
Mimmo Ferraro
03 La cantata dei pastori (1958)
000 Le registrazioni in studio
Nel pubblicare i sette microsolchi de "La tradizione in Campania", De Simone dichiarava, nel luglio del 1978, di essersi attenuto a presupposti e convinzioni acquisite durante quindici anni di ricerca sull'espressività popolare in Campania che lo avevano indotto a discostarsi dal criterio, assunto come norma metodologica irrinunciabile nell'ambito della ricerca etnomusicologica, di limitarsi a registrazioni sul campo per quanto riguardava le fonti della cultura orale: norma che lui stesso aveva rispettato registrando "con rudimentali apparecchi i primi documenti popolari" basandosi "essenzialmente sull'informatore e cioè registrando musiche e canti sul ricordo e la testimonianza degli esecutori" (R. De Simone, Introduzione a Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato-Side, 1979, alla quale si fa riferimento anche in seguito).
L'idea di registrare in sala d'incisione, dettata dalla constatazione che "esistevano in Campania esecutori popolari la cui eccezionalità stilistica meritava di essere fissata meglio che non con il registratore portatile", era inizialmente orientata a integrare il materiale raccolto sul campo con "qualche registrazione che esaltasse in condizioni ottimali il virtuosismo musicale degli esecutori": l'esito fu esattamente l'opposto per cui i sette microsolchi, pubblicati l'anno dopo, integravano, con qualche documento sul campo, quanto si era venuto spontaneamente delineando in sala d'incisione.
Con le prime registrazioni era infatti emerso come "la forza e la verità espressiva delle esecuzioni non soffriva la minima alterazione" per una serie di motivi che riguardavano il rapporto personale stabilito con gli esecutori che si presentavano in gruppo e la prossimità con l'evento festivo e rituale di cui dovevano dare testimonianza, stabilendo così, anche in studio, un "reale momento espressivo".
Su queste premesse nacque l'idea di impostare l'opera discografica "non solo per aree geografiche, per stili musicali, quanto essenzialmente sui linguaggi", "linguaggi antichi e pur sempre nuovi nel momento che c’è una voce, un esecutore in grado di articolarli ed una comunità in grado di recepirli". Le perplessità riguardo al restituire in una sala di incisione "il linguaggio più puro dei canti e delle musiche tradizionali" venivano "totalmente" smentite dai risultati, vale a dire "il grado di tensione e verità raggiunto nelle registrazioni in sala discografica" attestato non solo "dalla compattezza, dall'organicità e dall'espressività delle stesse esecuzioni", ma anche "dalla straordinaria serie di fotografie scattate da Mimmo Jodice in sala durante le registrazioni": fotografie che, ritraendo la singolarità espressiva degli esecutori, la tensione drammatica dei loro volti, attestavano magnificamente come anche in sala di incisione tutto si fosse svolto "ai limiti della possessione magica del rituale".
Nel rimettere mano, trent'anni dopo, a questa sua memorabile impresa, in vista del volume con sette cd allegati, Son sei sorelle che ha costituito l'avvio delle attività dell'Archivio Sonoro della Campania, De Simone, aggregando ai materiali in studio quelli raccolti sul campo, ha offerto una mirabile riprova della bontà di quella sua intuizione data l'impossibilità di distinguere - al di là degli aspetti più strettamente tecnici - le registrazioni in studio dai brani raccolti sul campo, individuati in un lungo e meticoloso lavoro di selezione: le une e gli altri, secondo l'inarrivabile sensibilità musicale dell'autore de La gatta cenerentola, sono stati così ordinati come una straordinaria sinfonia che restituisce all'ascolto il canto corale di un popolo, l'anima e il cuore palpitante di una tradizione che, oggi come allora, si può comprendere appieno soltanto in relazione "al mito e al culto delle sette Madonne: sette sorelle, delle quali sei belle e una brutta e nera che invece risulta essere la più bella di tutte, la Madonna di Montevergine detta 'Schiavona', ossia nera".
