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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Martedì, 19 Giugno 2018 17:43

000 Eboli

Una selezione di brani musicali, canti ed interviste, registrata sul campo in presa diretta, che restituisce uno spaccato della realtà culturale di Eboli (Sa). L'intera raccolta è compromessa dalla bassa qualità dell'audio, dovuta al deterioramento dei nastri; inoltre non sono pervenute informazioni per stabilire la datazione delle registrazioni, l'identità degli esecutori, né l'occasione di esecuzione e quindi di rilevamento. Di particolare interesse è la lunga intervista rivolta a un mago, Sergio Petrillo, incontrato durante l'evento festivo, una testimonianza preziosa per la definizione di quello che il ricercatore considera il "nuovo" universo magico.
Già gli studi demartiniani hanno messo in luce la dignità del pensiero magico, come risposta specifica sul piano simbolico a una condizione di vita difficile e precaria, e alle situazioni critiche dell'esistenza. L'elemento magico interviene nella cultura contadina in ogni occasione e sfera delle attività umane: il contadino, ad esempio, compie riti magici per favorire e propiziare il raccolto; gli animali vengono protetti con amuleti o immagini sacre per mantenerli in buona salute; l'abitazione è protetta contro il malocchio e gli spiriti maligni da maschere apotropaiche, come in Calabria o in Sicilia, o dalle immagini della Madonna e dei santi della religione cattolica. La dimensione sociale dimostra di essere la chiave interpretativa e di significazione di tali pratiche: l'uso della magia nelle tradizioni popolari si realizza in una complessa rete di rapporti sociali in una comunità che condivide la credenza nell'efficacia magica, come risposta ad un bisogno psicologico e culturale di sicurezza.
Diversamente, negli ultimi cinquant'anni, si è andata diffondendo quella che Apolito ha definito la "nuova magia". Non una sopravvivenza culturale del passato e amalgama confuso di elementi magici contadini e istanze della modernità, ma fenomeno sui generis, con origine, struttura e funzioni peculiari, la "nuova magia" è conforme alla società industriale e alla dimensione individualistica. Il mago urbano ha abbandonato le vie dell'occultismo e dello spiritismo e il suo linguaggio imita sempre più quello scientifico, non ponendosi più come sapere iniziatico ed esoterico, ma come "corpo di conoscenze universalmente apprendibili, comunicabili, diffondibili". La città impone al nuovo mago la professionalizzazione dell'attività magica e la dispersione urbana della clientela configurando rapporti individualizzati, così come nelle professioni liberali classiche. Ciò comporta che il processo di legittimazione delle pratiche magiche non venga più ricercato in una comunità reale, ma in quella virtuale massmediatica: si impongono dunque nuovi linguaggi e simboli dettati da una clientela più ampia e diversificata, acculturata dai nuovi mezzi di comunicazione. L'ideologia della malìa provocata da agente umano cade in conflitto con i valori di libertà individuale e autorealizzazione personale promossi dalla società dei consumi. Così il mago organizza una nuova visione magica, "assunta dal senso comune, dalla religione, dai mass media, dalla divulgazione scientifica, fatta di fluidi, vibrazioni, onde, magnetismi, a metà tra la pretesa scientifica e l'ordinamento morale dell'universo, diviso in forze negative e positive".
Se la medicina ufficiale è l'orizzonte ideologico dominante, la "nuova magia" non si propone come unico sistema di protezione, come poteva o doveva fare la magia contadina, e per questa ragione spesso i nuovi maghi ricercano la consulenza di un medico, qualcuno che intervenga su quelli che sono i sintomi fisici, mentre opera sulla cura dell'individuo in senso olistico, ovvero in quanto persona sociale, sul modo soggettivo di vivere la malattia ed i legami che questa presenta con il mondo di cui il soggetto fa parte ed è espressione.
Il mago guaritore, infatti, "non somministra medicine dai poteri sconosciuti, al più fornisce erbe o polveri o grani da consumare in via sussidiaria e che non temono allergie". Il nuovo mago in sostanza circonda d'interesse la persona integralmente e non solo l'organo malato del suo corpo, la sua vita comunitaria, la famiglia, gli affetti, nel tentativo di comprendere la logica che sottende l'esperienza della malattia. Le terapie possono essere varie: dall'imposizione delle mani a una generica rassicurazione, dalla promessa d'invio di fluidi magnetici a consigli per una vita migliore che faccia guarire. 
Accanto a questa realtà convive, però, ancora il bagaglio d'idee e linguaggi dell'occultismo ottocentesco, come la pretesa carismatica di alcuni maghi di aver ricevuto da qualche entità sovrumana i propri poteri. Le due anime della nuova magia di frequente, quindi, si presentano in una mescolanza d'ideologie contradditorie, ma efficaci. In essa convivono temi arcaici, come la fattura e il malocchio, e nuovi, come il profilo psicologico individuale mutuato dai simboli astrologici o dalla lettura della mano. Il nuovo mago cerca la legittimazione del proprio status sociale, attraverso un linguaggio scientifico, attestati e diplomi, libri e programmi televisivi, che affondano ancora in parte le radici nella magia tradizionale.

