Questo sito utilizza cookies, anche di terze parti. Per proseguire devi accettare la nostra policy cliccando su “Sì, accetto”.

Archivio Sonoro

03 La Grande Imperatrice (intervista a Giuseppe De Martis)

  • Genere: Audio
  • Audio:

  • Descrizione:

    Intervista a Giuseppe De Martis, contadino di Avellino di settantasei anni, che nei rituali carnevaleschi irpini interpretava la Grande Imperatrice, vestita di paglia intrecciata con conchiglie, che aveva notevolmente impressionato i ricercatori inducendoli a cercare l'uomo per intervistarlo e riprenderlo. La Rossi chiede all'interlocutore dove abbia imparato a fare i lavori con la paglia, De Nardis risponde che "fa tutto di testa sua". De Simone invece chiede se prima di lui altri facevano il ballo della Grande Imperatrice, e gli viene detto che in passato tutti ballavano mazurche, quadriglie, valzer, ecc., ballabili suonati con zampogna e ciaramella, mentre il personaggio della Grande Imperatrice lo ha costruito proprio De Nardis fabbricando un vestito fatto con paglia intrecciata preparato in estate e usato solo in occasione del carnevale. L'intervistato racconta poi la trama di un'opera che avevano inscenato, di cui si parlava ancora, intitolata Fior d’Oliva, in cui De Nardis interpretava la Grande Imperatrice ed era seguito da dodici cavalieri. La vicenda rappresentata era questa: c’erano due cugini, Ponte Marco e Ponte Argenio (oppure Conte Marco e Conte Augenio), quest'ultimo s'era innamorato, ricambiato, di Fior d’Oliva, figlia dell’imperatore, e si erano promessi l’un l’altra fin da adolescenti. Molti anni dopo però ad innamorarsi della ragazza è Ponte Marco, che non sa nulla della promessa d’amore tra il cugino Ponte Argenio e Fior d’Oliva, e chiede all’imperatore (chiamato forse Serimol, De Martis non ricorda bene) la mano della figlia, portando in dote trentasei castelli. L’imperatore accetta la proposta e chiama la figlia dandole la bella novella: non dovrà più vestire da principessa ma da regina. La figlia però confessa al padre di essersi promessa a Ponte Argenio, al che l’imperatore va su tutte le furie e condanna la figlia alla morte. Fior d’Oliva prima di essere giustiziata chiede al padre una grazia, quella di dare l’ultimo saluto a sua nonna, la Grande Imperatrice. La nonna cerca di salvare dalla morte la nipote chiedendo all’imperatore suo figlio di risparmiarla, ma questi si rifiuta perché la legge deve essere uguale per tutti, altrimenti il popolo si sarebbe ribellato e lo avrebbe sollevato dal trono. La vecchia imperatrice urla al figlio di avere un cuore barbaro come quello di Nerone che aveva ucciso la propria madre, manda poi a chiamare Ponte Argenio ma questi rifiuta di mettersi contro il cugino Ponte Marco. Il racconto diviene a questo punto poco chiaro, Fior d’Oliva muore, probabilmente suicida per amore, viene chiamato un dottore porta la diagnosi di una "morte d’amore" e che la giovane può resuscitare soltanto se le viene cantata una canzone da chi la ama. Viene dunque chiamato Ponte Argenio, De Nardis intona la canzone cantata per resuscitare Fior d’Oliva (la prima parte del testo recita: ’O miedeco…[?] m’ha dato ‘a cura/ E bella nun te mettere paura/ Che qua ‘nce ‘sta ninno tuio che t’ama te). La giovane ritorna in vita e accetta di sposarsi con Ponte Marco ma chiede a suo padre di restare per tre giorni zita (cioè di non avere rapporti intimi col marito, restando dunque illibata) pur ricevendo i trentasei castelli. Ponte Marco acconsente e vanno quindi dal notaio Carbone (?) per ratificare l'accordo. Si celebra dunque il matrimonio in nome degli dei (la vicenda è ambientata in epoca pre-cristiana). Dopo il matrimonio però Fior d’Oliva prende sette vestiti e scappa da Ponte Argenio che non la vuole più perché oramai sposata con Ponte Marco. Quest'ultimo, quando si rende conto che la moglie (identificata sarcasticamente con una mula) è scappata, corre al castello del cugino Ponte Argenio per cercarla. Qui infatti la trova e l’opera si conclude con Fior d’Oliva che dice a Ponte Marco: "Te vaie tuccanno ‘o cuorno e guarda attuorno/ E vai cantanno pe tutto ‘stu cuntuorno” (Ti vai toccando il corno e guardi intorno/ E vai cantando per tutto il vicinato), alludendo in modo canzonatorio al tradimento subito. Finisce qui il racconto dell’opera di De Martis. La vicenda narrata, a partire dai nomi dei protagonisti, rimanda alla canzone epico-lirica ampiamente diffusa in area meridionale (ma anche nell’Italia centrale fino in Istria) e in particolare in Basilicata, Verde Oliva e Conte Maggio (Bronzini, La canzone epico-lirica nell’Italia meridionale).

    Data: febbraio-marzo 1976

  • Durata: 21:20
  • Luogo: Avellino
  • Provincia: Avellino
  • Regione: Campania
  • Esecutore: Giuseppe De Martis: voce
  • Autore: Roberto De Simone, Annabella Rossi