
Mimmo Ferraro
000 Fondo Teche Rai
Uno straordinario giacimento culturale che, attraverso cinquant'anni di programmazione radiofonica e televisiva, racconta l’evolversi del gusto e della cultura nazionale con alcuni documenti di insostituibile valore storico e documentario per quanto attiene alle musiche di tradizione: questa l’ineguagliabile ricchezza delle "teche" della Rai, seconda solo alla corrispondente struttura della BBC.
000 Nel paese dei cupa cupa
Di seguito i brani del cd allegato al volume che, rimandando nel titolo a un’espressione utilizzata da Diego Carpitella per indicare la Basilicata, voleva offrire, a cinquant’anni di distanza dalle spedizioni demartiniane, una più estesa ed aggiornata ricostruzione della musica tradizionale della regione, esito di una pluriennale ricerca sul campo. Evitando facili esotismi e distaccandosi da raffigurazioni stereoripate di un meridione in costante ritardo sui processi di modernizzazione e dunque più autentico e incontaminato, Nicola Saldaferri e Stefano Vaja sono partiti dall’attualità di un contesto sociale disgregato e frammentario dove la presenza contadina e pastorale è ormai sempre più marginale.
Lamenti funebri, giochi di mietitura, canti di lavoro e ninne nanne risultano pressoché scomparsi dalla prassi ordinaria così come è scomparsa la Lucania consegnata nelle foto di Pinna, Zavattini e Gilardi. Questi repertori sopravvivono nei ricordi delle persone più anziane per cui figure eccezionali, depositarie della memoria collettiva, possono ancora eseguirli su richiesta, animando non senza ironia "sceneggiate" utili ad evocare le cose di una volta. Si tratta però di sopravvivenze di un passato che non fa più parte delle manifestazioni sonore condivise dalla popolazione. In Lucania, come altrove, gli ambienti domestici e lavorativi sono saturi di suoni di altro genere, per lo più di provenienza radiotelevisiva: le ninne nanne sono state sostituite da musica per bambini riprodotte industrialmente, le attività lavorative non sono più accompagnati dai canti alla pisatura e le feste da ballo e i pranzi di nozze sono allietate da musiche da discoteca.
In un quadro musicale estremamente composito e fortemente condizionato dalla cosiddetta globalizzazione, si registrano però processi di rivitalizzazione e riappropriazione di alcuni fenomeni musicali agitati spesso, non senza contraddizioni, come veicoli di affermazione identitari dalle comunità locali. I repertori di strumenti come il tamburello, la zampogna e l’organetto, meno legati a specifici momenti occasionali o rituali, sono oggetto di una forte attenzione da parte di giovani esecutori che, formatisi talvolta in conservatorio, rimettono in circolazione strumenti e musiche dei "nonni" trascurati dai "padri", mentre si registra anche la ripresa di una tradizione artigianale che si riteneva prossima a scomparire. Più che da appartenenze territoriali, etniche o sociali, la produzione musicale lucana è oggi vissuta tramite processi che si attuano in un sistema di pratiche che coinvolgono la memoria e gli affetti. I momenti più significativi risultano quelli che registrano grandi aggregazioni collettive, come le feste calendariali e religiose, in cui si creano comunità temporanee dove persone di diversa provenienza trovano la ragione del loro stare insieme proprio nella condivisione dell’esperienza musicale e dove avviene la trasmissione di repertori musicali dai vecchi musicisti ai giovani esecutori.
