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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Una raccolta composita, realizzata nei primi anni Ottanta in territori assai distanti tra loro sia linguisticamente che culturalmente; la raccolta geograficamente comprende un’area interna, marsicana, con i materiali registrati in differenti occasioni a Luco dei Marsi e Collelongo (la Marsica è una regione dell’Abruzzo sudoccidentale, in provincia dell’Aquila) e un’area costiera, con i materiali raccolti a Lanciano (Ch) e Atri (Te). Solo in parte conosciamo i nomi dei raccoglitori: Marco Della Sciucca, per la documentazione su Atri e G. Simone per Collelongo.
I brani registrati a Luco dei Marsi costituiscono un interessante esempio dei repertori musicali per zampogna e ciaramella (per lo più si tratta di novene e pastorali), in passato caratteristici di questi territori; i documenti sonori raccolti a Colellongo comprendono stornelli tradizionali di mietitura e alla romana e canti della tradizione narrativa in esecuzione corale, questi ultimi raccolti in occasione della scartocciata, la festa per la sfogliatura del granturco. In particolare si segnala, tra i brani raccolti a Collelongo, la registrazione della maitenata, un canto di questua tradizionale oggi caduto in disuso, un tempo eseguito in occasione della notte di san Silvestro, come augurio per l’anno nuovo; la questua veniva eseguita per tutta la notte, fino all’alba dell’anno nuovo (da cui il nome di maitenata, mattinata).
I materiali documentati a Lanciano sono per lo più stornelli di mietitura, mentre quelli raccolti ad Atri costituiscono un interessante esempio della prassi esecutiva di uno degli strumenti più cari alla tradizione musicale abruzzese: l’organetto diatonico a due bassi, o du’ botte. La diffusione dell’organetto è caratteristica della provincia di Teramo e in generale dei territori dell’Abruzzo costiero; le registrazioni condotte da Marco Della Sciucca ad Atri esemplificano alcune delle principali tipologie utilizzate in questo territorio per accompagnare la danza: polka, mazurka, saltarello.

(26BD130)

Raccolta realizzata da Roberto Leydi a partire dai materiali documentati da Maurizio Anselmi a Casale San Nicola (Te) il 27 agosto del 1982. Leydi opera una selezione di otto tracce delle originali ventisette, concernenti il repertorio dei cosiddetti tamurre, squadre processionali di derivazione militare diffuse in particolare nella Valle Siciliana e nella Valle del Fino, in provincia di Teramo. La formazione era in genere composta da una gran cassa, un tamburo e un flauto, a volte sostituito o affiancato dall’organetto, ai quali possono aggiungersi i piatti e il rullante, di derivazione bandistica.

(Abruzzo 24 18BD406) 

La raccolta, realizzata a Mozzagrogna (Ch) nel 1972 da Gabriello Milantoni, ricostruisce parte del repertorio canoro tradizionale dei territori dell’Abruzzo teatino. Anzitutto gli stornelli, tra cui vanno segnalati gli stornelli alla sciunnaficura o scionnafìura (altalena), i più tradizionali stornelli di mietitura e quelli eseguiti in occasione della monda del grano (altrimenti noti col termine di calasóle). Molto diffusi anche i canti narrativi, spesso rivisitati solo per quanto riguarda la forma linguistica, caratterizzata regionalmente, e le orazioni e leggende sacre; tra queste si segnala una delle molte varianti di La canzone di Rinaldo, brano narrativo presente nei territori dell’Italia mediana e centromeridionale, che in Abruzzo assume la fisionomia di un’orazione sacra. La raccolta si completa con alcune favole tradizionali e racconti di magia, nonché filastrocche caratteristiche del repertorio per l’infanzia.