Dai possenti canti sul tamburo, con le innumerevoli varianti delle tradizioni locali, alle tarantelle e canti "a figliola", dagli strambotti e ninne nanne fino a un'insospettata tradizione di canto sociale e politico, si dispiega così la possente forza stilistica e comunicativa dell'espressività popolare, colta al massimo delle sue potenzialità, attraverso i suoi interpreti più rappresentativi, protagonisti tanto delle registrazioni in studio quanto di quelle sul campo: Giovanni Coffarelli, grande cantatore dotato di una potenza vocale e di un'energia sonora non più eguagliate, Giulia Ciletti, rarissima superstite delle lamentatrici funebri presenti in Irpinia, Antonio Torre, il più valente suonatore di tamburo della Campania, il suo omologo femminile, Rosa Nocerino, "vera regina del tamburo" e tutti gli altri depositari di una cultura secolare, dotati di una sacerdotale sacralità che determinava lo zenit del ritmo e delle modalità stilistiche, in virtù delle quali prendeva vita quel tessuto liturgico di dialoghi e improvvisazioni in cui si riconosceva tutta una comunità.
000 Le foto di Mimmo Jodice
Mimmo Jodice nasce a Napoli, nel rione popolare Sanità, il 29 marzo 1934. Agli inizi degli anni Sessanta scopre la fotografia. Inizia allora una serie di sperimentazioni sui materiali fotografici e sulle possibilità della fotografia, non come mezzo meramente descrittivo, ma come strumento creativo. Durante questi anni vive a stretto contatto con i più importanti artisti delle avanguardie che frequentavano la città partenopea. Intanto, le collaborazioni con Roberto De Simone, conosciuto nel 1969, consolida in lui l'interesse per le feste e i rituali religiosi di Napoli e del Sud e la passione per l'indagine antropologica. Insieme a De Simone pubblica, nel 1974, il volume Chi è devoto. Nel 1970 è invitato a tenere corsi sperimentali all'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove, dal 1975 fino al 1994, sarà docente di Fotografia e punto di riferimento per la giovane fotografia napoletana e più in generale del Sud. Sempre del 1970 è la mostra presso la Galleria Il Diaframma di Milano, diretta da Lanfranco Colombo, intitolata Nudi dentro cartelle ermetiche, presentata da Cesare Zavattini. In questi anni Jodice opera fra costruzione artistica e realtà sociale. Nel 1971 conosce Cesare De Seta, con il quale condividerà uno studio a Napoli fino al 1988. L'epidemia di colera scoppiata nella città nel 1971 lo spinge a lavorare sulla situazione sociale: sviluppa un lavoro che consiste non tanto nel documentare la cronaca, quanto nell'indagare lo stato di miseria e di degrado che stanno alla base di tale tragedia. Ne deriva la mostra Il ventre del colera, presentata al Sicof di Milano nel 1973, con un testo di Domenico De Masi. Nel 1975 viene pubblicato il volume Mezzogiorno. Questione aperta, un ampio lavoro sulle condizioni sociali del Sud. La fotografia sociale di Jodice si discosta dal reportage tradizionale ed è orientata non alla ricerca di momenti narrativi, ma di tipi sociali, di figure simboliche, di scenari anche organizzati sui valori plastici dei luoghi e dello spazio urbano. Nel 1978 la rivista Progresso Fotografico gli dedica un numero monografico dal titolo La Napoli di Mimmo Jodice, con testi di Giuseppe Alario, Percy Allum, Domenico De Masi, Cesare De Seta, Pierpaolo Preti. Con il volume Vedute di Napoli, con un saggio di Giuseppe Bonini, edito nel 1980, si chiude il "periodo sociale" del suo lavoro e prende avvio una nuova indagine sulla realtà, con la scomparsa delle figure umane dalle sue immagini e la ricerca di uno spazio urbano vuoto e inquietante, carico di memoria e di presenze metafisiche. Con i primi anni Ottanta, dalla collaborazione fra Jodice e Cesare De Seta nasce un ambizioso progetto culturale, promosso dall'Azienda Autonoma di Soggiorno di Napoli, volto a