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Archivio Sonoro

Mimmo Ferraro

Mimmo Ferraro

Venerdì, 13 Ottobre 2017 23:04

000 Aurora Milillo, Tricarico 1982

La raccolta rientra nell’indagine realizzata da Aurora Milillo a Tricarico nell’aprile del 1980 per cui i documenti possono considerarsi un prolungamento di quelli contenuti nella raccolta Tricarico Garaguso del 1980.
Sono riportate storie di vita degli informatori, recitazioni di storie di santi, testimonianze dirette delle occupazioni delle terre, canti religiosi, canti d’amore, canti di lavoro e tarantelle, inoltre, sono eseguiti alcuni capitoli: testi di contenuto religioso cantati o recitati nel periodo pasquale. 
(749-52, 109010-11)

 
Venerdì, 13 Ottobre 2017 22:55

000 Aurora Milillo, Montescaglioso 1980

L'autobiografia di Marianna di Montescaglioso affiancata da rari interventi del marito Rocco Luigi Dechio. La signora Marianna, attraverso la propria vicenda umana, ripercorre e analizza alcuni passaggi storici e significativi avvenimenti del Novecento. Donna del sud, attivista politica, comunista di fede evangelica, parla della personale dimensione religiosa e politica ripercorrendo quasi mezzo secolo di storia locale e nazionale. A cominciare dall’esperienza dei voti presi in adolescenza con il Terz’Ordine di San Francesco e abbandonati con la successiva conversione al culto evangelico, racconta vicende storiche e personali legate all'occupazione delle terre, le lotte antifasciste, le difficoltà e le condanne subite per l'appartenenza al Partito Comunista, esponendo senza sosta una serie di denunce e appelli contro ingiustizie e soprusi. 
I documenti sono arricchiti dalle esecuzioni di alcuni canti di lotta, canti religiosi, ninna nanne e strofe cantate con la cupa cupa; inoltre la signora Marianna recita e interpreta parabole evangeliche accostandole di continuo, in modo lucido e puntuale, alla realtà politica e sociale lucana e italiana.
(759-62, 109015-16)

Venerdì, 13 Ottobre 2017 22:52

000 Aurora Milillo, Ferrandina 1980

Una raccolta di storie e favole della tradizione, canti d’amore, canti per il carnevale e canti di lavoro, eseguiti durante tre interviste realizzate con Santo Lacava, Francesco La Centa e Maria Pace nell’aprile del 1980 a Ferrandina.
(Raccolta 753-58, 109013-5).

 
Venerdì, 13 Ottobre 2017 22:26

000 Aurora Milillo, Brienza 1980

La raccolta rientra nell’indagine realizzata da Aurora Milillo a Brienza nel 1980, con diversi interlocutori e probabilmente in più sessioni di registrazione. Dalle interviste emergono notizie biografiche degli informatori come pure modalità di apprendimento, occasioni e funzioni dei canti. Acconto a racconti su argomenti disparati, sono presenti anche storie di santi, preghiere e canti religiosi. Numerosi sono i canti d’amore e le canzoni d’ingiuria, alcuni in forma recitata altri nell’esecuzione cantata.
Raccolta 773-76, 109022-3.

La raccolta include una serie di brani musicali e canti eseguiti durante il pellegrinaggio alla Madonna del Pollino nel 1973. A differenza delle registrazioni del 1968, dove Annabella Rossi realizzò un’analisi più generica del rito, concentrando l'attenzione su aspetti più propriamente antropologici e religiosi, attraverso una vasto corpus di interviste e l’utilizzo di lunghe sequenze di riprese audio, in questa indagine del 1973 la studiosa dedica tutto l’interesse all’aspetto centrale del pellegrinaggio: la musica. Sono documentate tarantelle e pastorali, canti polivocali e brani eseguiti da bande, concedendo brevi spazi a commenti e testimonianze dirette. I suoni e i canti dei fedeli emergono dalle registrazioni come fulcro del rito, testimonianza storica e ordine simbolico della festa.
Raccolta 136, 93906.