000 Campomaggiore
Tra il 2002 e il 2003, in occasione della ricerca confluita poi nel volume Nel paese dei cupa cupa, sono state effettuate alcune sedute di registrazione presso lo studio Little Italy di Campomaggiore (Pz), con la presenza di musicisti tradizionali lucani. Va segnalata soprattutto la seduta di registrazione che ha avuto luogo il 29 aprile del 2003, la presenza di Agostino Carlomagno e dei fratelli Antonio e Vincenzo Forastiero, che hanno eseguito vari brani provenienti dal loro ampio repertorio con strumenti di varie taglie. L’evento, preparato con la collaborazione di Maria Carmela Stella, ha visto la presenza di Rossella Schillaci e Elisa Piria che hanno documentato l’evento dal punto di vista audiovisivo; l’episodio della registrazione di Campomaggiore è infatti poi presente nel documentario Pratica e maestria, di Rossella Schillaci. Da questa seduta di registrazione sono stati poi selezionati due brani inclusi del cd allegato al libro Nel paese dei cupa cupa: la traccia 16 (La castellana, eseguita con voce, zampogna di 6 palmi e ciaramella dai fratelli Forastiero) e la traccia 17 (ciaramella Agostino Carlomagno, coppia di ciaramelle Antonio Forastiero, zampogna di 6 palmi Vincenzo Forastiero). Di tutta la seduta di registrazione, che comprendeva oltre una trentina di brani, sono state selezionate, oltre ai due brani inclusi nel cd conclusivo, anche le seguenti tracce, in cui un ruolo importante è ricoperto dai cosiddetti ballabili (polca e mazurka) ad illustrare la varietà del repertorio e la straordinaria abilità dei tre musicisti, autentici protagonisti della tradizione musicale dell’Italia meridionale. Gli ultimi tre brani sono per zampogna sola, eseguiti da Antonio Forastiero, che mostra in questo caso di possedere una padronanza assoluta dei repertori dello strumento con la sua esecuzione soprattutto della caratteristica Sonata di Spinoso, di una mazurka e della sonata Paragualana. Tutti gli strumenti utilizzati sono costruiti da Antonio Forastiero.
00 Fondo Scaldaferri Vaja
Dal 2002 al 2005, Nicola Scaldaferri e Stefano Vaja realizzano un’imponente rilevazione sonora e fotografica che, confluita solo in limitatissima parte nel materiale di corredo al volume Nel paese dei cupa cupa, intendeva documentare lo stato delle musiche di tradizione in regione a cinquant’anni dalla spedizione di De Martino e Carpitella, attraverso indagini capillarmente estese a tutto il territorio regionale: circa 50 ore di registrazioni audio e oltre cinquemila fotografie alle quali si aggiungono oltre 120 ore di riprese audiovisive, realizzate da Elisa Piria e Rossella Schillaci oltre che dallo stesso Scaldaferri.
Grazie alla vasta rete di contatti realizzata in anni di assiduo lavoro sul terreno, si sono preliminarmente individuati luoghi, occasioni, momenti rituali e protagonisti della realtà musicale lucana verso i quali orientare una ricerca che avrebbe confermato quanto era già emerso nel Laboratorio di Etnomusicologia,, vale a dire il carattere ormai anacronistico dello schema fondato sul ciclo della vita che, fondamentale nelle ricerche di De Martino e Carpitella, è stato efficacemente sintetizzato nella formula "dalla culla alla bara", con i due estremi musicali della ninna nanna e del lamento funebre. La ricerca è stata pertanto impostata sullo schema ideale del ciclo dell’anno, legato non più alle attività lavorative di un ormai scomparso mondo campestre, ma al succedersi di eventi festivi e rituali che, dal carnevale alle feste religiose ed arboree, si configuravano come i luoghi più importanti per la forte vitalità e per le forme, talvolta assai massicce, di partecipazione musicale. Dal percorso principale si sono poi distaccate tematiche trasversali che hanno portato l’attenzione anche su altri aspetti, altrettanto importanti, come in particolare il ruolo degli "specialisti", in primo luogo suonatori particolarmente rappresentativi e costruttori di strumenti che, talvolta anche molto giovani, consentivano di precisare meglio la nuova conformazione assunta dalle pratiche musicali nella regione.
La ricerca ha interessato gran parte dei comuni della Basilicata, scelti in ragione della loro rappresentatività territoriale e della loro obiettiva rilevanza: Acerenza, Accettura, Aliano, Anzi, Avigliano, Barile, Brienza, Cersosimo, Corleto Perticara, Ferrandina, Gorgoglione, Grassano, Grottole, Irsina, Matera, Moliterno, Montescaglioso, Pisticci, Rapone, Ripacandida, Rotonda, Ruoti, S. Arcangelo, S. Chirico Nuovo, S. Costantino Albanese, S. Fele, S. Giorgio Lucano, S. Mauro Forte, S. Paolo Albanese, S. Severino Lucano, Sasso di Castalda, Stigliano, Terranova di Pollino, Tolve, Tricarico e Viaggiano.