(Abruzzo 17 26BD164)

La raccolta Abruzzo 26 è stata realizzata tra il 1986 e il 1987 in varie località abruzzesi e riunisce materiali registrati autonomamente da due ricercatrici, Grazia Meo e Giuliana Fugazzotto.
I documenti sonori raccolti da Grazia Meo riguardano Cocullo (Aq), località dell’Alta Valle del Sagittario nota per la festa dei serpari: il primo giovedì di maggio si celebra san Domenico di Sora conducendo in processione la statua del santo avvolta da serpenti (non velenosi). La cattura dei serpenti è ad opera dei serpari, da cui il nome col quale la festa è conosciuta; in questa occasione vengono eseguiti dai pellegrini alcuni brani tradizionali (qui da un gruppo proveniente da Villa Latina, località della provincia di Frosinone nota per la pratica strumentale della zampogna).
I materiali documentati da Giuliana Fugazzotto sono stati registrati nella chiesa di san Leucio in Pietracamela (Te); erroneamente la scheda di campo riporta la località di Crognaleto (Te), altra località del versante orientale del Gran Sasso. Si tratta per lo più di brani del repertorio devozionale e della Settimana Santa (PassioneKyrie eleisonStabat mater), cui si aggiungono alcuni stornelli a discanto, tutti eseguiti da voci femminili.

(Abruzzo 26 26BD162)

La raccolta di documenti sonori realizzata a Vasto (Ch) da Filippo Marino presenta un’interessante sequenza di canti tradizionali eseguiti in occasione di alcune importanti festività del calendario religioso: la notte di san Silvestro, l’epifania, la festa di sant’Antonio Abate (17 gennaio), la festa di san Sebastiano Martire (20 gennaio). Si tratta generalmente di canti di questua, in esecuzione monodica o con arrangiamento per coro e orchestra. La questua si articola nella forma di un corteo itinerante che attraversa il paese e si ferma in ogni casa (o in alcune case principali) per domandare beni alimentari (salsicce, formaggi, uova e vino): l’esecuzione canora, con o senza accompagnamento musicale, precede la richiesta (che spesso è contenuta nelle ultime strofe cantate). Particolarmente diffusa e ancora oggi praticata a livello regionale è la questua in onore di sant’Antonio, protettore degli animali, che ripercorre le tentazioni subite dal santo eremita nel deserto, riadattandole ad un immaginario popolare, basso, comico. Ai canti di questua si aggiungono alcuni esempi di brani cantati durante i riti della Settimana Santa.

(Abruzzo 30-31 26BD154-167)

Brani registrati da Elisio Cipolla a Capriglia di Roccascalegna (Ch) che costituiscono un interessante esempio delle differenti modalità esecutive dello stornello tradizionale: stornelli di mietitura, di corteggiamento, a dispetto, ecc., cui si aggiungono alcuni esempi del repertorio narrativo e uno strambotto arcaico.

(Abruzzo 19 18BD411)

Venerdì, 15 Giugno 2018 17:12

000 Abruzzo 19 (18BD411)

Esito di un complesso lavoro di montaggio, realizzato da autore anonimo in data sconosciuta, la raccolta in oggetto raccoglie brani registrati in località molto distanti e con tratti distintivi assai differenti, assemblati forse con l'intento di realizzare un'antologia di generi regionali servendosi anche di materiali preesistenti: così lasciano supporre la voce fuori campo, che introduce ogni singolo brano con una didascalia (non sempre pertinente e in alcuni casi evidentemente errata), e la varietà delle località documentate che spaziano dalla costa teramana all'entroterra aquilano fino alle estreme propaggini meridionali della provincia teatina. Così pure i materiali rientrano in più tipologie: dagli stornelli tradizionali sul lavoro ai canti narrativi, dai brani d’autore, assimilati dalla cultura musicale delle classi non egemoni e diffusi come tradizionali, ai brani del repertorio per l’infanzia, alla questua in onore di sant'Antonio Abate.

