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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Alla base del fenomeno collettivo della devozione popolare nei confronti di “Alberto Glorioso” c’è la storia del giovane Alberto Gonnella e di sua zia Giuseppina Gonnella (ex venditrice di pomodori). Alla tragica morte del nipote, un giovane seminarista di ventuno anni ucciso per un tragico incidente dal camion dello zio, Giuseppina dice di essere posseduta dal suo spirito, reincarnazione del "glorioso Alberto" che diventa ben presto oggetto di un culto popolare che richiama migliaia di persone. Alberto/ Giuseppina è infatti un essere soprannaturale che riesce a vedere dove gli altri non possono, che guarisce dove la medicina si arresta perché trattasi di fatture o di possessione demoniaca. 
Ogni mattina alle otto e trentaquattro, ora della morte del ragazzo, zia Giuseppina diventa Alberto, entra in trance ed al risveglio non è più lei nei modi e nella voce; sull’altare la si vede parlare come un grande oratore, con una carica trascinante, ordina di recitare un’Ave Maria per poi benedire i fazzoletti alzati dai fedeli (quasi sempre panni e fazzoletti dei malati o dei richiedenti grazia non presenti alla cerimonia). Giuseppina/Alberto riceve chi le chiede udienza ed effettua anche esorcismi in una camera separata dalla sala pubblica. 
Le registrazioni curate da Annabella Rossi documentano (in più riprese a partire dal febbraio 1966) intere cerimonie in cui protagonista è la predicazione di Giuseppina/Alberto e, in alcuni casi, momenti di esorcismo nei confronti di singoli devoti che a lei si rivolgono.
Dalle ricerche di Annabella e da sue esplicite indicazioni prese spunto Luigi Di Gianni per i due documentari La nascita di un culto (1968) e La possessione (1972). 

Martedì, 26 Giugno 2018 16:49

000 Annabella Rossi, Sant'Anastasia 1970

Un’unica traccia documentata nel 1970 da Annabella Rossi all’interno del santuario della Madonna dell’Arco (Sant’Anastasia, Napoli) durante il pellegrinaggio annuale del lunedì in albis. Tra le oltre centomila persone che in questa occasione si recano al santuario, i gruppi di pellegrini detti battenti o fujenti, costituiscono una presenza altamente caratterizzante: solitamente riconoscibili per via dell’abito tradizionale (pantaloni e casacca bianca con fascia celeste a tracolla e fascia rossa alla vita) percorrono a piedi il tragitto in segno di penitenza; per ciascuno di loro il pellegrinaggio è, oltretutto, solo il momento culminante di un ciclo rituale che impegna molto più a lungo. Essi sono dotati di una forma capillare di organizzazione su base territoriale che inquadra gli aderenti in un alto numero di associazioni espressamente dedicate al culto della Madonna dell’Arco (in provincia di Napoli se ne contano più di quattrocentosessanta), ognuna delle quali organizza un gruppo di persone, una squadra, che, per un periodo piuttosto lungo a ridosso della Pasqua (a volte anche tutte le domeniche e i giorni di festa da Natale in poi), mette periodicamente in atto questue pubbliche. A Napoli e in alcuni paesi dell’agro aversano, durante la domenica delle Palme, il sabato Santo e la domenica di Pasqua, le associazioni celebrano le cosiddette funzioni: atti devozionali codificati che le squadre compiono, accompagnate da bande musicali, presso le edicole della Madonna che si trovano per strada. Il momento del pellegrinaggio costituisce il culmine del ciclo rituale, al quale i battenti, spesso legati alla Madonna da un voto o da una grazia ricevuta, arrivano dopo una lunga fase preparatoria, allo stesso tempo carichi di fatica e di aspettative. Il lunedì in albis le squadre di battenti arrivano da Napoli e dalla provincia compiendo almeno una parte del percorso a piedi (a volte scalzi) e portando con sé i labari (bandiere) dell’associazione e complesse costruzioni votive, i toselli. Sullo spiazzo davanti al santuario, poi, si possono osservare comportamenti alquanto diversificati: alcuni battenti arrivano in squadra dando luogo a un particolare rito di ingresso che prevede una certa complessità coreutica, mentre altri arrivano individualmente. Elemento di grande interesse è la discreta frequenza di episodi di trance all’interno del santuario: pur non riguardando esclusivamente i battenti, sembrano tra loro particolarmente numerosi. Tali episodi, lungi dal poter essere considerati semplici svenimenti, per le loro caratteristiche (irrigidimento del corpo preceduto da urla e pianto), fanno pensare piuttosto a forme culturali di alterazione degli stati di coscienza. La traccia seguente riproduce il paesaggio sonoro all’interno del santuario: tra rumori e voci difficilmente identificabili emergono spesso singhiozzi e accorate invocazioni all’indirizzo della Madonna dell’Arco, segno evidente del carico di tensione emotiva con cui i devoti affrontano questo particolare momento del pellegrinaggio.