indagare, attraverso l'apporto di diversi fotografi italiani e stranieri, i molteplici aspetti della realtà partenopea contemporanea: il primo volume e la prima mostra del ciclo, del 1981, hanno per titolo Napoli 1981. Sette fotografi per una nuova immagine. Nel 1982 pubblica tre volumi: Teatralità quotidiana a Napoli, Naples une archéologie future, con testo di Jean Claude Lemagny, e Gibellina, in cui segue le tracce lasciate dall’uomo del passato sul paesaggio, e le interpreta come segno del suo divenire futuro. Nel 1983 Cesare De Seta cura Capri, progetto commissionato dalla RAI a Jodice e Luigi Ghirri, amico e compagno di strada conosciuto nel 1980: in questa occasione i due artisti avviano un lungo lavoro di ricerca di nuove ipotesi di lettura del paesaggio contemporaneo in Italia, confermate l'anno successivo dalla mostra collettiva e dal catalogo Viaggio in Italia, e nel 1986 da Esplorazioni sulla via Emilia, importanti progetti ideati da Luigi Ghirri. Si definisce in questi anni un doppio filone di ricerca di Jodice: da un lato la visione sempre più sospesa e irreale della città di Napoli, dall'altro l'indagine sulle impronte del passato sul presente e sulle radici della cultura mediterranea. Di nuovo nel 1990 dedica interamente alla sua città un altro volume: La città invisibile. Nuove vedute di Napoli, presentato da Germano Celan.
I ritratti documentati sono scatti colti durante le registrazioni condotte da Roberto De Simone presso lo studio Zeus di Napoli, confluite nei sette LP editi nel 1975 dalla Emi, La tradizione in Campania, e restituite oggi nel volume Son sei sorelle. Rituali e canti della tradizione in Campania (Squilibri Editore, 2010).
00 Fondo Roberto De Simone
Roberto De Simone nasce nel 1933 a Napoli dove studia pianoforte e composizione presso il Conservatorio di musica "S. Pietro a Majella". Abbandonata la carriera concertistica, intrapresa assai precocemente fin da giovanissimo (memorabile il suo debutto, a quindici anni, con il Concerto in Re min. K 466 per pianoforte di Mozart, nella Sala Scarlatti del conservatorio napoletano), si dedica pienamente all'attività di compositore, etnomusicologo e regista.
I suoi studi e ricerche nel campo della storia musicale hanno condotto a numerose revisioni critiche e regie di spettacoli che hanno rappresentato le tappe fondamentali di un lungo percorso di esplorazione e valorizzazione del repertorio sei-settecentesco di scuola napoletana.
Le indagini sul terreno, gli studi antropologici ed etnomusicologici sulla musica, la danza e il teatro tradizionali della Campania sono confluiti in numerosi volumi e dischi che rappresentano tuttora un riferimento fondamentale per la piena comprensione del complesso e ricchissimo tessuto culturale della regione. Questi alcuni dei volumi più significativi: Chi è devoto (ESI, Napoli 1975), Carnevale si chiamava Vincenzo (con Annabella Rossi, De Luca, Roma, 1977), Il segno di Virgilio (A. A. S. T. di Pozzuoli, sez. "Puteoli: studi di storia antica", 1982), La tarantella napoletana ne le due anime del Guarracino (Benincasa, Roma, 1992), Fiabe Campane (2 voll., Einaudi , Torino, 1994), Il presepe popolare napoletano (Einaudi, 1998), La cantata dei pastori (Einaudi, 2000); ha curato una recente edizione di Lo cunto de li cunti. Nella riscrittura di Roberto De Simone (da G. B. Basile, Einaudi, 2002). Già irrinunciabile, per la qualità degli interpreti, l'originalità e varietà dei generi e repertori documentati, l'imponente antologia discografica La tradizione in Campania (7 lp, EMI 3C164-18431/37, 1979), lo è diventata ancora di più nella più recente edizione in 7 cd allegati al volume Son sei sorelle. Rituali e canti della tradizione in Campania, con l'aggiunta di una notevole quantità di registrazioni di analogo valore che offrono la più ampia rappresentazione delle musiche di tradizione della regione.
