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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Giovedì, 07 Giugno 2018 13:18

000 Canti rituali e di questua

Tra i pochi esempi rimasti nel Salento di un repertorio di canti eseguiti seguendo lo svolgersi del calendario agricolo: solstizio d’inverno, carnevale, Quaresima, Settimana Santa, feste di maggio e d’estate.
Venivano interpretati da gruppi itineranti di cantori accompagnati da un fisarmonicista: andavano a cantare di masseria in masseria e di paese in paese. Il luogo preferito era l'aia se in campagna o il crocicchio se in paese e lì si radunavano gli ascoltatori che uscivano dalle loro abitazioni appena udivano ancora lontana la melodia.
Tutti questi canti terminavano con la richiesta di un dono in denaro oppure materiale: uova, pane o vino per scaldarsi dal rigore dell’inverno.

Giovedì, 07 Giugno 2018 13:03

000 Canti narrativi e ballate

Sotto la dizione di canti narrativi si raccolgono canzoni della tradizione popolare italiana che raccontano vicende di persone oppure fatti in una sequenza di strofe più o meno lunga con un ritmo disteso, narrativo appunto.
Nell’Italia del nord assumono il nome di ballate facendo riferimento ad analoghi canti diffusi nei paesi nordici mentre nel Sud assumono il nome di storie. Molte delle ballate del Nord sono presenti però anche nel Sud spesso reinventate o adattate dal cantore in forma nuova ed autonoma.

Giovedì, 07 Giugno 2018 13:00

000 Canti di lavoro e sul lavoro

I canti di lavoro non sono molto diffusi nell’area salentina, ne esistono pochi e toccano le due principali attività del passato: la raccolta delle olive e la sequenza lavorativa del tabacco, dal distacco della foglia dalla pianta fino al filare disteso sui taraletti per seccare al sole. Durante le due attività che occupavano prevalentemente manodopera femminile le donne cantavano e cantavano tanto. Soprattutto canti d’amore. Potremmo dunque dire che nel Salento molti canti d’amore sono canti di lavoro. E’ sotto la chioma dell’ulivo o dentro uno stanzone a infilare tabacco che la donna salentina sognava d’amore e cantava.

Giovedì, 07 Giugno 2018 12:56

000 Canti di carrettieri

I canti dei carrettieri potrebbero essere catalogati anche tra i canti di lavoro perché sono eseguiti mentre il carrettiere è in azione e compie la propria mansione lavorativa. Canta per passare il tempo, per tenersi sveglio soprattutto nei lunghi tragitti compiuti durante le ore notturne, ha un interlocutore fisso che è il suo cavallo al quale spesso si rivolge come ad essere vivente amico.
Oggi i carrettieri non esistono più: quello del carrettiere è uno dei tanti mestieri scomparsi come quello del cordaio, dei cavatori di ghiaia, spazzacamini, cconzalimbici, ecc. Le strade asfaltate ci hanno liberati da tanti disagi ma hanno sepolto, come è giusto, con il mestiere del carrettiere anche tutti quei canti e quei rumori che al mestiere appartenevano.
Chi ha avuto modo di ascoltare i carrettieri cantare difficilmente potrà dimenticare il loro canto notturno quando passavano nelle notti afose d’estate lungo la via cilindrata, in lunghe file, con i traini carichi di botti colme d’uva. L’uva famosa del Salento. Con la lanterna che dondolava sotto i carri e le grandi ruote che scorrendo nelle guide, specie di solchi nel selciato, facevano un rumore incredibile. Era l’ unico accompagnamento ai loro canti notturni. Ricordo le brevi fermate dei carri e il silenzio profondo che ad esse succedeva e poi, di colpo, la ripresa del viaggio e quella voce che si allontanava morendo nella notte.

Giovedì, 07 Giugno 2018 12:53

000 Canti del carcere

Di questo genere di canti non ho trovato molti esempi nell’area salentina presa in esame.
In quelli da me raccolti, da parte dei carcerati non si lamentano motivi di repressione dovuti a lotte politiche o a scioperi. I motivi della loro reclusione sono genericamente di carattere sociale e si riconducono a notevoli condizioni di disagio economico e di vera e propria povertà oltreché a fattori sentimentali. Si intuiscono, ascoltando questi canti, storie di passioni cocenti, di gelosie, di tradimenti. Ma quella che si canta a chiare note è la condizione disumana del carcerato, condizione che il libero non potrà mai neppure sospettare vedendo l’edificio del carcere sulla cui facciata sventolano le bandiere.

La raccolta indaga la tradizione del mandolino a Monte Sant’Angelo e costituisce una rara testimonianza di una cultura musicale del Gargano poco esplorata. Di solito al promontorio garganico viene riconosciuto un legame elettivo con la chitarra battente e le serenate collegate al mondo agro-pastorale; in questa indagine del 1987 Salvatore Sansone documenta alcuni informatori/esecutori della cultura locale legati all’utilizzo e alla tecnica del mandolino, con l’intenzione di produrre una prova storica di una tradizione che aveva conosciuto momenti altissimi ed esecutori di fama nazionale. Un fenomeno unico in tutta la regione, che tuttavia è stato quasi del tutto dimenticato e, comunque, si è eclissato dai processi storici e dai riferimenti simbolici della cultura musicale dell’area. Risalendo fino alla metà dell’Ottocento, sulla base di documenti e fonti storiche, l’indagine esplorava la genesi di una classe di esecutori e virtuosi del mandolino nel centro garganico. La nascita di questa tradizione sarebbe da ricondurre agli intensi rapporti con Napoli, ai continui scambi commerciali e all’apprendistato che molti ragazzi di Monte Sant’Angelo andavano a svolgere nella capitale partenopea, dove spesso oltre al mestiere si apprendeva la tecnica mandolinistica.

