Rocco Gaetani l’ho incontrato in un caldissimo giorno di luglio del 1976. Mi aspettava sulla porta di casa. Qualche giorno prima infatti avevo preso accordi telefonici. Insieme siamo andati in un’ampia stanza con la volta a vele dove abbiamo trovato un po' di fresco.
Rocco era un uomo schivo, timido direi, con quella serietà che contraddistingue gli uomini che con la campagna hanno avuto grande dimestichezza. Che sanno perciò cosa voglia dire la solitudine e il silenzio. Non abbiamo parlato molto. La stanza in cui eravamo sembrava lontanissima dal mondo esterno. Risuonava solo delle nostre voci. Rocco sapeva che cosa volevo e subito ci siamo messi all’opera. E così si è messo a sciorinarmi gran parte del suo repertorio di cantore solitario.
Quando ho sentito le prime note uscire dalla bocca mi sono emozionato. La sua voce veniva da un tempo lontano. Veramente lontano. Era una voce antica con una emissione inusuale tra tutta la gente che ho sentito cantare. Tagliente come una lama e tuttavia piena di dolore. Sembrava uno strumento ma era un uomo.
Cantava in grico e in dialetto martanese con grande naturalezza. Cantava soprattutto canti d’amore ma nella sua memoria di cantore aveva di tutto. Il suo repertorio pareva essere infinito.
Grazie ai documenti con lui registrati molte canzoni sulla soglia del deserto e della fine oggi sono ritornate sulla bocca di tutti. Il suo repertorio infatti ha nutrito tutti i gruppi di riproposta che dagli anni Ottanta ad oggi hanno praticato la musica popolare.
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