Roberto De Simone è inoltre uno dei massimi conoscitori delle intricate e avventurose vicende del teatro napoletano, nella straordinaria pluralità di generi e interpreti che connota questa grande tradizione culturale; così si può dire anche per un'altra espressione tipica, la canzone napoletana, di cui conosce i più nascosti segreti (cfr., tra l'altro: R. De Simone, Appunti per una disordinata storia della canzone napoletana, in "Culture musicali. Quaderni di etnomusicologia", II/3, 1983: 3-40). Su questi argomenti assume particolare rilievo, inoltre, la sua ampia e continua attività di divulgatore su quotidiani e riviste.
Coerentemente con la riflessione antropologica e storico-musicale, Roberto De Simone ha ideato e realizzato celeberrimi progetti musicali e teatrali che hanno impresso una traccia profonda nella cultura contemporanea. Già alla fine degli anni Sessanta, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ha imposto una nuova cifra musicale per la presentazione in palcoscenico delle musiche di matrice folklorica, con soluzioni strumentali e vocali - rispetto ai documenti sonori e scritti - che hanno fatto scuola per decenni. Alcuni suoi lavori per il teatro musicale, premiati da uno straordinario successo di pubblico, sono senz’altro rappresentativi di una avvincente interpretazione delle credenze magico-religiose e delle espressioni coreutico-musicali dell'Italia meridionale, assai intrigante sul piano della fruizione e dello spettacolo. Emblematica, in questo senso, risulta La Gatta Cenerentola (la prima rappresentazione al Festival dei due mondi di Spoleto nel 1976), è stata seguita da centinaia di esecuzioni nei teatri di tutto il mondo), tratta dalla sesta favola del Pentamerone di G. B. Basile. Così l'autore si è espresso, ricordando questo testo, che può essere inteso come il suo capolavoro: "Quando cominciai a pensare alla gatta Cenerentola pensai spontaneamente a un melodramma: un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano. Un melodramma come favola dove si canta per parlare e si parla per cantare o come favola di un melodramma dove tutti capiscono anche ciò che non si capisce solo a parole". Lo stesso si può dire per il Mistero Napolitano (Berlino 1978), altra grande opera dedicata ai simboli più nascosti della cultura tradizionale della città e della Campania.
Come compositore, Roberto De Simone ha realizzato, numerosissimi lavori, assai diversi per ispirazione e generi. Si ricordano i principali: L’Opera buffa del Giovedì Santo (Napoli, 1980), Requiem in memoria di Pier Paolo Pasolini (Teatro di San Carlo, Napoli, 1985), Carmina vivianea(Teatro di San Carlo, 1986), Le tarantelle del rimorso (Teatro di San Carlo, 1992), Populorum Progressio (Teatro Mercadante, Napoli, 1994), L'Opera dei Centosedici (Teatro Mercadante, 1996), Eleonora (Teatro di San Carlo, 1999). Inoltre, ha composto le musiche e curato la regia per l'Agamennone di Eschilo, La figlia di Jorio di D'Annunzio, La festa di Piedigrotta di Viviani. Particolare interesse, per la qualità e originalità della scrittura, assumono le musiche composte per il film Quanto’è bellu lu murire acciso di Ennio Lorenzini (David di Donatello per la miglior regia, 1976).
Come regista di teatro lirico ha allestito decine di opere nei maggiori teatri europei: azioni creativa spesso molto avventurose, ma sempre assai attraenti e godibili nella resa in palcoscenico.
Il fondo De Simone, ancora in parte da riversare e catalogare, è da integrare con le numerose registrazioni realizzate, con Annabella Rossi, all'interno delle ricerche sul carnevale e su altri aspetti della cultura popolare campana, come in particolare il culto di San Michele e la devozione alla Madonna delle Galline, nonché con le numerose opere e regie realizzate nel corso degli anni in un originale quanto fecondo rapporto con la tradizione.
