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Archivio Sonoro

La festa di san Donato a Montesano, nel Salento, si svolge nelle giornate del 6-7 agosto, in una cappella all’estrema periferia del paese. La statua del taumaturgo, custodita di solito nella chiesa parrocchiale, per la festività viene trasportata nella cappella dove fin dall’alba del giorno 6 cominciano ad affluire malati di mente provenienti prevalentemente dalla provincia di Lecce. 
Si tratta di individui, per lo più donne, che accorrono all’appuntamento magico per implorare la grazia. La grazia non definitiva, ma ciclica, analoga a quella che si chiede a san Paolo per il tarantismo, ha la durata di un anno, per cui, trascorso il periodo di validità, il malato si trova di nuovo nella condizione di dover ricorrere al santo.
Il “male di san Donato”, comprende epilessia, disturbi nervosi vari, stati di ansia e manifestazioni psicopatologiche in genere, in gran parte determinati da insostenibili condizioni di esistenza. I pellegrini ritengono che il male sia inviato dal santo; collocandola così in una sfera extraumana, si sottraggono alla vergogna di una malattia che altrimenti fatta oggetto di disprezzo.
Sul “male” ecco alcune opinioni registrate durante la festa del 1965. Venditore ambulante di bandierine abituali (ventagli con immagini di santi, molti diffusi in Puglia e Sicilia): “il male di san Donato è un male che tiene un sacco di cose, attacchi di nervosismo, e poi è il male di san Donato diciamo noi. Il male di san Donato lo manda lui, il santo. Strillano di notte e di giorno. Di san Paolo quella è una taranta che ti pizzica, noi diciamo, quello viene così: una donna la pizzica e poi san Paolo la guarisce. Se ha una camicia rossa, una veste, e una è pizzicata da quello vermine rosso, quella maglia gliela strappano. Io credo che questa malattia la manda san Donato benedetto. … Tutte le malattie di nervi, tutte, le manda san Donato benedetto. Quelle di taranta san Paolo di Galatina, quelle di orecchia san Marco giorno 25 aprile. Ogni santo manda il suo male e tiene la sua devozione: santa Marina la testa; san Pantaleo i foruncoli; san Rocco è il patrono della peste e di tutti i mali che ci sono. San Giuseppe da Copertino fa anche i miracoli, san Giuseppe che volava, il padre di Gesù Cristo, tutti i santi non hanno niente ma lui (san Giuseppe) ci ha la polvere che la danno ogni anno”. Ragazzo di 12 anni, figlio di una malata di Galatina: “io credo che queste donne sono strane che stanno male veramente. Le malattie gliele manda il Signore”. Uomo di 48 anni, marito di una malata, di Cutrofiano: “il male di san Donato lo manda il nostro santo, lui lo manda e lui lo toglie. Lui vuole così; sceglie uno e gli manda il suo male. Lo manda a noi poveri per farci soffrire in questa terra e ricompensarci poi in Paradiso. Noi siamo poveri, ma siamo anche fortunati”.
Se queste risposte dimostrano chiaramente come fra gli individui a basso livello di istruzione non ci siano dubbi sulle origini e la cura del male di san Donato, diverso è l’atteggiamento manifestato dal parroco del paese, don F., un’anziano sacerdote di Montesano, che ha dimorato per lungo tempo in Lombardia. Don F., specializzato in psicologia, parla volentieri, senza reticenze, dicendo che il coraggio gli deriva dal fatto che non c’è provvedimento che la chiesa possa prendere contro di lui, perché “peggio di stare qui dove vuole che mi mandino”. “Qui ci vogliono medicine, un ospedale, scuole, non santuari. Io, personalmente, ritengo che questo male collettivo non sia il male caduco definito medicamente. Io penso si tratti di un fenomeno di isterismo collettivo, ma per molti non si può parlare neppure di questo. Da anni avviene che questa gente che viene a trovare il santo, davanti a questa statua, ha delle manifestazioni di vero e proprio isterismo, e perciò non si può parlare di mal caduco. Le caratteristiche del mal caduco sono molte chiare: per esempio, la convulsione, l’emissione di bava, l’insensibilità. Questo noi non si è notato; se li tocchi gridano, saltano, sono come invasati, invasati dalla miseria, dall’ignoranza”.
