela Di Febo che affida la narrazione melodica  ad un'emissione dai toni intimi e pacati.

Le ballate

Il fenomeno della diffusione delle ballate in terra d'Abruzzo è coinvolto in processi di modificazione, contaminazione e  modernizzazione.
E' difficoltoso risalire ad una precisa provenienza e appartenenza di ciascun canto: risalenti a epoche e luoghi diversi, sono stati diffusi sia oralmente che attraverso la stampa e la divulgazione dei fogli volanti e dei libretti ottocenteschi.
Alcune ballate, come Il cacciatore del bosco, sono da ritenersi di recente formazione; altre, come la Cecilia e La pesca dell'anello, appartengono al repertorio dei fogli volanti o dei canzonieri militari, come La sposa mortaIl Marinaio e Il marito giustiziere sembrerebbero proprie dell'Italia centrale considerata la larga diffusione in quest'area e la scarsa testimonianza nelle regioni settentrionali; Donna Lombarda e La sposa morta rientrano invece nel corpus narrativo settentrionale. Un esempio di contaminazione è rappresentato da La fantina in cui si utilizzano elementi narrativi mutuati da ballate provenienti dal nord Italia: la prima parte del testo rimanda a La bevanda sonnifera (Nigra, 77) mentre la seconda riprende alcuni aspetti da La fuga (Nigra, 15), Il corsaro (Nigra, 14) e Un'eroina (Nigra, 13); il finale è quello di Fiore di tomba  (Nigra, 19) per la presenza del tema "tomba, rose e fior". Nella classificazione delle ballate si è visto come alcune, non riconducibili ad un unico e chiaro filone tematico, assumano una propria entità testuale-musicale come per La fundanella (vedere raccolta Carmela Di Febo).  Quest’ultima ha sì un riscontro con La bevanda sonnifera per i personaggi ma il racconto e la melodia seguono qui nuovi percorsi.

Giovedì, 14 Giugno 2018 20:45

20 Polca del Vomano

Giovedì, 14 Giugno 2018 20:41

10 Canto sulla tessitura

Giovedì, 14 Giugno 2018 20:32

01 Saltarello

Giovedì, 14 Giugno 2018 20:29

000 Donato Di Marcoberardino

Donato Di Marcoberardino nasce il 22 agosto del 1906 ad Arsita, dove trascorre tutta la vita lavorando come contadino, pastore e taglialegna; padre di quattro figli non viene arruolato in guerra nel Quaranta. Inizia a suonare all'età di dieci anni l'organetto del fratello chiamato al fronte. Ha un organetto comprato negli anni Trenta dalla ditta Pistelli di Teramo al costo di novemila lire; il secondo organetto lo pagò settecentomila lire nel 1980, ricorda. Donato racconta che da ragazzo andava suonando per le case i canti della Passione di Gesù ed di Sant'Antonio Abate assieme a Francuccio ed Eusanio: nella questua della Passione ricevevano le uova mentre a Sant'Antonio dei dolci tradizionali chiamati li cillë (uccelli) di Sant'Antonio; Donato suonava anche nelle feste private. Sono documentati gli stornelli cantati ad Amatrice quando si andava a mietere: da Arsita ci si spostava verso Campotosto, L'Aquila ed Amatrice. Donato ricorda che "le donne facevano notte con il canto": cantavano dalla mattina alla sera anche quando lavoravano sul telaio durante la tessitura. Si parla del passaggio ad Arsita dei diasillari provenienti da Campli che eseguivano i canti rivolti ai defunti e le orazioni dei santi. Presenti in questa seduta di registrazione i due nipoti: Daniele, di dieci anni, che avava iniziato a suonare l'organetto un anno prima con il maestro Mauro Ciarcelluti, e Claudio Cacciatore che suona la chitarra con la banda Ciotti di Befaro.

Pagina 67 di 463