Venerdì, 13 Ottobre 2017 19:13

000 Annabella Rossi, Madonna del Pollino 1968

Una straordinaria raccolta di registrazioni effettuate da Annabella Rossi al santuario della Madonna del Pollino nel 1968. La sequenza cronologica delle registrazioni permette una ricostruzione dell’intero rituale nei suoi diversi momenti, alternando materiali musicali con testimonianze di fedeli. Per la maggior parte le registrazioni sono riprese audio aperte che documentano il paesaggio sonoro del santuario. La presenza costante, in sottofondo o in primo piano, di voci e suoni sembra dimostrare la centralità della musica che eccede la funzione di accompagnamento e diventa il vero fulcro del rito.
Le interviste restituiscono una notevole complessità antropologica: sono raccontate e commentate, dalle voci dei fedeli, azioni rituali quali sciogliersi i capelli, strisciare con la lingua per terra fino alla statua della Madonna, suonare in chiesa o recare animali vivi davanti al simulacro: un vasto repertorio di pratiche che permettono di risalire a strutture profonde e di identificare commistioni subalterne tra sacro e profano. Le danze e i suoni sfrenati offerti alla Madonna (rinnegati e osteggiati senza esito dalle alte istituzioni cattoliche), contestualizzati in un territorio distinto dalla forte presenza di grotte e fonti d’acqua nei paraggi del santuario, rimandano ad influenze pagane e simbologie arcaiche di possibile origine ellenica ed etrusca. Il viaggio da luoghi più o meno limitrofi per raggiungere il santuario e la salita a piedi sul monte; la nottata passata in ripari di fortuna o davanti al santuario, accompagnata da musiche e balli; il bere e mangiare a viva forza; una straordinaria spinta socializzante e di condivisione totale; i suoni prodotti dai musicisti in maniera continuativa per giorni: tutti questi elementi contribuiscono, con una stimolazione sensoriale prolungata, al raggiungimento di stati di estasi che possono spingere verso la catarsi finale espressa con urla, svenimenti e manifestazioni di giubilo nella processione della Madonna. Annabella Rossi parlava dei pellegrinaggi come di momenti eccezionali e transitori per i pellegrini, teorizzando tre fasi fondamentali: momento magico religioso; momento di svago; momento sociale (Le feste dei poveri, Sellerio, Palermo, 1986, p. 22).
La studiosa ha descritto il pellegrinaggio del 1968 nel testo Le feste dei poveri, probabilmente riascoltando queste registrazioni realizzate sul campo. Narrava che dopo la salita di Mezzana, intere famiglie di fedeli caricate di vettovaglie e tutto l’occorrente per passare la notte, raggiungevano il santuario con un’ora e mezza di cammino a piedi. Giunti in prossimità del santuario, i devoti lasciavano i muli con le vettovaglie e si avvicinano alla chiesa dove compivano tre giri intorno all’edificio intonando il canto della Madonna del Pollino. Poi: "Compiuto il rituale dei giri, i pellegrini, varcano la soglia della chiesa e si dirigono verso la statua della Madonna che è posta su una base fuori dalla balaustra; la chiesa è affollata; molte donne avanzano sulle ginocchia, percuotendosi il petto, alcune, poche, strisciando la lingua per terra. Ogni gruppo cerca di avvicinarsi il più possibile alla statua della Madonna, con la quale inizia un colloquio a volte silenzioso, a volte espresso ad alta voce, esternando commozione e suscitando così la partecipazione dei presenti" (ivi, p. 28). "Durante tutto il giorno è un susseguirsi di devoti che passano davanti alla statua per riverire, celebrare e invocare la Madonna, offrendo somme ingenti di denaro (a volte i risparmi di un intero anno), parlando con l’immagine divina, toccando la veste o strofinando contro di essa panni di familiari sofferenti. Si chiede alla Madonna di guarire da ogni tipo di disturbo e malessere fisico o mentale; i pellegrini si rivolgono all’unica istituzione capace di dare aiuto e curare in quest’area di estrema povertà del meridione d’Italia. Nel pomeriggio si inizia a costruire ripari, capanne per lo più, dove installare materassi e tutto il necessario per trascorrere i due giorni di festa. Si inizia anche ad arrostire la carne che, a seconda del taglio e delle parti dell’animale, denota distinzioni economiche tra i gruppi di persone. Nella nottata ci si ripara, oltre che nelle capanne, anche in chiesa e in casette di pietra limitrofe al santuario realizzate dalle autorità ecclesiastiche; un’azione, questa, riconducibile all’incubatio romana che consisteva nel dormire per terra in santuari dedicati a forze taumaturgiche che nel corso della notte indicavano terapie e guarivano; l’usanza ha un’origine greca ed era praticata per lo più in santuari dedicati ad Esculapio" (ivi, p. 80). 
Proseguendo nella descrizione del pellegrinaggio Annabella Rossi scrive: "All’esterno, nel corso della nottata, molti gruppi ballano tarantelle al suono di cornamuse, tamburelli, e organetti o fisarmoniche. All’alba iniziano le messe e i nuovi pellegrini arrivano e si susseguono fino alle dieci, ora della messa solenne. […] Nel corso della messa solenne, come liturgicamente stabilito, un sacerdote chiamato appositamente, pronuncia un panegirico in onore della Madonna, alquanto generico ma che tuttavia muove a commozione gli astanti quando affronta l’argomento della protezione che esercita la Vergine sugli emigrati" (ivi, p. 30). 
Nella raccolta si trova anche la registrazione della messa solenne, uno dei momenti centrali del rituale, al quale la studiosa dedica ampio spazio nell’analisi epistemologica; inoltre, è documentato l’incanto dei paesi, compiuto tra i comuni contigui per aggiudicarsi il trasporto della statua in processione. Interessante anche la rilevanza data dalla studiosa agli elementi di innovazione e contatto con la cultura egemonica: ad esempio, nei documenti è più volte percepibile la presenza di altoparlanti elettronici che diffondono il canto alla Madonna del Pollino riprodotto da un mangiadischi, registrato e venduto durante la festa dall’esecutore stesso. Tale aspetto sembra aver colpito particolarmente l’antropologa, tanto da apporvi una notevole enfasi nell’analisi testuale de Le feste dei poveri.  
Nell’analisi antropologica di feste e rituali contadini, e in particolar modo nel pellegrinaggio alla Madonna del Pollino, Annabella Rossi riconosceva una chiesa locale lontana dall’opulenza della chiesa egemone, con una "più viva" e radicata cultura cristiana intrecciata a contesti di miseria ed estremo bisogno. Le offerte dei poveri braccianti, degli emigranti, denotano per la studiosa una sorta di riscatto, la possibilità, nel tempo e nello spazio eccezionali del santuario e della festa, di potere per un giorno donare e privarsi di un bene, di offrire a chi ha di più senza turbamenti. Il contesto non è quello dello sfarzo, "delle cupole slanciate, degli affreschi, dei cardinali e dei vescovi vestiti di sete e ricami, ma piccole chiese immerse nei boschi, santi scolpiti in maniera rozza, sacerdoti che parlano il dialetto e indossano tonache malandate”. Molte azioni e formule rituali, come ad esempio l’ingresso di capre in chiesa e l’esecuzione di tarantelle sfrenate davanti alla statua della Madonna, non saranno approvate dal clero "alto", ma rendono il cattolicesimo popolare più vicino alle comunità locali, qualcosa di "estremamente rassicurante", empatico e alla pari con i fedeli (ivi, pp. 86, 146). 
Raccolta 28-29, 108705 e 108706.