Martedì, 19 Giugno 2018 17:37

000 E. Apicella, Somma Vesuviana 1980

Indagine realizzata a Somma Vesuviana (Na) il 3 maggio 1980, ovvero il tre della croce, giorno conclusivo della Festa della Madonna di Castello in cui si assiste alla preparazione delle perticelle. La buona qualità delle registrazioni consente di ricostruire integralmente diverse esecuzioni di canti sul tamburo variamente accompagnati da tammorra (tamburo a cornice), putipù (tamburo a frizione), triccheballacchecastagnette (idiofoni a concussione reciproca), doppio flauto e fisarmonica.

Martedì, 19 Giugno 2018 17:32

000 Enzo Apicella, San Mango Piemonte 1979

Il Vampalorio è un rito antico di San Mango Piemonte (Sa) che riunisce l’intera comunità locale e devoti provenienti dai paesi limitrofi la sera del 7 dicembre, vigilia dell’Immacolata, intorno al fuoco conciliatore e purificatore come tributo all'Immacolata per il raccolto passato e per propiziare la fertilità del terra. I giovani del paese, diversi giorni prima della ricorrenza, raccolgono la legna che alla vigilia verrà impilata in alte pire dagli uomini del paese, mentre le donne si adoperano nella preparazione delle tipiche pietanze. La sera dei festeggiamenti la piazza principale del paese viene illuminata dai fuochi accesi bruciando le cataste ed attorno al vampalorio bambini, ragazzi, adulti ed anziani si ritrovano accomunati da un rito che è parte della loro storia, improvvisando balli e canti tradizionali e consumando collettivamente cibi della tradizione locale (castagne, nocciole, mele annurche, chiacchere, struffoli, calzoncelli, salsicce, etc.). Fino a qualche decennio fa si celebrava anche il rito del mariandò e pizcandò: intorno al falò si formavano due pile di giovani, cinque sotto e quattro sopra, che si contrapponevano ballando in circolo e indirizzandosi stornelli. Quando calano le alte fiamme dei falò, per lasciare ardere i grossi ceppi, nella brace vengono cotte castagne, patate e mele annurche. La raccolta documenta il paesaggio sonoro festivo del 7 dicembre 1979: il ricercatore si fa largo tra i gruppi di musicisti catturando tammurriate e tarantelle, accompagnate dal suono di tammorre, tricchebballacche e flauti a becco.