Il giorno 6 agosto 1965 ho assistito all’arrivo dei malati. Fino a qualche anno fa quasi tutti i malati venivano portati alla cappella su carretti trainati da cavalli; ora la maggior parte arriva su macchine prese a nolo. L’abito della cerimonia era bianco: veste lunga, lunghi mutandoni, calze; ora le donne hanno abbandonato l’abito rituale, tranne una, che seguita a vestirsi all’uso antico. L’afflusso degli ammalati prosegue ininterrotto tutto il giorno; scendono dalle macchine aiutati dai parenti o dai compaesani, qualcuno portato a braccia, molti sorretti. Arrivati al momento di varcare la soglia della cappella, avvengono sensibili mutamenti di comportamento: molti cadono a terra, pesantemente, privi di coscienza (almeno apparentemente); altri incominciano ad avanzare freneticamente sulle ginocchia, a rotolarsi per terra.
Alla fine della mattinata ha luogo una prima processione che si svolge in un clima disteso, in quanto i malati sostano nella cappella e non vi prendono parte se non eccezionalmente. Nel pomeriggio la statua del santo viene portata di nuovo in processione attraverso le strade del paese. Il santo esce dalla chiesa circondato dai malati, da quelli almeno che hanno la forza materiale e psicologica di seguirlo. Di tanto in tanto qualcuno lancia un urlo acuto, a lungo, sempre uguale. La processione giunge fino alla cappella, dove i malati e i loro parenti si preparano ad affrontare la notte. Molti devoti seguitano a buttarsi a terra, a gridare, a invocare la grazia, a percorrere il pavimento sulle ginocchia, strascinano sul ventre e sul dorso.
Nella serata, una donna di 45 anni, proveniente dalla provincia di Brindisi, contadina analfabeta, si abbandona a gesti di disperazione sotto lo sguardo commosso della vecchia madre e quello terrorizzato dei suoi figli di 4 e 7 anni. Un uomo di 60 anni, di Nardò, comincia a “predicare”. Verso le undici di sera tutti dormono: chi ha trovato posto all’interno; gli altri appoggiati ai muri esterni della cappella. All’alba la donna vestita di bianco si arrampica sulla base della statua e vi resta immobile. Poco dopo il parroco celebra la messa. Seguitano ad arrivare altri malati – ne ho contati 53, dei quali 16 uomini.
Due donne avanzano carponi e latrano come cani. Incominciano a verificarsi presunte guarigioni: i malati finalmente in pace, pregano, baciano la statua e se ne vanno. Ma la maggior parte attende l’ultima processione, quella che, verso le undici, riaccompagna la statua del santo nella parrocchia dove resterà fino all’anno successivo. Nel pomeriggio del giorno 7, la porta della parrocchia era sprangata; all’interno, come incantata davanti alla statua di san Donato, sedeva una giovane di 25 anni, contadina del Salento, terza elementare, afflitta dal “male” e devota particolarmente al taumaturgo. La donna, che da anni si reca a Montesano, non può partecipare al culto collettivo nella cappella; il suo attaccamento al santo e la gelosia che nutre per le altre fedeli sono tali che spesso, in passato, ha provocato vere e proprie risse. Così don F. le permette di avere un colloquio privato e solitario con il protettore. La giovane siede a terra, rivolgendosi sorridente alla statua ed emettendo mugolii; il suo volto esprime una grande gioia. Quando mi vede entrare si rivolge sorridente verso di me e, gemendo, mi addita la statua. Poi mugola verso il santo, gli lancia baci, traccia a terra dei circoli e si irrigidisce, atteggiando le proprie mani nel gesto benedicente della statua. Solo dopo un ora, convita a fatica dalla madre e dal fratello si allontana piangente. 
La carica sessuale presente nei partecipanti al pellegrinaggio è evidente; san Donato – una statua che raffigura un giovane adulto, con i capelli ricci e le gote rosse – piace moltissimo alle donne, le quali, nel corso delle due giornate festive, lo abbracciano, lo baciano, si arrampicano sulla base del simulacro.Alcuni anni fa – il fatto mi è stato raccontato da numerosi malati, che tuttavia non hanno saputo indicare la data esatta – un gruppo di fedeli decise di fare ridipingere gli occhi del santo, perché il suo sguardo era troppo penetrante e loro ne erano turbate. L’episodio potrebbe benissimo non essere mai accaduto, ma anche se si trattasse d’ una leggenda, sta ugualmente a testimoniare quali sensazioni suscitino tra le sue fedeli l’effigie di san Donato. L’ondeggiare lento dei corpi delle donne sul pavimento che agitano aritmicamente le gambe, il rotolarsi, e tutti quei gesti ed atteggiamenti del corpo non facile a descriversi, ma che comportano tale scompostezza da rendere necessario munire la malata di lunghe mutande, convalidano la tesi della componente sessuale.