L’avvio di un archivio sonoro presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari si deve soprattutto all'attività di Annabella Rossi, orientata in oltre venti anni di ricerca sul campo verso una sistematica ricognizione delle forme festive: apparati rituali e aspetti magico-religiosi e sociali della cultura popolare meridionale, ambiti che costituiscono ancora oggi la peculiarità di un archivio ricco di uno sterminato patrimonio attinente alle culture orali del Mezzogiorno d’Italia. 
Di straordinario valore e interesse i fondi fotografici che, oltre alle preziose collezioni storiche, con circa 140.000 immagini, documentano i temi più significativi della ricerca antropologica in Italia con un’attenzione particolare a feste, devozioni religiose, pratiche rituali, giochi e spettacoli di piazza ma anche problematiche sociali e tecniche di lavoro agricolo e artigianale. Il nucleo più significativo dell’archivio fotografico, databile tra il 1950 e la fine degli anni '70, si deve ancora all’attività di una studiosa dinamica e sensibile come Annabella Rossi, che promosse la costituzione dell’archivio e contribuì ampiamente al suo incremento: le tematiche demartiniane ricorrono frequentemente nelle campagne fotografiche dirette o realizzate dall’antropologa, con il coinvolgimento di nomi di grande prestigio tanto nell’ambito della fotografia quanto in quello della ricerca antropologica come Michele Gandin, Chiara Samugheo, Lello Mazzacane e Marialba Russo. 
Allo stesso modo, riconducibili all’attività di Annabella Rossi ed egualmente segnati da una costante presenza dei temi più emblematici della ricerca di De Martino, sono gli oltre 1.500 titoli dell’Archivio audiovisivo, avviato nel 1960 sotto la direzione di Tullio Tentori. Agli inizi del 1970 Annabella Rossi promuove e cura la realizzazione di una documentazione visiva, utilizzando le prime apparecchiature per la ripresa video. Il rilevamento, effettuato prevalentemente in Calabria e in Campania, porta alla realizzazione di materiali di ricerca incentrati su eventi festivi ed espressioni melo-coreutiche di straordinario interesse. L’incremento del fondo video dell’Archivio si deve anche alle acquisizioni di nuovi titoli nel corso della rassegna biennale MAV-Materiali di Antropologia Visiva, organizzata per le prime edizioni in collaborazione con l’Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica e promossa da Diego Carpitella.