Martedì, 19 Giugno 2018 17:28

000 Casalbuono

Una breve raccolta di fiabe, registrate a Casalbuono (Sa) e raccontate dalla voce di un'anziana donna. Se non sono pervenute informazioni per stabilire la datazione delle registrazioni, né l'identità dell'informatrice, resta uno spaccato del ricco patrimonio fiabesco campano a comporre l'universo simbolico di una profonda tradizione orale mediata dall'opera di narratori che, per l'articolata caratterizzazione repertoriale, e legittimati dal riconoscimento della comunità, ricoprivano spesso ruoli di leader culturali, chiamati a narrare pubblicamente storie e racconti. La maggior parte del repertorio favolistico era infatti impiegato in occasioni collettive, spesso rituali, e il narratore riceveva un compenso (vino o cibo) a sancire il prestigio sociale e i valori attribuiti al contesto fabulatorio e ai suoi autori.
Le occasioni alle quali in passato era legata la favolistica tradizionale erano le più svariate: si raccontavano favole durante la raccolta delle castagne, la lavorazione della canapa, la battitura delle pannocchie di granoturco, in occasione di raduni dei pastori e dei raccolti del grano, ma anche durate banchetti nuziali e le veglie funebri. Altre volte invece la favola era legata a circostanze che esulavano da ogni ritualità.
Il repertorio dei narratori era frutto di lungo apprendistato, praticato con una fonte autorevole, ovvero un narratore più anziano, con il quale l'allievo intratteneva poi, significativamente, rapporti di comparaggio o di parentela.
Come osserva Roberto de Simone in Fiabe campane. I novantanove racconti delle dieci notti (1994), le favole presentano una struttura aperta e modulare, "nel senso che vanno intese come vere e proprie rapsodie, il cui discorso può essere percorso in vario modo, con la aggiunta, l'eliminazione d'interi brani, aventi volta senso compiuto, quasi un racconto nel racconto": il narratore rimescola il materiale tradizionale, ampliandolo o riducendolo, conformemente alle esigenze dell'uditorio.
Il linguaggio è il dialetto di uso quotidiano, affiancato da una serie di linguaggi più arcaici, caratterizzati da una letterarietà convenzionale assai vicina alle strutture in versi del canto popolare. 
Molto diversi risultano invece gli stili narrativi, di recitazione, che spaziano dal dialogo, all'ispirazione epica, ad una recitazione assai cadenzata, di tipo magico-rituale. Di particolare rilievo la forte teatralità del racconto, elemento quasi indipendente dal tono del narratore. Sulla tradizionale formalizzazione del raccontare, contrassegnata da ritmi e intonazioni determinati, si articolano le performance personali, ricorrendo a battute fisse, recitate con l'uso sapiente dei tempi teatrali.
La messa in scena di ogni fabulatore, attore ed esecutore dello spettacolo fiabesco, spesso si svolgeva attraverso una successione di azioni rituali, secondo Ugo Vuoso, fasi di un vero e proprio rito di passaggio. Nei preliminari del rito fabulatorio, il narratore prende posto di fronte, in mezzo al proprio uditorio: "viene a crearsi così lo spazio prossemico e gestuale di interazione fra chi dovrà ascoltare e chi dovrà narrare, instaurandosi così il tempo narrativo vero e proprio, scandito dalla voce narrante". Il C’era una volta…, come nelle fiabe qui documentate, segna l'avvio della narrazione, l'inizio del viaggio fiabesco. A volte, nell'ambito campano, si ritrovano ulteriori formule di apertura e di chiusura del racconto che segnano gli estremi del rito di passaggio, un rito che vede l'ascoltatore entrare nel tempo favolistico per poi ritornare al tempo profano della quotidianità.
La fiaba, come altri generi del racconto orale, sopravvive ormai in pochissime occasioni di esecuzione, legate per altro a tradizioni familiari più che sociali. Il posto che prima occupava la fabulazione nel complesso sistema folklorico, è stato sostituito da altre forme d'intrattenimento e di comunicazione. Oggi sono le donne, per lo più anziane, a conservare la memoria delle fiabe e a riattualizzarla soprattutto per il pubblico infantile, nonostante nella tradizione fossero gli uomini i principali detentori di tali repertori.