Un’attenzione particolare è stata rivolta a momenti significativi quali il Carnevale e la festa di S. Antonio Abate di Accettura, S. Mauro Forte e Tricarico; i Riti arborei di Accettura, Gorgoglione e Rotonda; la Settimana Santa di Barile, Ferrandina, Pisticci, S. Arcangelo, S. Chirico Nuovo e S. Costantino Albanese; le processioni religiose di Accettura (S. Giuliano), Cersosimo (S. Vincenzo Ferreri), Gorgoglione (Madonna del Pergamo e S. Antonio di Padova), Matera (Madonna della Bruna), Pisticci (S. Rocco), S. Fele (Madonna di Pierno), S. Paolo Albanese (S. Francesco), S. Severino (Madonna del Pollino), Tolve (S. Rocco) e Viaggiano (Madonna del Sacro Monte), senza trascurare altre tipiche espressioni quali le matinate di Matera, le serenata di nozze a S. Costantino Albanese, il ballo della ‘Uglia a Anzi e il ballo delle cente a Viaggiano.
Aspetti più specifici della ricerca hanno riguardato il censimento dei principali laboratori di costruzione di strumenti tradizionali, tra i quali Giuseppe Scelzo a Brienza, Forastiero e Rossino a Lauria, Carlomagno e Niglio a Matera, Valvano a S. Costantino Albanese, Giammetta a S. Mauro Forte, Salamone a Terranova di Pollino e Minervino a Tricarico. Un’attenzione specifica è stata rivolta a figure di cantori e suonatori riconosciute come assai significative anche da parte delle nuove generazioni, quali Peppino Verzica e Antonio Donnazita di Aliano, i fratelli Antonio e Vincenzo Forastiero dell’area del Sirino, Donato Beneventano a Sasso di Castalda, Anna Arcieri di Stigliano e Paolina Luisi di Tricarico.
000 1959 colore
In Morte e pianto rituale nel mondo antico di Ernesto De Martino, edito da Einaudi nel 1956, nell'Atlante figurato del pianto comparivano tre foto soltanto delle 150 realizzate due anni prima da Pinna: ciò nonostante, la mostra fotografica con 35 immagini di Pinna, realizzata a sostegno della promozione del libro, ebbe uno straordinario successo di pubblico e di critica e, dopo la prima, allestita presso la Galleria Al ferro di cavallo di Roma, toccò Viareggio, in concomitanza con l’assegnazione a De Martino dell'omonimo premio, Torino, Bologna, Milano, Palermo, Napoli e Bari.
Analogo successo riscuote la mostra delle foto di Pinna a Firenze, nel corso del Festival dei Popoli, organizzata a latere della promozione di Sud e magia, edito da Feltrinelli nel 1959, che pure conteneva poche immagini del sardo.
Fu però la pubblicazione de La terra del rimorso a segnare una fratura irreparabile tra Pinna e De Martino dato che le (poche) fotografie dell'uno furono pubblicate nel libro dell'altro senza che ne venisse citato l'autore: ne seguì una causa giudiziaria intentata dal fotografo contro l'etnologo napoletano e il "Saggiatore", protrattasi fino almeno al 1963.
000 1959
"Il 1959 è certamente l'anno più intenso e felicemente produttivo nei rapporti professionali tra Pinna e De Martino. S’inizia con la pubblicazione di Sud e magia, il secondo capitolo della trilogia meridionale di De Martino, dove compaiono, oltre a quelle di Ando Gilardi e di André Martin, anche undici fotografie di Pinna. […] Sono le prime circostanze in cui Pinna impiega il formato in 35 mm, per riprendere eventi corali d'interesse etnografico, utilizzando il medio formato solo per le immagini a colori. Il passaggio al formato ridotto, praticissimo e assai adatto ad assecondare la mobilità di Pinna, consente al fotografo un'ulteriore evoluzione nell'uso della sequenza, sempre più sistematica, duttile e cosciente. […] Riprendendo un originale e arcaico rito propiziatorio – il gioco della falce - che ancora era solito precedere il momento della mietitura, Pinna dimostra un'abilità ormai specialistica nella proprietà di rendere le molteplici dinamiche del rito, i molteplici livelli di coinvolgimento che esso determina sulla coralità come sull'individualità degli astanti, la diversa scansione temporale su cui si muove nel corso del suo svolgimento. […] Un lavoro fotografico di eccellente compiutezza e di grande qualità iconografica, limpida esibizione di un metodo di rappresentazione ormai pronto per prove ancora più complesse e impegnative. La prova sarebbe giunta di lì a poco, per Pinna come per De Martino, sulle orme del tarantismo salentino" (Da G. Pinna, Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna 1952-1959, Trieste, 2002, p. 23).