00 Fondo Paola Cantelmo
Una campagna di rilevazione sulla danza popolare campana, effettuata nell'arco di tre anni, dal 1984 al 1986: dai primi contatti col contesto e con i protagonisti, all'apprendimento delle tecniche base di esecuzione dei vari stili di danza, alla relazione di fiducia e di appartenenza e finalmente alle riprese video. Allora erano quasi esclusivamente gli anziani a ballare le tammurriate e tenere viva la tradizione. Più volte ho percepito il loro vero piacere di insegnare e la soddisfazione, in seguito, di ritrovarsi di anno in anno e ballare insieme. In più, a sigillo di un comune senso di appartenenza, nelle ultime feste a cui ho partecipato mi è stato richiesto di essere un anello della catena del tramandare: uè vien' 'a ccà, tu 'ea 'mparà a nepotem'…
Tre anni molto intensi durante i quali la priorità era essere presenti alle scadenze rituali, pronti a condividere viaggi, cibo, vino, feste e nottate, gioie e dolori con la squadra di tammorrari che ci aveva adottato. E non è escluso che tutto ciò abbia dato una spinta, in alcune zone, al rinascere dell'interesse da parte delle nuove generazioni verso la danza popolare. Oggi le tammurriate sono frequentatissime e, anche se non si distinguono più precisamente i passi base e gli stili differenti, l'impressione è che i giovani partecipanti portino nel cerchio della tammurriata il bisogno di comunità ricreando la vitalità dei riti collettivi.
Grazie ad Alberto Esposito, amico mio e appassionato ricercatore, questi materiali diventano oggi di nuovo fruibili.
000 Trentinara 1978, Festa per la Madonna di Loreto
La suggestiva processione in onore della Madonna di Loreto, la più conosciuta nel Cilento, dalla partenza dal santuario al suo arrivo al centro del paese di Trentinara (Sa) tra preghiere e canti religiosi.
La sera della vigilia, l'effigie mariana viene portata in processione alla luce di centinaia di candele (le centane), e rimarrà nella chiesa madre per tutta la notte. Il giorno della festa, viene prelevata dalla chiesa e riportata al santuario. Il culto è legato ad un'antica leggenda di fondazione che narra dell'apparizione dell'immagine della Madonna nera sulla corteccia di una pianta di ulivo a due pastorelli. Nel luogo dove avvenne il miracolo è stato costruito il santuario, da sempre meta di molti pellegrini.
La raccolta, che restituisce il panorama sonoro dell'evento festivo, documenta esecuzioni della tarantella di Trentinara (tracce 05; 06; 07), accompagnamento sull'organetto alla danza che si distingue, per originalità della scenografia e ricchezza delle figure, dalla più nota versione sorrentina, e coglie i commenti della folla giunta "per la benedizione" della Madonna.
000 Torchiati di Montoro Superiore
Esecuzioni musicali che documentano l'estetica delle tarantelle, degli stornelli e dei valzer tipica della zona. Le forme di accompagnamento seguono in alcuni brani l'esecuzione di linee di canto con testi di significato ironico e amoroso, in altri accompagnano la danza della tarantella. Purtroppo non sono indicati l'occasione e l'anno delle rilevazioni.
000 Somma Vesuviana 1983
Rilevazioni condotte da Paolo Apolito a Somma Vesuviana il 9 aprile 1983, ovvero il sabato in albis, il primo giorno della festa della Madonna di Castello, detto anche sabato dei fuochi, perché vengono accesi intorno al santuario numerosi falò sui tuori, che danno l'impressione della lava che scorre sulla montagna, quasi a voler esorcizzare la paura del Vesuvio. La raccolta documenta un ballo sul tamburo eseguito dalla celebre paranza d'Ognundo, tra i cui componenti si celebra lo storico capo-paranza, zì Gennaro, da parte di Raffaele Molaro (membro della formazione e addetto alla questua e alla raccolta di denaro per l'organizzazione dei fuochi), Anna Lomax (antropologa ed etnomusicologa, figlia di Alan Lomax), che racconta inoltre del viaggio compiuto nel 1975 dalla paranza d'Ognundo che si era esibita in diverse città americane, e infine dallo stesso ricercatore; e ancora scorci del paesaggio sonoro festivo, canti a figliola legati senza soluzione di continuità ad altrettanti balli sul tamburo, momenti liturgici e testimonianze raccolte tra i presenti.