Una serie di documenti registrati nel 1973 a San Nicandro Garganico e Casalvecchio di Puglia (Subappennino Dauno) dal maestro Stefano Giuseppe Manduzio, personalità di spicco, noto in tutta la provincia per la sua attività musicale e come direttore della sede staccata di Rodi del Conservatorio Umberto Giordano di Foggia. In questa indagine, probabilmente commissionata da Roberto Leydi al maestro Manduzio, sono documentati canti d’amore e di scontro, canzoni e arie di San Nicandro e Casalvecchio di Puglia.

La raccolta è composta da quattordici brani registrati da Roberto Leydi, assieme a Salvatore Villani, nel 1988 a Carpino (i primi undici) e a San Giovanni Rotondo (i restanti tre). I documenti di Carpino contengono alcune interpretazioni di Antonio Piccininno, voce rappresentativa e sicuro punto di riferimento per la cultura musicale dell'area: tra le registrazioni anche una delle rare esecuzioni dove il cantore si accompagna con la chitarra battente.
I brani registrati a San Giovanni Rotondo documentano tre forme musicali della tradizione locale eseguite all’organetto a otto bassi e sulla chitarra battente da alcuni degli interpreti più autorevoli dell'area, come Giuseppe Di Maggio, Matteo Giuliani, Giovanni Longo e Michele Rinaldi.

Le rilevazioni, effettuate da Roberto Leydi con l'assistenza di Salvatore Villani, riguardano tutte Antonio Piccininno, rinomato cantore e voce rappresentativa della musica tradizionale di Carpino, su alcune forme di tarantella del repertorio locale. L’informatore, straordinaria memoria di testi della tradizione orale, esegue una serie di  brani d’amore (sunettë) e di sdegno (stramurtë), abbelliti da stereotipi e strofette. Le registrazioni testimoniano una delle rare esecuzioni dove Piccininno si accompagna anche con la chitarra battente.

Le registrazioni di padre Remigio De Cristofaro, realizzate tra il settembre e l’ottobre del 1966, restituiscono una delle più ampie (forse la maggiore in assoluto per estensione geografica, contenuti e generi) raccolte di canti popolari del Gargano. Storicamente l’indagine si colloca in uno degli ultimi momenti di relativo preservamento e illibatezza della cultura locale e della musica popolare agro-pastorale dall’incontro con la cultura totalizzante di massa. La raccolta, nota agli studiosi come la “104”degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, è un’incredibile testimonianza storica che ha rilevato e conservato conoscenze ed espressioni di questi luoghi oggi profondamente mutati. L’indagine di De Cristofaro partecipa alla formazione e comprensione culturale del Gargano, e della Puglia in generale, restituendo un elevato contributo storico, paragonabile ad documentario girato in un paesaggio (sonoro) oramai quasi del tutto perduto. La raccolta si distingue per alcuni brani dal catalogo di Santa Cecilia: qui sono assenti i brani: 33 (Pampanella di viole), 57 (Ex tracta tu) e 58 (Via crucis), del catalogo di Santa Cecilia; sono presenti invece, nella raccolta 3, brani fuori dall’archivio di Santa Cecilia: 22  (Cummarë Maria Teresë), 23 (Donna biondina), 24 (A puntëcellë cë stevënë tre sorellë), 25 (Canto per il Capodanno), 26 (Canzone a San Michele), 27 (Canto per il Giovedì Santo), 28 (Canzone per padre Ferdinando Montanari), 29 (Santa Lucia), 30 (Vivo alla montagna), 31 (Affaccit’a la fënestra tu bella bimba) e 32 (Tarantella).
Molte forme musicali e di canto contenute nella raccolta sono uniche, mai registrate prima né dopo, rarità che permettono agli studiosi di ampliare le conoscenze e la cognizione della vastità dei repertori popolari dell’area. Gli oltre cento brani presenti si dividono in canti d’amore e di sdegno, canti di lavoro, religiosi, narrativi, ninne nanne, richiami, serenate, tarantelle e quadriglie. I luoghi indagati sono: Ischitella, Manfredonia, Mattinata, Monte Sant'Angelo, Peschici, Rignano Garganico, Rodi Garganico, San Giovanni Rotondo, San Nicandro Garganico, Vieste e Vico del Gargano, inoltre, si trovano canti e richiami raccolti dalle voci di alcuni vaccari nella Foresta Umbra.
Remigio De Cristofaro, originario di Ischitella, negli anni sessanta frequentava l’Istituto Pontificio di Musica Sacra di Roma, e nel 1966 ricevette l’incarico di effettuare una campagna di rilevazione nella sua terra d’origine dal Centro Nazionale di Musica Popolare di Roma e da Diego Carpitella. Frequenti negli anni furono anche i contatti con Roberto Leydi. Autore e compositore di messe, cantate e cori religiosi, De Cristofaro ha inoltre pubblicato due testi con l’editore Cantagalli: Siena. I canti del popolo, 1988; e  Ischitella: i canti del popolo. Album di paese, 1997.

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