Venerdì, 13 Ottobre 2017 06:37

000 Roberto Leydi, Matera 1981

Una registrazione effettuata "in vitro" allo scopo di documentare i "residui di antichi stornelli materani", nella definizione del ricercatore. La raccolta è caratterizzata dalla ricorrenza del cupa cupa, nelle prime tracce predomina l'alternanza tra voce solista e coro, con l'esecuzione di diverse matinate materane, canti di questua eseguiti in occasione del carnevale, a volte anche sceneggiati dai membri del gruppo questuante; il resto sono canti eseguiti dal solo Giuseppe Persia, detto Peppino, che si accompagna alla chitarra o al tamburo a frizione. 
Figura importante per l'etnomusicologia italiana, fu uno degli informatori principali durante le campagne di ricerca in Basilicata, come testimonia la sua presenza nelle registrazioni dell'ottobre 1952 durante la spedizione lucana condotta da Ernesto De Martino e Diego Carpitella e promossa dall'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Fu anche attore per Francesco Rosi in Cristo si è fermato a Eboli (1979), tratto dal romanzo di Carlo Levi (Persia interpreta la parte di "ufficiale esattoriale"). Punto di riferimento per il repertorio a cupa-cupa, come per il repertorio urbano, è tutt'oggi riconosciuto tra i protagonisti indiscussi della vita musicale popolare materana degli ultimi cinquant'anni, essendo stato attivo fino alla sua morte avvenuta pochi anni fa.
Raccolta Basilicata 10 18BD242.

Venerdì, 13 Ottobre 2017 06:29

000 Roberto Leydi, Accettura 1973

Roberto Leydi documenta la festa arborea di Accettura: in sottofondo l'ambiente sonoro, nella prima parte della raccolta i canti e le sonate, tipici della tradizione locale, alla zampogna a chiave o all'organetto; nella seconda parte, invece, predomina la Bassa Musica della città di Turi: era uso, venendo meno la disponibilità economica di ingaggiare una banda musicale, di chiamare un gruppo strumentale ridotto, comunemente noto come Bassa Musica, per accompagnare la festa. 
La Bassa Musica, perlopiù di origine pugliese, esegue il repertorio da banda ma consta esclusivamente di una sezione ritmico-percussiva (tamburi, grancassa e piatti) e dell'ottavino a fori (non a chiavette) in sostituzione di flauto, clarinetto e tromba. La componente ritmico-percussiva risulta preponderante. Tra i brani eseguiti dalla Bassa Musica, spiccano quelli di musica leggera adattati, accanto ad altri tipici della cultura comunista e socialista.
Il Maggio di Accettura, celebrato in occasione della Pentecoste, risulta derivare da un culto agrario di origini pagane, secondo alcune ipotesi di epoca longobarda, sopravvissuto nell'adesione alla festa cristiana di San Giuliano, patrono del paese. Tra le rappresentazioni di culti arborei tutt'oggi esistenti nel sud Italia, costituisce l'esempio più fedele all'antica tradizione. Elementi fondamentali sono due alberi di tipo e provenienza differente. Il Maggio, cerro di alto fusto tagliato nel bosco di Montepiano il giorno dell'Ascensione, dopo essere stato privato dei rami e scortecciato, nella domenica di Pentecoste viene trasportato in paese con l'ausilio di oltre cinquanta coppie di buoi. La Cima, invece, è un agrifoglio tagliato nel bosco di Gallipoli-Cognato che viene trasportato a spalle dai ragazzi per circa 15 chilometri. Entrambi i trasporti durano l'intera giornata e sono accompagnati con suoni e canti di tradizione, tra grida di incitamento, esibizioni di forza fisica e frequenti soste per mangiare. Il Maggio e la Cima, rispettivamente simbolo del principio maschile e femminile, sono unite due giorni dopo, il martedì di Pentecoste, a simboleggiare il matrimonio degli alberi, rito propiziatorio di fertilità agricola. Nella piazza principale del paese, il Maggio è innalzato a forza di braccia dai maggiaioli. Lasciato momentaneamente a circa 75°, il suo innalzamento viene completato quando la statua di San Giuliano giunge in piazza durante il percorso processionale. A conclusione seguono altri festeggiamenti e prove di abilità come il tiro al bersaglio sulle targhette appese ai rami e infine vi è la scalata del Maggio, a mo' di albero della cuccagna ad opera dei più giovani e abili. Il Maggio, simbolo dell'identità culturale di Accettura tanto da richiamare in paese gli emigranti sparsi per l'Italia e per il mondo, è stato oggetto di numerosi studi scientifici e divulgativi.
Rccolta Basilicata 8 18BD245.