(64)

Martedì, 26 Giugno 2018 16:43

000 Annabella Rossi, Rocca San Felice 1975

L’indagine condotta da Annabella Rossi nel 1975 a Rocca San Felice esplora la figura della dea Mefite e il legame con un tempio pagano e le vicine fonti termali. Le interviste contenute nella raccolta documentano la storia del luogo, alcune leggende appartenenti alla memoria collettiva, la percezione e il ruolo degli scavi archeologici per la comunità, la funzione curativa e la visione magica delle acque termali terapeutiche.

(262-5, 108821-4)

Martedì, 26 Giugno 2018 16:30

000 Annabella Rossi, Pagani 1976

Materiali sonori raccolti nel 1976 da Annabella Rossi in occasione della Festa della Madonna delle Galline che si tiene la domenica in albis a Pagani, nella provincia di Salerno. 
Per le notizie storiche legate al culto della Madonna delle Galline si rimanda alla lettura della descrizione della raccolta Marialba Russo, Pagani 1973.
Le tracce documentano esecuzioni di balli e canti sul tamburo con voci maschili e femminili, in alcuni casi alternate (brano 09), secondo una modalità esecutiva molto frequente nello stile di canto sul tamburo dell'agro nocerino-sarnese; gli strumenti che intervengono sono la tammorra (tamburo a cornice) e le castagnette; la maggior parte dei canti sul tamburo raccolti vede la presenza di sole voci maschili.

(276-76A, 108835)

Martedì, 26 Giugno 2018 16:22

000 Annabella Rossi, Montemarano 1974

Un’indagine sulla tradizione orale e su alcuni fenomeni locali di magia, con una serie di interviste che forniscono soprattutto testimonianze sulla presenza di maghi e guaritori in una vasta area attorno a Montemarano. Dalle testimonianze affiorano anche altri dati etnografici: lamentazioni funebri, alcune leggende e storie appartenenti alla memoria collettiva del luogo. Analiticamente più profonda risulta l’analisi e maggiore la quantità di dati che emergono dalle interviste su spiritismo e stregoneria; sul tema dei lupi mannari e delle janare (streghe) gli informatori sfoggiano ampie competenze ed esperienze dirette di contatto con le figure notturne e i fenomeni magici di possessione e trance.