000 Somma Vesuviana 1981
Documenti sonori raccolti a Somma Vesuviana (Na), durante una lezione-spettacolo organizzata presso la scuola elementare del Casamale, centro storico del comune, il 26 dicembre del 1981.
Brani strumentali, eseguiti con l'accompagnamento di chitarra battente, violino e sisco, introducono i racconti di fiabe interpretati da due cantori locali.
Il primo ad esibirsi è Zì Gennaro, ovvero Lucio Albano (1913-1988), il capo della Paranza d’o Gnundo (definizione con cui si indica il confine tra Ottaviano e Somma Vesuviana), una delle poche a portare avanti negli anni Settanta una fedele riproposta dei repertori tradizionali, attirando l'attenzione di molti studiosi, tra tutti Roberto De Simone, che vedevano in Zì Gennaro Albano uno degli ultimi detentori di un patrimonio culturale in estinzione. Qui l'abilità del narratore testimonia uno spaccato del ricco patrimonio fiabesco campano restituito attraverso modalità di trasmissione orale da interpreti che, proprio come zì Gennaro, con una ricca e articolata caratterizzazione repertoriale e, in ragione di un riconosciuto sapere, ricoprivano spesso ruoli di leader culturali, frequentemente chiamati in pubblico a narrare storie e racconti, riconosciuti dalla comunità come virtuosi del genere.
Del secondo narratore non ci sono giunte informazioni che aiutassero nella sua identificazione.
Le ultime tre tracce documentano filastrocche e fiabe recitate da bambini, probabilmente gli studenti delle classi che avevano preso parte allo spettacolo.
000 Scala 1985
Una lunga intervista a Antonio Manzi, impiegato di trentotto anni, abitante di Scala (Sa), il comune di più antica fondazione della Costiera Amalfitana. La testimonianza, raccolta il 5 marzo del 1985, ricostruisce il panorama rituale e festivo locale, soffermandosi in particolare sulle celebrazioni in onore di San Lorenzo e sulla devozione che da sempre lega il popolo scalese al SS. Crocifisso ligneo, conservato nella cripta del duomo.
I festeggiamenti per San Lorenzo, diacono e martire, assumono un'importanza particolare per l'intera popolazione della Costiera Amalfitana, che accorre ogni anno per partecipare alla solenne processione. A conclusione del mese dedicato al santo e della novena, durante la quale viene recitata la Coroncina di San Lorenzo (preghiera devozionale a carattere litanico, tracce 07, 08 e 09), il 10 agosto si commemora il martirio. Nel pomeriggio viene officiata la messa solenne e la statua del santo portata in processione da tutte le confraternite cittadine: i festeggiamenti, sono accompagnati da musiche bandistiche e fuochi pirotecnici, principale attrezione della ricorrenza. La comunità scalese inoltre, il 14 settembre, venera come da molti secoli nella cripta del duomo di San Lorenzo il Crocifisso, un complesso ligneo del XIII sec. di scuola umbro-toscana raffigurante la Deposizione di Gesù dalla Croce, ritenuto fonte di interventi miracolosi. Come ricordato dallo stesso intervistatore, non erano molte le occasioni in cui era portato in processione, ma solo in circostanze particolari, come ad esempio gli Anni Santi, o, come riportato ad alcune cronache del tempo, in occasione dei due conflitti mondiali, nel 1915 e nel 1941. L'evento liturgico della festa della Croce a Scala è dedicato interamente alla preghiera e la sera all'imbrunire la processione attraversa il paese per ricevere la benedizione.
La fruibilità dei documenti è compromessa dalla scarsa qualità dell'audio.