Martedì, 19 Giugno 2018 17:21

000 Capriglia di Pellezzano 1979

Una selezione d'interviste descrive e ricostruisce la storia dei festeggiamenti in onore della Madonna delle Grazie a Capriglia, piccola frazione di Pellizzano (Sa).
Il simulacro mariano, dipinto su legno della scuola di Andrea Sabatino del 1468, ogni anno la prima domenica di luglio viene portato in processione per le vie del paese attraversato dalla banda e illuminato dai fuochi pirotecnici a celebrare, con novene e orazioni, un'intensa devozione popolare, trasmessa attraverso le generazioni, verso la Vergine. L'effige marina fu incoronata, su richiesta al capitolo del Vaticano del parroco pro tempora don Michele Mele, nel 1795 per miracoli e prodigi che negli anni avevano richiamato la devozione non solo dei caprigliesi, ma anche di abitanti di paesi limitrofi.
In particolare le testimonianze documentate indugiano su uno dei rituali più sentiti dai fedeli, ovvero quello dei cesti votivi: beni alimentari che i devoti ricevono in dono dalla Madonna in cambio della loro offerta e che consumano nel corso della giornata di festa.

Martedì, 19 Giugno 2018 17:06

000 Caposele 1981

Canti e interviste documentati il 16 ottobre del 1981 a Caposele (Sa) in occasione delle celebrazioni legate al culto di San Gerardo. Il ricercatore segue i pellegrini durante l’intero viaggio processionale, raccogliendone le testimonianze sullo sfondo del paesaggio sonoro festivo. Solo un anno prima la popolazione era stata colpita dal terremoto, il 23 novembre del 1980: i racconti dei devoti, accorsi per chiedere protezione ed aiuto al santo, appaiono ancora intrisi dalla terribile esperienza. Le testimonianze di alcune devote riferiscono, inoltre, della rituale benedizione dei semi: nel piazzale antistante il santuario, quintali di grano, divisi in sacchetti, vengono preparati per ricevere la benedizione del vescovo prima di essere distribuiti ai fedeli con l'augurio di una buona semina.

Martedì, 19 Giugno 2018 16:53

000 Caposele 1980

Canti, musiche e testimonianze raccolti il 16 ottobre del 1980 a Caposele (Sa) durante le celebrazioni per San Gerardo. Nella frazione di Materdomini sorgeva, già nel 1527, la chiesa dedicata al culto di Santa Maria Mater Domini e meta di pellegrinaggi. Nel 1746 Sant'Alfonso dei Liguori, fondatore dei Redentoristi, accettò per il proprio ordine la cura della chiesa, accanto alla quale venne costruito il convento. Proprio qui operò e morì, nel 1755, Gerardo Maiella, religioso redentorista, invocato oggi in tutto il mondo come santo protettore delle mamme e dei bambini. Il giorno della ricorrenza della morte di San Gerardo, si svolge la solenne processione, che vede la statua del santo portata in spalla per le strade di Materdomini e Caposele. I pellegrini, giunti dai paesi limitrofi e non solo, portatori dunque di eterogenee culture musicali, si riuniscono nel piazzale antistante la basilica che custodisce il reliquiario dalla sera precedente, aspettando l'inizio delle funzioni religiose con canti devozionali, tarantelle, tammurriate e suonate con l'accompagnamento di zampogne e ciaramelle. Le testimonianze di alcune devote parlano della rituale benedizione dei semi: nel piazzale antistante il santuario quintali di grano, divisi in sacchetti, vengono preparati per ricevere la benedizione vescovo prima di essere distribuiti ai fedeli con l'augurio di una buona semina.