Venerdì, 15 Giugno 2018 17:03

00 Fondo Leydi-Abruzzo

La sezione abruzzese del Fondo Leydi, depositato nel 2002 presso il Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona, di cui si riporta la classificazione di ogni singola raccolta. Comprende registrazioni sul campo effettuate da RobertoLeydi e da molti altri studiosi, su tutto il territorio regionale nell’arco di quasi quarant’anni.
Tra i fondatori della moderna etnomusicologia, Roberto Leydi è stato uno straordinario  intellettuale che, mosso da una molteplicità di interessi, ha svolto un ruolo rilevante in molte delle più significative iniziative della cultura italiana del secondo Novecento. Dal 1947 critico musicale per l'Avanti, dove si occupa di jazz, blues e musica popolare americana, collabora con Luciano Berio, Umberto Eco e Bruno Maderna alla fondazione dello "Studio di Fonologia" della Rai di Milano. Nel 1954 realizza con Berio e Maderna Ritratto di città, il primo lavoro italiano di musica concreta ed elettronica, e, nello stesso anno, firma con Tullio Kezich Ascolta Mister Bilbo! Canzoni di protesta del popolo americano, all’origine del suo interesse per la musica popolare italiana, indagata per tutta la vita coniugando la ricerca sul campo con l’uso delle fonti storiche ed etnografiche.
Cofondatore nel 1962 dell’Istituto De Martino e del Nuovo Canzoniere Italiano, alle cui vicende partecipò con un ruolo fondamentale fino al 1967, ha promosso una delle più vaste ed organiche ricognizioni sui repertori sociali e politici italiani nonché sull’espressività popolare dell’Italia settentrionale, animando anche iniziative collettive di largo respiro come la fondazione, nel 1972, dell’Ufficio Cultura Mondo Popolare della Regione Lombardia, ora AESS-Archivio di Etnografia e Storia Sociale, all’interno del quale si realizzò la monumentale opera del Mondo popolare in Lombardia, articolatasi in 15 volumi e in numerosi dischi della collana Albatros che, da lui diretta e fondata, pubblicò oltre 200 "documenti originali del folklore europeo".
Attento come pochi alle dinamiche che potevano rendere fecondo il rapporto tra studio e valorizzazione, Leydi promosse attività ed iniziative che potevano garantire visibilità a una cultura "altra", diversa da quella ufficiale, senza alterarne però l’identità che si dava soprattutto nella peculiarità di registri espressivi irriducibili a quelli di altri generi musicali. In quel crinale molto ripido in cui si poteva conciliare il rigore filologico con le esigenze di promozione, si situano così memorabili esperienze di studio e spettacolo come Pietà l’è morta (con Giovanni Pirelli e Filippo Crivelli), Milanin Milanon (Milano, 1962, con Filippo Crivelli), Bella ciao (Spoleto, 1964, ancora con Crivelli e Franco Fortini) e Sentite buona gente (Milano, 1967, in collaborazione con Diego Carpitella, regia di  Alberto Negrin e le foto di Luigi Ciminaghi) che segnava un momento discriminante non solo in relazione alla riproposta in chiave spettacolare dei suoni tradizionali ma anche per il loro studio più rigorosamente organizzato attorno a una disciplina scientifica come l’etnomusicologia.
Nel 1972 l’approdo all’università di Bologna con una delle prime cattedre italiane di etnomusicologia che, per uno studioso di formazione tutt’altro che accademica, significava soprattutto il riconoscimento dell’esistenza di un’altra musica alla cui valorizzazione e studio aveva dedicato gran parte della sua vita.
Nel 2002 la decisione, che suscitò non pochi stupori sulla stampa nazionale, di affidare il suo sterminato patrimonio etnomusicale al Centro di Dialettologia e di Etnografia di Bellinzona che, con la collaborazione della Fonoteca Nazionale Svizzera e il sostegno di Memoriav, ne ha curato con rigore i riversamenti conservativi e la sua inventariazione. Grazie anche alla sensibilità del direttore del Centro, Franco Lurà, e di tutti i componenti del Comitato scientifico, questi materiali sono ora fruibili, su base regionale, nelle sedi della Rete degli Archivi, al fine di faciltarne la consultazione a studiosi ed appassionati: sono esclusi dal fondo quelle raccolte per le quali non si è avuta una formale autorizzazione dai rispettivi ricercatori. 
Nell’impossibilità di ripercorrere tutte le fasi ed opere della vita di Leydi, ci piace ricordare, con Umberto Eco, la "leggerezza, gaiezza, sicurezza di giudizio critico, senso del teatro e ricerca eccezionale di un grande etnomusicologo".