La raccolta documenta materiali registrati nel 1974 da Annabella Rossi (alcuni con la collaborazione di Enzo Bassano) a Scafati, nella provincia di Salerno, in occasione della Festa della Madonna dei Bagni che si tiene quaranta giorni dopo Pasqua per la Festa dell'Ascensione.
La leggenda narra che da un’antica edicola votiva risalente al XVI sec. fu costruita una cappella agli inizi del ‘600 e in seguito la chiesa di Maria SS. Incoronata dopo un episodio miracoloso nel quale un lebbroso sarebbe guarito dopo essersi lavato nell’acqua del fuosso. Il mercoledì prima dell’Ascensione vi è la processione dei fedeli al cosiddetto fuosso ‘e Vagne, nei pressi dall’attuale santuario, adiacente alla fonte miracolosa dove viene raccolta l’acqua nelle mummarelle (tipiche anfore di creta). Il giorno della festa e della tammurriata è però la domenica dell’Ascensione dove sciure e papagne (fiori di papaveri e camomilla) vengono avvolti dai fedeli in fazzoletti che si  strofinano alle pareti della chiesa per poi essere conservati durante l’inverno come panacea per tutti i mali. Inoltre una bacinella con petali di rose immersi nell’acqua, chiamata 'o vacile cu ‘e rrose, viene posta sull’uscio delle case e dopo essere stata benedetta, secondo la credenza popolare, da un angelo durante la notte dell’Ascensione, viene usata la mattina seguente per lavarsi purificandosi. Nel giorno della festa si assiste alla sfilata dei carrettoni ‘e Vagne, carretti trainati da cavalli addobbati con fronde e fiori di carta crespa e carta velina, e con effigi della Madonna appese.
Le registrazioni documentano diversi canti sul tamburo con tammorra, castagnette, voci maschili e femminili spesso alternate in una modalità esecutiva molto frequente nello stile di canto sul tamburo dell'agro nocerino-sarnese. Il brano 08, invece, contiene un'intervista fatta a due cittadine che parlano di ripetute apparizioni di spiriti avvenute in passato, a mezzogiorno e a mezzanotte per tutta Bagni, mentre il brano 19 presenta l'esecuzione di una fronna a due voci maschili.

(157A)

La raccolta include una lunga intervista, per comodità tematiche qui suddivisa in più parti, a Lucio e Nicola Corelli, membri e testimoni di una tradizione familiare di lunga data, quella di pupanti. La ricerca di Annabella Rossi parte dalla presenza di alcune marionette campane nel Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma per approfondire una tradizione della Campania destinata a scomparire, salvo alcune eccezioni come la Compagnia Corelli. Affondando le radici nel teatro napoletano, i Corelli fanno risalire l’inizio dell’arte di pupanti al capostipite Nicola Corelli, trasferitosi a Torre Annunziata nel 1880 dove avviò due teatri, di cui uno di pupi e marionette. Oltre ad un teatro stabile, Nicola Corelli diede vita a un teatro itinerante. I primi spettacoli risalenti agli inizi del Novecento erano per lo più messi in scena a Castellammare di Stabia che diventerà centro di riferimento e sede per alcuni membri della famiglia. Dal 1918 al 1925 il teatro è stato gestito dai figli di Nicola (Alberto, Amedeo, Arturo e Vincenzo), che si dividevano i compiti e i ruoli in base alle proprie attitudini. Alla morte del padre nel 1926 l’eredità e il patrimonio di pupi, costumi, copioni, scenografie e teatri fu diviso tra i quattro figli, ma solo Amedeo e Vincenzo continueranno l’arte paterna. Sarà Vincenzo Corelli a dare vita anche a tournèe in giro per la Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Nel 1945, all’età di sei anni, fa il suo esordio come parlatore Lucio Corelli, figlio di Vincenzo, e nel 1952, a tredici anni, è già un abile oprante. Sarà l’avvento della televisione a mettere in crisi il teatro dei pupi (e il teatro in generale). A metà anni Cinquanta la compagnia ritorna ad essere itinerante stabilendosi per lunghi periodi in Puglia e Calabria dove maggiore era l’attenzione e l’interesse per l’arte delle opere cavalleresche. I decenni successivi vedranno l’alternarsi di brevi periodi di attività con lunghe pause, dettate da difficoltà economiche di gestione e scarso interesse da parte delle istituzioni verso la salvaguardia dell’arte e della tradizione. Lucio Corelli in questa intervista lamenta in più parti l’assenza di attenzione e la paventata possibilità di chiudere "baracca e burattini". 
I documenti qui presenti includono diverse informazioni sull’arte e la tradizione di pupanti; sono spiegate le differenze tecniche e sceniche tra marionette napoletane, azionate da un’asta di ferro, e  siciliane, con fili ausiliari. I pupi campani, alti circa un metro, hanno la mano destra azionata da un filo predisposto che permette di reggere la spada attraverso l’elsa e di sguainarla e riporla nel fodero in maniera naturale, hanno, quindi, gambe e polsi snodabili che conferiscono un’estrema mobilità. Nelle interviste, inoltre, sono trattati argomenti quali l’arte dei costumi e delle scenografie, l’artigianato e le abilità recitative. Le commedie messe in scena, spiega Lucio Corelli, appartengono fondamentalmente al genere cavalleresco, ma oltre all’interpretazione e improvvisazione sui temi cari alla Chanson de Roland, i repertori si arricchiscono di storie originali create ed ereditate dagli stessi Corelli.