000 1956
"Il ritorno di Pinna in Lucania, in una spedizione che fra il 31 luglio e il 17 agosto del 1956 toccò numerose località prevalentemente nella provincia di Potenza […], corrisponde anche a quello della fotografia nelle indagini di De Martino, dopo quattro anni di pausa e ben sei trasferte in cui si era preferito farne a meno. […] La posizione di Pinna nella missione del 1956 […] è quella di un 'esterno' […] un fotogiornalista free lance che andava in Lucania per passione, per il piacere di replicare l'esperienza con De Martino che tanto aveva pesato nella sua maturazione umana e professionale […] ma soprattutto per 'investire' nella formazione di un repertorio fotografico che gli avrebbe potuto garantire introiti […]. Se in Pinna vi fu, come vi fu, un netto raffinamento nelle tecniche e nelle modalità di rappresentazione delle cose d'interesse antropologico, ciò fu dovuto certamente alle sollecitazioni provocate dai nuovi indirizzi che l'indagine demartiniana aveva assunto rispetto al 1952, ma soprattutto dalla volontà disinteressata (ossia non retribuita) e non vincolata del fotografo di mettere a disposizione dello studioso le facoltà di un mestiere fattosi estremamente sofisticato negli ultimi tempi […] a partire dalla sua manifestazione più eclatante: lo straordinario uso della sequenza che il sardo esibisce durante il funerale di Carolina Latronico a Castelsaraceno, pochissimi giorni dopo l'inizio della missione (3 agosto), prima situazione in cui un lamento funebre non simulato veniva ripreso visivamente. A Castelsaraceno, Pinna non fece altro che saggiare […] l'efficienza del documentarismo analitico già praticato qualche mese prima nelle borgate romane. […] La sequenza svolge un ruolo di primo piano anche nella più ampia fra le serie fotografiche, quella dedicata ai festeggiamenti in onore della Madonna di Pierno presso il Santuario omonimo di San Fele. […] Al di fuori di Castelsaraceno e di S. Fele, la serie più emblematica […] riguarda probabilmente S. Cataldo, dal fotografo definito uno dei paesi più arretrati del Sud d'Italia […]. Ancora una volta, le istanze neorealistiche […] rimangono componenti essenziali dell'approccio di Pinna alla Lucania, nella convinzione che a distanza di tempo la fotografia potesse testimoniare ancora di certa purezza, di certe condizioni sociali e antropologiche che l'impatto con la modernità dell'epoca avrebbe frantumato". (Da G. Pinna, Con gli occhi della memoria. La Lucania nelle fotografie di Franco Pinna 1952-1959, Trieste, 2002, pp. 15-16)
000 1952 Provini
Nella squadra che in ottobre compie nel materano la prima missione interdisciplinare per le ricerche antropologiche, Pinna realizza 150 fotografie con un apparecchio Rolleiflex, il più usato da lui negli anni Cinquanta, e un documentario cinematografico, Dalla culla alla bara, del quale si è perduta ogni traccia. Di seguito altri scatti conservati nell'Archivio Franco Pinna.
000 Vincenzo Bassano, Nicola Martelli, Montescaglioso 20
La raccolta - insieme alle altre dedicate alla Settimana Santa di Montescaglioso - documenta i rituali legati al al Venerdì Santo e al Sabato Santo.