Martedì, 19 Giugno 2018 16:45

000 Atena Lucana

Una selezione di brani musicali, canti ed interviste, registrata sul campo in presa diretta, che restituisce uno spaccato dei riti e della realtà culturale di Atena Lucana (Sa), in particolare l'eterogeno patrimonio musicale legato ai riti in onore di san Ciro, protettore di quest'antica cittadina nel Vallo di Diano. 
Le ultime tracce, inoltre, propongono brevi interviste rivolte a romanì provenienti da Avellino, probabilmente accorsi ad Atena Lucana per partecipare alla processione in onore del santo patrono. 
L'intera raccolta è compromessa da una bassa qualità dell'audio, dovuta al deterioramento dei nastri e probabilmente a processi di duplicazione; inoltre non sono pervenute informazioni per stabilire la datazione delle registrazioni, né l'identità degli esecutori e degli intervistati.
Bisogna ricordare che, tra la fine del '600 e l'inizio del '700, la diffusione del culto di san Ciro trovò nell'area napoletana un terreno particolarmente fertile a seguito dell'opera del predicatore gesuita san Francesco De Geronimo, che attribuiva al martire guarigioni prodigiose. Al 1860 risale un'ulteriore diffusione del culto di san Ciro nell'area campana, come attestano l'edificazione e la dedicazione di molte chiese, cappelle e santuari in suo onore, mete dei numerosi devoti del santo. Tra questi il santuario di S. Ciro ad Atena Lucana, una delle chiese più antiche del comune, le cui prime testimonianze risalgono al secolo XI, diventato poi centro di devozione e meta dei pellegrinaggi, elevato a santuario nel 1965 e dedicato allo stesso santo. In suo onore vengono celebrate due solenni processioni, una il 31 gennaio, la Solennità di san Ciro medico, eremita e martire, e l’altra la terza domenica di maggio, la festa di san Ciro con la tradizionale fiera del bestiame. Probabilmente le registrazioni qui riportate sono state rilevate durante i riti svolti per quest'ultima ricorrenza. La terza domenica di maggio, infatti, giungono ancora oggi numerosi devoti dai paesi limitrofi e non solo. Basti pensare che Atena Lucana ha stretto un gemellaggio per tali festeggiamenti con Grottaglie, comune in provincia di Taranto nel 2011, e con altri centri accomunati dallo stesso culto.
I riti sono incentrati attorno ad una processione che vede la statua del santo portata in spalla dai devoti, lungo le vie del paese, su un baldacchino. 
Durante la processione, inoltre, sfilano le cente, costruzioni in legno leggero dalle forme più varie (barca, rotonde, quadrate, ecc.), recanti cento candele, disposte l'una accanto all'altra e decorate con nastri multicolori, fiori di plastica e l'immagine sacra del santo. Queste particolari offerte votive sono tanto pesanti che le donne le portano poggiate sulla testa e ancora oggi alcune di loro, per devozione o per chiedere una grazia, percorrono tutta la processione scalze, intonando canti in onore del santo [traccia 08, 10, 11, 12, 13, 19, 20], ringraziandolo per le grazie ricevute o richiedendo aiuto e intercessione. Come si può notare anche in alcuni brani di questa raccolta, i canti a volte vengono accompagnati da zampogne, ciaramelle e fisarmoniche, strumenti del patrimonio musicale locale, e dalla musica della banda del paese. 
Di particolare interesse le ultime tre tracce [24, 25, 26] della raccolta: brevi interviste ad alcuni romanì di Avellino, giunti ad Atena Lucana per i festeggiamenti di san Ciro, in cui emergono alcune peculiarità della cultura rom, in particolare nell'ambito linguistico, rispetto ai sistemi parentali, sul rapporto con la religione cattolica, sulle problematiche relative alle dinamiche di integrazione. Bisogna, infatti, ricordare che con la parola zingari si indicano i lontani discendenti di popolazioni provenienti dal nord dell'India, che intorno all'anno Mille sono stati allontanati per questioni politiche ed economiche, e che in seguito si sono distribuiti in diverse zone dell'Asia, dell'Europa, del nord Africa e, successivamente, dell'America settentrionale e meridionale e dell'Oceania. Il romanì, con le innumerevoli varianti dialettali, è una lingua indiana nutrita di innesti di varia provenienza: tratti zingari e tratti allogeni si sono contaminati e trasmessi nei percorsi migratori. Elementi lessicali del romanì sono entrati a far parte di vari gerghi locali, mentre il vocabolario di marginali e artigiani non rom è penetrato nel romanì. Ciascun gruppo ha elaborato orizzonti culturali, sistemi mitici e religiosi, abitudini di vita modellati in buona misura su quelli delle popolazioni presenti nell'area di destinazione, sia pur salvaguardando delle specificità. In Italia attualmente sono presenti numerosi gruppi romanì, arrivati in epoche diverse, e seguendo percorsi differenti. Quello di più antica presenza è stabile nell'Italia centro-meridionale, proveniente da aree balcaniche via mare e insediatosi in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria fin dal XV sec.; esercitavano le attività di fabbri (treppiedi, pale, zappe, pale da forno, ferri da calza, ferri per fare la pasta, scacciapensieri) e mercanti di equini. Questi interpreti sono stati agenti, in misura rilevante, dell'importazione in Europa occidentale di strumenti e forme musicali di provenienza islamica che hanno contribuito in modo determinante alla formazione dei linguaggi musicali dell'Europa occidentale moderna. Oggi nella loro cultura musicale si può notare l'inserimento di strumenti moderni che vanno ad affiancare quelli della tradizione. Del linguaggio di tradizione però si mantengono i caratteri fondamentali (modi, strutture ritmiche, fraseggio, formularità del repertorio, materiali melodici, relazione tra strutture fisse e improvvisazione); si mantiene, soprattutto, la tradizionale disponibilità all'innovazione, all'ibridazione di forme e materiali. In questo dunque, cioè nelle modalità di interpretazione e nel ruolo di divulgatori e conservatori delle tradizioni, va individuata la specificità delle comunità romanì, assai più che nell'esistenza di tradizioni esclusive; l'unica, rilevante eccezione della lingua sembra ribadire, più che negare, questa particolare posizione di marginalità e, al tempo stesso, di arricchimento culturale nei contesti di destinazione.