(76, 108740)

Martedì, 26 Giugno 2018 15:59

0001 A. Rossi, Capaccio e Laurino 1976

Interviste e canti documentati a Capaccio (Sa) il 12 agosto (tracce 01-15), a Laurino (SA) il 13 agosto (traccia 16) e di nuovo a Capaccio il 15 agosto in occasione della festa della Madonna del Granato (tracce 17-20). Ogni anno moltissimi fedeli salgono a piedi dalle lontane contrade di Capaccio verso il santuario della Madonna del Granato che svetta solitario sul monte Calpazio. Inizialmente il santuario era dedicato all'Assunta, poi nel XIV secolo venne esposta alla venerazione dei fedeli una nuova statua della Vergine seduta in trono con in mano la melagrana, simbolo dell'abbondanza delle grazie elargite. Questo spiega perché il popolo della zona ha continuato a festeggiarla nello stesso giorno dell'Assunta. Ogni gruppo porta la propria centavotiva: una costruzione in legno leggero, a forma di barca, quadrata o tondeggiante, con candele ornate di nastri e fiori variopinti. La centa viene portata sulla testa da una singola persona oppure su una struttura di legno e trasportata da quattro fedeli. La prima traccia documenta un'intervista ad un viticoltore in pensione che racconta di quando è stato morso dalla taranta nel luglio del 1933 (per altri testimonianze si rimanda alla selezione monografica); altre tracce hanno per protagonista Carmela D'Alessandro, cantora di settantanove anni che esegue ninnenanne, un frammento della Canzone di Zeza, alcuni canti monodici e canzoni napoletane, alternate da brevi interviste; la sorella del parroco di Laurino racconta la storia di Sant'Elena (traccia 16); chiudono la raccolta quattro canti monodici con voci femminili in onore della Madonna del Granato: espressioni spontanee di fedeli che invocano la grazia e l'aiuto della Santissima. 

(299-301, 108858-108860)

 

 