La sera del Venerdì Santo si assiste alla processione dei Misteri che probabilmente affonda le proprie radici nella dominazione spagnola. E’ un rito che ricorre in buona parte dei paesi e delle città del sud Italia, analogamente a quanto succede, con più sontuosità e dramma, nella Spagna meridionale. Dalle chiese escono le statue dei Misteri corrispondenti grossomodo alle stazioni della Via Crucis. Al rito partecipano le quattro confraternite di Montescaglioso, con una o più statue. La prima ad essere portata fuori è quella della Madonna Addolorata. La statua procede verso le altre chiese dove vengono prelevate varie raffigurazioni del Cristo: legato alla colonna; soccorso dalla Veronica; incoronato Re con la canna tra le mani; crocifisso; disteso morto; tra le braccia della Pietà. Chiude l’Addolorata seguita dalla celebre banda di Montescaglioso che intona solo marce funebri. La processione attraversa a passo lentissimo e dondolante le strade della città fermandosi in tutte le chiese. Nella Chiesa Madre il coro intona le Cantilene, un uso antichissimo ripreso da alcuni anni grazie ad un’attenta opera di recupero avviata dall’Arcipretura dei SS. Pietro e Paolo. Sono canti in cui la Madre piange la perdita del Figlio. Si ipotizza che gli spartiti o le composizioni provengano dal Convento delle Benedettine ove le monache nella più stretta clausura potrebbero aver elaborato nel corso dei secoli un complesso rituale devozionale. Dal Giovedì Santo tutte le campane tacciono e durante la processione del Venerdì risuona solo il sordo taccheggiare della trozz'l, uno strumento in legno sbattuto dal priore della confraternita a cadenzare il passo del lungo corteo. Le confraternite vestono l’abito tradizionale e solo in questa occasione i confratelli coprono il volto con il cappuccio a punta mentre i portatori della croce e delle lampade cingono anche una corona di spine. SonoL’mamun che intimoriscono i più piccoli e nel corso dell’anno saranno evocati dalle mamme insieme al Cucibocca per indurre all’obbedienza i bambini. La processione rientra nelle chiese a notte fonda.
Il sabato, a mezzogiorno, veniva rappresentata nelle chiese la caduta dei Giudei che accompagnava la resurrezione di Cristo. Ad un certo punto della messa i presenti facevano tanto rumore imitando un terremoto e da dietro una tenda appariva la statua del Cristo risorto con le guardie giudaiche cadute per terra. Le campane che fino ad allora erano state in silenzio cominciavano a suonare a festa e in chiesa i presenti facevano un gran rumore battendo con le mani sui banchi di legno. Le donne che non avevano potuto partecipare alla messa, al suono delle campane, prendevano la scopa o un bastone e battevano forte vicino al muro e alle pareti per scacciare il maligno dalla propria casa. Si passava così a preparare il pranzo della Pasqua che prevedeva, oltre ai tanti dolci, la carne di capretto, le frittate con asparagi e salame, la pasta con la ricotta di capra, finocchi teneri, lattughe e castagne secche (testi di Orazia Cifarelli).
In evidenza nella raccolta le musiche bandistiche - le marce funebri per il Cristo Morto - che seguono la processione dei Misteri. Nei documenti la registrazione in forma di reportage (a microfono sempre acceso) delle funzioni liturgiche, i canti polivocali di tradizione durante i Sepolcri. Infine l’esplosione di gioia, con le musiche e lo scampanio dei campanili per la Resurrezione, il Sabato.
(489-91, 108906)
000 Vincenzo Bassano, Albano di Lucania 1977
A vent’anni dalle ricerche sulla magia lucana di Ernesto De Martino, sono intervistate alcune donne, giovani e anziane, di uno dei luoghi chiave negli studi dell'etnologo napoletano.
Le intervistate affermano che De Martino abbia arricchito la ricerca con parti fantasiose, frutto della propria immaginazione, forse per avere più successo, ma che, in ogni caso, la mentalità in paese sarebbe ormai cambiata grazie al progresso. I commenti si alternano, tra scetticismo e credenza, attorno all’esistenza e ai poteri delle maciare, in alcuni casi corroborati da esperienze personali. Utili da rivedere, in relazione a questa lunga intervista, le quattro puntate di Sud e magia, la trasmissione curata da Annabella Rossi, Gianfranco Mingozzi e Claudio Barbati, andata in onda il 31 marzo, il 7, 14 e 21 aprile del 1978. Nella prima puntata si riprende lo stesso tema con alcuni abitanti di Albano che confermano quanto si dice in queste interviste attorno alle "esagerazioni" di De Martino.
(511-13 108914)