La raccolta include una lunga intervista, per comodità tematiche qui suddivisa in più parti, a Lucio e Nicola Corelli, membri e testimoni di una tradizione familiare di lunga data, quella di pupanti. La ricerca di Annabella Rossi parte dalla presenza di alcune marionette campane nel Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma per approfondire una tradizione della Campania destinata a scomparire, salvo alcune eccezioni come la Compagnia Corelli. Affondando le radici nel teatro napoletano, i Corelli fanno risalire l’inizio dell’arte di pupanti al capostipite Nicola Corelli, trasferitosi a Torre Annunziata nel 1880 dove avviò due teatri, di cui uno di pupi e marionette. Oltre ad un teatro stabile, Nicola Corelli diede vita a un teatro itinerante. I primi spettacoli risalenti agli inizi del Novecento erano per lo più messi in scena a Castellammare di Stabia che diventerà centro di riferimento e sede per alcuni membri della famiglia. Dal 1918 al 1925 il teatro è stato gestito dai figli di Nicola (Alberto, Amedeo, Arturo e Vincenzo), che si dividevano i compiti e i ruoli in base alle proprie attitudini. Alla morte del padre nel 1926 l’eredità e il patrimonio di pupi, costumi, copioni, scenografie e teatri fu diviso tra i quattro figli, ma solo Amedeo e Vincenzo continueranno l’arte paterna. Sarà Vincenzo Corelli a dare vita anche a tournèe in giro per la Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Nel 1945, all’età di sei anni, fa il suo esordio come parlatore Lucio Corelli, figlio di Vincenzo, e nel 1952, a tredici anni, è già un abile oprante. Sarà l’avvento della televisione a mettere in crisi il teatro dei pupi (e il teatro in generale). A metà anni Cinquanta la compagnia ritorna ad essere itinerante stabilendosi per lunghi periodi in Puglia e Calabria dove maggiore era l’attenzione e l’interesse per l’arte delle opere cavalleresche. I decenni successivi vedranno l’alternarsi di brevi periodi di attività con lunghe pause, dettate da difficoltà economiche di gestione e scarso interesse da parte delle istituzioni verso la salvaguardia dell’arte e della tradizione. Lucio Corelli in questa intervista lamenta in più parti l’assenza di attenzione e la paventata possibilità di chiudere "baracca e burattini".
I documenti qui presenti includono diverse informazioni sull’arte e la tradizione di pupanti; sono spiegate le differenze tecniche e sceniche tra marionette napoletane, azionate da un’asta di ferro, e siciliane, con fili ausiliari. I pupi campani, alti circa un metro, hanno la mano destra azionata da un filo predisposto che permette di reggere la spada attraverso l’elsa e di sguainarla e riporla nel fodero in maniera naturale, hanno, quindi, gambe e polsi snodabili che conferiscono un’estrema mobilità. Nelle interviste, inoltre, sono trattati argomenti quali l’arte dei costumi e delle scenografie, l’artigianato e le abilità recitative. Le commedie messe in scena, spiega Lucio Corelli, appartengono fondamentalmente al genere cavalleresco, ma oltre all’interpretazione e improvvisazione sui temi cari alla Chanson de Roland, i repertori si arricchiscono di storie originali create ed ereditate dagli stessi Corelli.
(76, 108740)