Martedì, 26 Giugno 2018 15:34

00 Annabella Rossi-Campania

Annabella Rossi, nata a Roma il 14 settembre del 1933 da padre chimico e madre violinista, già prima di conseguire la laurea lavora in ricerche in ambito preistorico e protostorico: ordina collezioni silicee conservate nel Museo Preistorico ed Etnografico "Luigi Pigorini" partecipa a ricerche nell’Italia centromeridionale. Si laurea nell’anno accademico 1956-1957 e nel 1958 partecipa ad una ricerca in Val Camonica sulle incisioni preistoriche e protostoriche dei camuni. Di quegli anni è il suo interesse per l’influenza dell’arte preistorica nei confronti dell’arte del Novecento. Nel 1959, inoccasione dell’uscita di un numero monografico della rivista "Nuovi Argomenti", conosce Ernesto De Martino. Attraverso i numerosi colloqui con lo studioso, r attraverso la lettura dei suoi scritti, Annabella Rossi approfondisce la tematica del rapporto tra mondo primitivo e mondo contemporaneo, inquadrandola in un ambito politico-sociale, come problematica dei rapporti tra classi al potere e classi subalterne. Questi nuovi interessi, consolidati attraverso la partecipazione nel 1959 a due ricerche dirette da Ernesto De Martino, in Puglia relativamente al fenomeno del tarantismo, in Basilicata relativamente al "senso del peccato in una comunità meridionale".
Nel 1960 viene assunta nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Nel corso degli anni Sessanta, Annabella Rossi effettua, soprattutto nel meridione italiano, una serie di ricerche corredate di documentazione fotografica e sonora. Le ricerche riguardano soprattutto la religiosità popolare e la cultura materiale. I risultati di questo lavoro di ricerca sono confluiti, soprattutto, nei volumi Le feste dei poveri (1969, Laterza) e Lettere da una tarantata (1970, De Donato). Nel 1964 pubblica, insieme a Simonetta Piccone Stella, il volume La fatica di leggere(Editori Riuniti), risultato di una ricerca sulla diffusione della lettura presso le classi popolari.
In questi stessi anni, partecipa all’attività di diverse associazioni: Centro Italiano di Antropologia CulturaleItalia Nostra, e collabora alle cattedre di Antropologia Culturale, e poi di Sociologia, dell’università di Roma. Contemporaneamente, entra in contatto con un gruppo di psichiatri che fa capo a Franco Basaglia; attraverso questi incontri si avvicina sempre più alla tematica dell’"esclusione" delle classi subalterne e delle patologie psichiatriche diffuse in ambito popolare.
L’incontro con il regista Michele Gandin avviene nei primi anni Sessanta, e si trasforma ben presto in un rapporto affettivo che durerà per tutta la vita, e che sarà caratterizzato dal confronto intellettuale e dal condividere, in molti casi, viaggi ed esperienze di ricerca.
A partire dagli anni Settanta inizia una collaborazione tra il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e la cattedra di antropologia Culturale dell’Università di Salerno: la studiosa terrà l’insegnamento di questa disciplina fino all’insorgere della sua malattia. Durante gli anni di insegnamento Annabella Rossi ha effettuato, insieme a studenti e docenti dell’Università di Salerno, ed al personale del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, numerose ricerche in Campania, particolarmente sui rituali del carnevale, con documentazione sonora, fotografica e filmica. I risultati di questo complesso lavoro sono stati pubblicati in numerosi saggi, e nel volume di R. De Simone-A.Rossi, Carnevale si chiamava Vincenzo (1977, De Luca).
Nel corso di tutta la sua vita professionale, la studiosa ha partecipato a numerosi congressi e seminari, con interventi relativi alla festa, alla ritualità, al carnevale presso le comunità agropastorali dell’Italia Meridionale.
Tra gli ultimi lavori, si annovera la realizzazione, insieme a Gianfranco Mingozzi e Claudio Barbati, di un documentario di quattro ore per RAI Due, un viaggio nei luoghi e nelle tematiche demartiniane, dal titolo Sud e Magia.
Nel 1980 Annabella Rossi è colpita da una grave malattia, che le impedirà di portare a termine i numerosi progetti ancora in corso di realizzazione. Durante la sua malattia partecipa ad alcuni seminari, ed escono ancora sue pubblicazioni. Morirà il 4 marzo del 1984, lasciando, oltre ad una eredità di pensiero, di studi, di scritti, un imponente corpus documentario fotografico, sonoro e filmico, relativo alle culture agropastorali dell’Italia centromeridionale, e conservato presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari.
E. Silvestrini, La biografia, in Vincenzo Esposito, a cura di, Annabella Rossi e la fotografia. Vent'anni di ricerca visiva nel Salento e in Campania, Napoli, Liguori Editore, 2003, pp. 177-78 dove si specifica che "le note biografiche sono desunte, per la parte professionale, da un curriculum preparato dalla stessa Annabella Rossi in occasione di un concorso per l’insegnamento presso l’Università di Salerno, e, per quanto riguarda la vita privata, dai ricordi personali di chi scrive e dalle notizie cortesemente fornite dalla sorella Paola Rossi, che ringraziamo".

Il fondo del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari restituisce ulteriori esiti della prolifica attività di ricerca condotta da Annabella Rossi come testimoniano le indagini monografiche sul tarantismo e sul carnevale, e l'ampia documentazione prodotta nei rilevamenti sul campo con Roberto De Simone.