Venerdì, 15 Giugno 2018 16:52

000 Pietracamela

Nei primissimi anni della sua permanenza in montagna don Nicola Jobbi ha modo di frequentare la parrocchia e la comunità della vicina Pietracamela, paese posto a 1005 metri di altitudine ai piedi del Gran Sasso. Spesso i parroci vicini collaboravano, e in occasione delle messe nel periodo natalizio Jobbi ha modo di ascoltare i canti pretaroli per il Natale, e di organizzare in seguito degli incontri di registrazione in cui documenta l’originale dialetto e i canti polivocali, che attireranno in seguito l’attenzione di numerosi ricercatori (vedi Anselmi, Fugazzotto). Gli incontri avvengono in particolare con un gruppo di donne, frequentatrici della chiesa, fra le quali emerge la figura di Ginevra Bartolomei, conosciuta da tutti come La GinaEmidiola, con cui Jobbi si intrattiene anche in successive documentazioni. Nata il 14 febbraio del 1909 a Pietracamela, partì per il Canada con il marito e i figli nel marzo del 1957, dove, tra un lavoro e l’altro, presa dalla nostalgia, iniziò a comporre versi sul suo paese d’origine e nella sua lingua, il dialetto pretarolo. Tornata in Italia con il marito nel 1962, Ginevra riprese i lavori consueti: coltivare, raccogliere il grano, il fieno, la legna, portarli a casa lungo i sentieri della montagna, per decine di chilometri, con i pesi sulla testa. Molti la incontrarono per registrare i suoi componimenti, come la canzone alla Madonna del Gran Sasso, fino a pochi mesi prima della sua morte, il 22 febbraio del 2007.
Le registrazioni di Jobbi a Pietracamela sono collocabili nel corso del 1965, nell’inverno del 1966, durante la preparazione del primo Presepe Vivente, per il quale verranno utilizzate come parte della colonna sonora, e negli anni seguenti, quando di Pietracamela divenne anche parroco, con documentazioni che arrivano fino all’inverno del 1983.

Venerdì, 15 Giugno 2018 16:37

000 Suoni e paesaggio sonoro

In una foto  del primo settembre 1965, durante la benedizione con le reliquie per la festa di Sant’Egidio, sulla destra dell’immagine si vede don Nicola Jobbi intento a governare gli strumenti di registrazione: il Telefunken, poggiato su un banco e usato anche come amplificatore, e il Geloso verticale, sul tavolo con le reliquie. È una rara fotografia che lo ritrae in azione, e che lascia immaginare la sua interazione nel contesto delle documentazioni. Nell’arco della permanenza a Cerqueto, e fin dagli esordi, Jobbi ha dichiarato più volte l’interesse per i suoni della festa del patrono e la benedizione con le reliquie dei santi, e più volte li ha fissati su nastro, alternandosi nel duplice ruolo di prete e di ricercatore spontaneo, o affidando la registrazione ai suoi parrocchiani. La festa di Sant’Egidio, con la sua complessa articolazione cerimoniale, è stata integralmente documentata per cinque anni, dal 1965 al 1983; nello stesso arco di tempo Jobbi registra anche altre processioni e feste estive, di Cerqueto e dell’area della montagna teramana, realizza la colonna sonora del Presepe Vivente, usando i versi degli animali, il vento, manipolando i suoni per produrre l’effetto sonoro della creazione del mondo.
La presente raccolta offre una testimonianza di questa particolare attenzione del parroco al paesaggio sonoro e all’universo dei suoni.

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