Martedì, 19 Giugno 2018 16:35

000 Aiello 1988

Ad Aiello (frazione di Castel San Giorgio in provincia di Salerno) si tiene il tradizionale Volo degli Angeli in occasione della Festa della Madonna di Costantinopoli, il martedì dopo la Pentecoste. La festa viene condivisa dalla contigua frazione di Campomanfoli. Due giovani ragazze, con vestiti tradizionali (o con il vestito della Prima Comunione), con un mazzo di fiori che lanceranno sulla folla, assicurate intorno alla vita da un busto agganciato ad un fune, vengono sollevate per circa 20 metri nella piazza antistante la chiesa. Durante il tragitto "aereo" verrà cantato un inno in onore di Maria di Costantinopoli ("Una luce insolita..."). L'inno, intervallato dalla melodia della banda musicale, termina con la preghiera e con il lancio dei fiori. Tra gli applausi dei presenti i due angeli vengono riportati al suolo, mentre la banda musicale intona "Il Piave mormorò". Il volo viene ripetuto prima della mezzanotte e il giorno successivo. Durante la giornata di festa è tradizione rispettare il divieto assoluto di consumare carne, come vuole una bolla arcivescovile della metà dell'Ottocento: si preparano pietanze tipiche alternative come le polpette al baccalà, le sarde sott'olio, le alici fritte impanate con le uova. Le registrazioni documentano interviste ai fedeli e la l'inno durante il Volo degli Angeli.

Martedì, 19 Giugno 2018 16:30

000 Alfonso Raviele, Cervinara 1982

Cervinara (Av) è uno dei centri più popolosi dell'Irpinia: composta da ben undici frazioni, segna il confine tra la provincia irpina e quella beneventana. L'indagine di Alfonso Raviele, allievo di Paolo Apolito e abitante a Cervinara, mira a descrivere la diffusione di credenze magiche relativamente alle apparizioni di spiriti, fantasmi e incontri notturni con il folletto, o spiritello, denominato monacello. Le interviste si svolgono quasi totalmente in dialetto molto stretto e riportano una serie di episodi accaduti ai testimoni che spaziano nel tempo ricordando momenti della gioventù o recenti accadimenti, e le emozioni che li hanno accompagnati. Tra i documenti un lungo canto polivocale che narra la Passione di Cristo e un rituale di guarigione. 

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