Martedì, 26 Giugno 2018 15:10

000 Autori anonimi, Sessa Aurunca3 1984

Una raccolta di brani, tutti eseguiti da voci maschili e con l'accompagnamento dell'harmonium, parte del repertorio legato ai riti quaresimali di Sessa Aurunca (Ce); le registrazioni risalgono al 1984, prive di notizie certe sull'autore (negli appunti di Leydi si legge la titolarità di TVC-HIFI STEREO CENTER ROCCO, probabilmente una radio libera o un centro di registrazione dell'epoca).
Di particolare interesse è l'ultima traccia, il Benedictus, o Cantico di Zaccaria, qui interpretato da un coro di confratelli con l'accompagnamento dell'harmonium, eseguito durante i riti quaresimali, durante le processioni penitenziali di tutte le confraternite sessane e la sera del mercoledì santo, durante il rito dell'Ufficio delle Tenebre.
Il Benedictus, con gli altri componimenti musicali che scandiscono i riti quaresimali, rappresenta il cuore pulsante della tradizione sessana. Con l'inizio della Quaresima, sotto la spinta di una condivisa e millenaria partecipazione emotiva e rituale, Sessa Aurunca è pronta a vivere l'antica rappresentazione della Passione di Cristo, durante il periodo festivo, quello della Settimana Santa, più importante per la comunità aurunca.
Il tempo quaresimale è inaugurato dalla funzione religiosa del mercoledì delle Ceneri. A Sessa Aurunca la cerimonia si tiene con grande adesione popolare e con la partecipazione dei membri delle confraternite cittadine in cattedrale, ad eseguire i canti sulle note dell'harmonium. 
I venerdì di marzo sono dedicati alle esposizioni dei Misteri della Passione, i gruppi plastici che comporranno il corteo processionale del venerdì santo. Dopo il rito religioso, "un gruppo di confratelli, invitati singolarmente e a voce, siederà assieme per la prima delle cosiddette Cene conviviali, un rito tradizionale che è particolarmente caro ai sessani, chiamate anche Cene del Miserere, che assumono un po' il ruolo di continuazione laica della funzione religiosa". Il primo di tali convivi si tiene il mercoledì delle ceneri per poi continuare per tutti i venerdì di marzo. L'origine di questi consessi è remota; ce chi li rimanda anche alle agapi greche durante le quali i cristiani rievocavano l'Ultima Cena di Gesù con gli Apostoli: in realtà sono ed erano un momento di aggregazione sociale nel quale, anno dopo anno, gli stessi personaggi si riuniscono per stare insieme e prepararsi comunitariamente alla Pasqua. I cibi consumati sono quelli tradizionali del territorio, come il baccalà, le pizze al pomodoro e con scarola, il locale vino Falerno e molti altri. Terminata la cena s'intona il Miserere (un canto in latino di tradizione orale, eseguito a cappella da tre cantori, sui versi del salmo 50 di Davide), nel cuore della città vecchia fino a tarda notte.
Durante il periodo quaresimale è, inoltre, possibile vedere appesa a balconi e finestre la Pupattola, ovvero una bambola che rappresenta la Quaresima e scaccia il carnevale e che viene presentata con la tipica filastrocca: "Quaresima secca seccaca se magne pacche secche, le riciettidammmenne una me schiaffai nu cinqu’frunni, le riciettirammenne n’ata me schiaffai 'nazucculata". Questa particolare raffigurazione viene descritta dallo studioso locale Nicola Borrelli, come una "stecchita pupattola" nelle cui mani si pone "una conocchia e dall'orlo della lunga gramaglia reso rigido da un cerchio di legno si faran pendere gli indivisibili attributi ricordanti i prescritti cibi di magro: aringhe salate, baccalà, frutta secca, lupini addolciti, ecc.. Al centro del cerchio è sospesa una arancia, il frutto del tempo, in cui sono infisse sette piume, (sei nere e una bianca) simbolo delle sette settimane del periodo quaresimale che una per settimana saran via via tolte [...]".
Nello stesso periodo la tradizione imponeva il compiersi di alcune usanze propiziatorie come per esempio il tagliare i capelli il primo venerdì di marzo per tenere lontani mal di testa e febbre per un intero anno e far rompere, nella prima domenica di Quaresima, una pignatta carica di caramelle ai fanciulli a significare la definitiva chiusura dei divertimenti carnevaleschi.

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