Seguendo esempi e suggestioni intime e familiari – sua madre Adelaide è una delle sue prime informatrici –, Gastone Pietrucci si laurea con Gastone Venturelli, nel 1978, con una tesi sulla “letteratura tradizionale orale marchigiana e spoletina”, i cui risultati sono poi confluiti in parte nel volume Cultura popolare marchigiana, “sicuramente la più ampia e organica raccolta di canti popolari che vantino le Marche” (G. Venturelli).
La sua ricerca e studio dei repertori popolari si intreccia, inestricabilmente, con la storia del gruppo di canto popolare La Macina, da lui fondato nel 1968, ed è sfociata in altre rilevanti iniziative di studio ed animazione, con all’attivo l’organizzazione e la cura di numerose rassegne, tra le quali quella della Pasquella di Montecarotto, della Passione di Polverigi e del Monsano Folk Festival. Un’attività, dunque, interamente svolta in quella zona di confine dove la ricerca illumina e ravviva lo spettacolo, la cui originalità è stata segnalata da un sicuro esperto in materia come Roberto Leydi:
“Tra i numerosi gruppi che, negli ultimi anni, hanno cercato di animare il secondo folk revival italiano… quello marchigiano de La Macina occupa un posto a parte e (a mia conoscenza) unico. E ciò, non tanto e soltanto per la sua longevità, quanto per altre caratteristiche. E tre sopra le altre. In primo luogo il suo radicamento in un territorio, fisico e culturale, delimitato e preciso, cioè le Marche. Un radicamento che si realizza non soltanto nella scelta dello stile e del repertorio…, ma anche nell’impegno ad operare attivamente, continuativamente, direi (ed è, secondo me, un complimento) umilmente entro il suo proprio spazio culturale ed umano, a contatto con quelle comunità cui la musica che La Macina propone appartiene. Certo, il gruppo guidato da Gastone Pietrucci ha acquisito un rilievo e una stima che vanno oltre i confini marchigiani, ma questa proiezione nazionale ed internazionale non ha preso il sopravvento sradicando La Macina dallo spazio entro il quale è nata e ha trovato ragione e materiale per realizzarsi musicalmente… E questa vocazione locale ci propone la seconda caratteristica del lavoro de La Macina: inglobare nel proprio manifestarsi, rispettandoli, cantori e musicisti della tradizione… Porsi, cioè, a confronto con quanti alla tradizione appartengono e la possiedono. E ciò a differenza di altri gruppi che, anche quando citano la fonte delle loro esecuzioni, per attestarne l’autenticità non ci consentono mai di sentire il suono o la voce di questi testimoni resi muti. Vi è poi la terza caratteristica de La Macina, connessa alle altre due: essersi fatta promotrice di vive iniziative nelle quali protagonisti sono i cantori e i musicisti tradizionali e di manifestazioni che hanno concretamente contribuito a rivitalizzare, in contesti non impropri, scadenze rituali che così hanno trovato ragione di conservarsi nonostante le trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno modificato la vita delle Marche”.