Venerdì, 13 Ottobre 2017 06:17

000 Spoleto e dintorni

Registrazioni raccolte da Valentino Paparelli tra il 1973 e il 1980 nelle località di Spoleto, Cerreto, Scheggino, Norcia, Cascia, Avendita, Sellano e Savelli, tra le sorgenti e l'area ternana della valle del fiume Nera, che documentano forme espressive musicali tradizionali, diffuse anche in altri territori della regione presi in esame nel corso dell'indagine: la canzone narrativa, sia nella tradizione epico-lirica sia in quella da foglio volante, la poesia in ottava rima sia nelle forme memorizzate e narrative, sia nelle improvvisazioni, le forme di danza eseguite con strumenti a mantice, il monostrofismo imperfetto del canto di lavoro - soprattutto quello per la mietitura - e dello stornello, nelle forme accompagnate allo strumento e in quelle unicamente vocali.
La specificità dei materiali raccolti, in comune con quanto rinvenuto a Perugia e dintorni, sta nei canti e nelle forme rituali legati alle questue, che si articolano nel ciclo calendariale tra l'Epifania e il mese di maggio, documentati sia come repertorio memorizzato dagli informatori in contesti domestici e informali, sia in funzione, durante l'esecuzione. In particolare viene proposto un ampio gruppo di registrazioni sulla pasquella e alcuni esempi di canti legati al Maggio lirico.
L'autore, riferendosi alla pasquella, sottolinea come "questa forma rituale di questua sia ancora la più diffusa nell'Italia centrale tra quelle arrivate fino a noi e al contempo quella che meglio testimonia la presenza sincretica di elementi pagani e cristiani". La pasquella (o pasquarella, pasquetta, vecchiarella eccetera) è un canto propiziatorio che nelle sue forme più diffuse si esegue la notte tra il 5 e il 6 gennaio, in un clima festoso e allegro, come testimonia la conclusione del canto che si realizza in un saltarello e in una serie di stornelli che richiamano la ciclicità del rito e l'augurio per il suo rinnovarsi l'anno venturo. 
Di estremo interesse una variante più rara (qui presente in un'unica registrazione e meglio documentata nella raccolta Valnerina ternana) destinata alla salvezza delle anime del purgatorio: le anime sante in questa versione divengono allo stesso tempo soggetto e oggetto della struttura del canto che assume dunque una dimensione più riflessiva, quasi mistica, che lo rende più difficilmente inscrivibile nel complesso dei riti calendariali, aprendo un dibattito demologico su questo aspetto ancora non completamente univoco.
Un ultimo accenno merita la rappresentazione del Maggio (per una descrizione esaustiva, che restituisca la complessità della riflessione critica intorno a questo rito di entrambe le rappresentazioni si rimanda al volume V. Paparelli, L'Umbria cantata. Musica e rito in una cultura popolare, Squilibri Editore, 2009, pp. 53-59, e all'ampia bibliografia sull'argomento].
Nella seguente raccolta, seppure in assenza di una registrazione in funzione, oltre ad alcune esecuzioni memorizzate del canto di questua, compaiono registrazioni recenti, tra le ultime raccolte da Valentino Paparelli, e qui presentate a testimonianza dell'importante impegno culturale di patrimonializzazione e riattualizzazione delle forme tradizionali di rappresentazione popolare ad opera delle comunità locali e delle nuove generazioni.

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