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Fondo Arcangeli (1)

Una ricognizione sul repertorio orale regionale, dalle forme di canto monodico e bivocale  agli stornelli, dall’ottava rima alle ‘satire’, dalle questue ai balli.

 

Della sua ricerca nelle Marche, avviata dietro suggerimento di Diego Carpitella, è lo stesso Piero Arcangeli a indicarci l'occasione in cui nacque, il suo svolgimento e i risultati conseguiti:
"Subito dopo la mia tesi di laurea discussa nel novembre 1968 all’Università di Perugia (Facoltà di Lettere moderne, relatore prof. Tullio Seppilli), che aveva per oggetto le due campagne sulla musica di tradizione orale in Umbria condotte da Carpitella e dallo stesso Seppilli nel 1956 e nel 1958, Diego Carpitella mi propose di collaborare con l’Archivio etnico linguistico-musicale, costituito qualche anno prima nell’àmbito della Discoteca di Stato, con una ricerca sul campo nelle Marche, che – almeno nelle mie intenzioni – doveva avere come obiettivo specifico ma non esclusivo quello di documentare forme di canto monodico e bivocale (i sorprendenti ‘batocchi’ o ‘vatocchi’) comparabili con i repertori già studiati in Umbria. L’ipotesi di lavoro era dunque quella di raccogliere e mettere analiticamente a fronte modalità musicali della tradizione contadina marchigiana, per coglierne affinità e/o differenze con quella umbra; anche per sottoporre a prova l’attendibilità di distinzioni e paradigmi fondati su confini amministrativi “regionali”.
A partire da tali premesse – e dopo una visita a Macerata all’anziano maestro (di scuola elementare) Giovanni Ginobili, che dagli anni Trenta pubblicava fascicoli di sue discutibili ma preziose trascrizioni di canti popolari regionali: fra i pochissimi esempi del genere allora reperibili nella regione – ne conseguiva che la mia ricerca si dovesse sviluppare lungo il versante orientale della dorsale appenninica, in particolare in località della provincia di Macerata, ma poi – a nord – nei territori del Pesarese e – a sud – in quelli dell’Ascolano. Nonostante il mirato carattere comparativo, che a mio parere non poteva non privilegiare le forme del ‘discanto contadino’, le sedute di registrazione (ancora in quel periodo abbastanza agevoli da organizzare, senza particolari accorgimenti o lunghi preparativi in loco) finirono per riguardare un po’ tutto il repertorio orale, dagli stornelli nelle loro varie tipologie all’ottava rima, dalle narrazioni ‘storiche’ alle sadre (‘satire’), dalle questue alle forme femminili-infantili e ai balli. Non riuscìi invece ad avere notizie circa la permanenza in uso di forme polivocali della para-liturgia in lingua latina: quando, quasi dieci anni più tardi ed oltre, mi dedicai a questo repertorio a largo spettro, rimase per me difficile da spiegare come sia accaduto che un territorio musicalmente così fertile e vivace non avesse conservato tracce significative di tale tradizione musicale.
Infine, in sette-otto giornate intense di rilevazioni (ad una delle quali ebbi il piacere della compagnia di Diego Carpitella), nell’arco temporale di poco più di tre mesi, dalla fine del dicembre 1968 all’inizio dell’aprile 1969 – insomma da Natale a Pasqua – registrai una ventina di bobine Basf/250m., per complessivi 126 brani, in dodici località diverse.  Non molto, se si considera che – fino a quel momento – si trattava delle quasi-prime registrazioni marchigiane effettuate con finalità e criteri etnomusicologici (Carpitella e Lomax avevano attraversato il Maceratese in un paio di giorni alla fine del ’54, registrando poco più di 20 brani); ma abbastanza per le finalità conoscitive, pur di non poco conto, che mi ero dato; oltre che per le mie successive esperienze, in àmbito sia “popolare” che “storico-colto”, nelle quali mai avrei separato lo studio musicologico (nel senso più ampio) dalla dimensione antropologico-culturale, ovvero il testo dal contesto".
Le registrazioni di Piero Arcangeli, depositate presso la Discoteca di Stato come Racc. 68M dell'Archivio Etnico Linguistico-Musicale, sono in corso di catalogazione.